Pagina on-Line dal 07/04/2012
Il frontespizio dell’edizione dell’Aureum Vellus del 1708
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È proprio il tedesco Salomon Trismosin (tre volte memore, traduce il lemma Trysmosin l’ermetista Ercole Quadrelli nella sua edizione italiana del Chymica Vannus (1)) ad iniziare, secondo la tradizione trasmessa dai frontespizi delle opere a stampa, il grande Paracelso all’alchimia.
La storia delle sue peregrinazioni alla ricerca della pietra filosofale non è meno drammatica di quelle di altri alchimisti, quelli che, sul modello del buon Bernardo Trevisano patirono, in tempi diversi, povertà, inganno, dileggio ed isolamento. La biografia di Trismosin, infatti, rientra nei topoi della biografia dell’alchimista errante (i viaggi, il contatto con truffatori, le letture, la vita stentata e le spese), anche se appare descritta con toni di minor afflizione. La ricchezza di particolari (luoghi, date, nomi), la precisione delle ambientazioni, rendono il racconto di Salomon più vicino ad un resoconto reale rispetto a quelli di un Trevisano, uno Zachaire o un Palissy. Salomon apre così la sua narrazione nell’Aureum Vellus:
«Quando ero un giovane apprendista incontrai un giovane minatore di nome Flocker che praticava l’arte alchemica, ma teneva segrete le sue pratiche, e io non potei nulla apprendere da lui. Egli usava un processo con il piombo volgare aggiungendovi un certo zolfo, per mezzo del quale rendeva il piombo fisso fluido come la cera.
Da questo piombo così preparato prendeva 20 lots (200 grammi) e un marco (225 grammi circa) d’argento puro non contenente affatto oro e li teneva tutti e due in fusione per una mezza giornata; dopo di che faceva la separazione dell’argento squagliandolo, e la metà dell’argento era diventata oro.
Io avevo il cuore addolorato per non poter imparare nulla della sua arte poiché egli si era ostinatamente rifiutato di rivelarmela. Poco dopo egli cadde nel fondo d’una miniera e nessuno poté apprendere nulla della sua arte…» (2).
Ma Salomon ha visto e toccato con mano la realtà della crisopea, e così nel 1473, parte alla ricerca di artisti che lo possano istruire, girovagando in lungo e in largo e familiarizzandosi con una quantità di operazioni tecniche di scarso valore, pur se non del tutto inutili. In queste peregrinazioni spende la considerevole somma di 200 fiorini, ma non per questo si scoraggia, e si reca dapprima a Labach (in Renania-Palatinato) e poi a Milano, dove diviene per un anno famulus in un convento e si dà a studi produttivi. In seguito girovaga per l’Italia, e conosce un commerciante di Spezie ed un ebreo praticanti dell’arte che lo assumono come assistente di laboratorio. Pian piano il dedito e zelante lavorante apprenderà tutti i segreti procedimenti dei suoi datori di lavoro.
«Appresi la loro arte che si effettuava per mezzo di droghe velenose, e passai quattordici mesi in loro compagnia. Dopo di che me ne andai a Venezia in compagnia dell’ebreo, che vendette quaranta libbre del suo argento ad un mercante turco. Mentre egli trattava con lui, io presi sei lots (6 once) d’argento e lo portai a un orafo che sapeva il latino e si serviva di due operai; mi fu indicato un saggiatore in piazza San Marco, il cui laboratorio era molto stimato.
Egli aveva tre operai tedeschi che subito saggiarono il mio argento con droghe molto corrosive, poi lo passarono alla coppella: l’argento non resistette alle prove e s’involò sotto l’azione del fuoco. Mi trattarono allora con durezza e mi domandarono dove avessi preso quell’argento. Risposi che l’avevo portato a loro solo per saggiarlo.
Quando ebbi constatato la frode non ritornai più dall’ebreo, pensando che sarei andato incontro a delle disgrazie a causa del suo argento falsificato…» (3).
Salomon trova allora ospitalità presso gli studenti compatrioti di stanza a Venezia. Uno degli assistenti del saggiatore gli presenta il capo di un laboratorio, un tedesco di nome Hans Tauler, che da tempo era alla ricerca di un aiutante della sua terra. Egli viene così assunto per due corone a settimana più il vitto. Il laboratorio è eccezionalmente ricco ed attrezzato, prodigiosamente approvvigionato di ogni materia prima o strumento, ed è ospitato in una grande casa a sei leghe da Venezia. È un vero e proprio laboratorio alchemico per la ricerca della pietra filosofale, quello in cui ora lavora il tedesco, ed il tutto fa capo ad un facoltoso gentiluomo italiano. Il capo del laboratorio mescola le polveri che affida a Salomon affinché questi non le possa riconoscere, e gli assegna dei procedimenti delicati. Egli subito riesce nella trasmutazione di un coagulo di mercurio del peso di 9 once, da cui vengono fuori ben tre once di puro oro. Il gentiluomo italiano, felice del successo, premia Salomon con 29 corone obbligandolo a prestare giuramento di segretezza. Né gli altri lavoranti del laboratorio, né nessun altro a parte lui, il capomastro ed il gentiluomo stesso, avrebbero dovuto mai sapere del segreto. Così Salomon continua a lavorare presso il laboratorio veneziano, compiendo ogni sorta di operazione e sperimentazione.
Il ricco gentiluomo, che apparirebbe a questo punto addirittura essere un doge (4), ogni anno, nelle celebrazioni cittadine getta nei flutti l’anello nuziale per celebrare lo sposalizio col mare. Ma una tempesta improvvisa travolge la sua imbarcazione facendolo annegare.
Gli eredi dismettono il laboratorio e licenziano i lavoranti.
«Abbandonai allora Venezia per luoghi più favorevoli, dove mi furono mostrati libri di cabala e di magia in lingua egizia che feci tradurre in greco e poi in latino, e così posi le mani sul grande tesoro egizio. Seppi così quale fosse il soggetto dell’arte e vidi come i più grandi sovrani pagani hanno posseduto le “tinture”, e che essi operarono personalmente, come il re Xophar, il re Sunsfor, il re Xogar, il re Xolophat, il re Lubaton, il re Zoman e molti altri. Tutti ebbero il grande tesoro della “tintura”…
Dopo aver capito qual era il fondamento di quest’arte, tra le migliori tinture ne lavorai una (sebbene senza eccezione esse derivino da una radice unica), quando ne venni a capo trovai un incomparabile rosso scarlatto, un tesoro inesprimibile che poteva essere aumentato all’infinito…» (5).
La tintura di Salomon trasmuta 1500 parti di argento o 1000 parti di stagno in oro puro. Nei libri magici degli egizi era dunque effettivamente sepolta la chiave dell’arte che Salomon cercava, e che ora racchiude nei suoi libri.
Tra i manoscritti alchemici con ricco apparato iconografico, probabilmente lo Splendor Solis, nelle edizioni manoscritte, è senz’altro il più bello, affascinante e famoso. Il manoscritto in questione è esemplato in differenti versioni sparse nelle biblioteche europee, ed è stato più volte proposto in diverse edizioni critiche ed in più lingue (6).
Esistono tre diverse edizioni a stampa, rispettivamente due tedesche e una francese. La prima viene stampata per la prima volta nel 1598, eccone il titolo completo:
Aureum vellus, oder Güldin Schatz und Kunstkammer: Darinnen der aller fürnemisten, fürtreffenlichsten, ausserlesenesten, herrlichisten und bewehrtesten Auctorum Schrifften Bücher, aus dem gar uhralten Schatz der uberblibnen, verborgnen, hinderhaltenen Reliquien und Monumenten der Aegyptiorum, Arabum, Chaldæorum & Assyriorum, Königen und Weysen, von dem Edlen, Hocherleuchten, Fürtreffenlichen, bewehrten Philosopho Salomone Trismosino (so des grossen Philosophi und Medici Theophrasti Paracelsi Præceptor gewesen) in sonderbare underschiedliche Tractätlein disponiert, und in das Teutsch gebracht. Sampt anderen Philosophischen alter unnd newer Scribenten sonderbaren Tractätlein, alles zuvor niemalen weder erhört noch gesehen, wie der Catalogus zuverstehen gibt. Durch einen der Kunst liebhabern mit grossem Kosten, Mühe, Arbeyt und Gefahr, die Originalia und Handschrifften zusammen gebracht, und auffs trewlichest und fleissigst an Tag geben. 4° Getruckt zu Rorschach am Bodensee 1598.
Il testo conosce una ristampa l’anno dopo e nel 1600, senza indicazione di luogo e di editore.
Da quest’ultima edizione traiamo le immagini che presentiamo in questa sede, confrontandole con quelle dell’edizione del 1708.
Questa edizione, che esce a più di un secolo da quella del 1598, è illustrata da incisioni originali che rivelano tutt’altra qualità artistica e di stampa.
Alle immagini dell’edizione del 1600 e del 1708, a scopo di ulteriore raffronto, abbiamo aggiunto le immagini – in bianco e nero per questioni di copyright – che ornano il manoscritto Harley 3469 del British Museum, senza dubbio il più famoso tra i manoscritti dello Splendor Solis. La versione a colori di queste tavole – e dell’intero manoscritto – è stata del resto recentemente resa disponibile on-line dallo stesso British Museum.
La citata edizione francese (7), esce nel 1612, a quattordici anni dalla prima edizione tedesca:
Anch’essa viene ristampata, presso lo stesso editore, l’anno dopo.
L’edizione francese, tuttavia, presenta un apparato iconografico più rozzo ed incompleto, di minor qualità artistica e di stampa, che non abbiamo ritenuto utile riprodurre e che comunque l’utente può facilmente reperire nella citata edizione curata da Anna Maria Partini.
Essa è del resto reperibile in formato pdf, per chi volesse confrontarne l’iconografia o il testo, in due differenti versioni, rispettivamente raggiungibili sul sito del progetto Gallica della BNF e, scannerizzata da una copia della biblioteca del Getty Research Institute, su Internet Archive.
© Massimo Marra – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.
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NOTE:
(1) Parafraste Ocella, Il chimico crivello, Arché, Milano 1982, p. 233.
(2) Cito dalla traduzione proposta da Anna Maria Partini nell’edizione italiana del Toyson d’or, l’edizione francese (1612) dell’Aureus Vellus (cfr. Salomon Trismosin, Il Toson d’Oro o il Fiore dei Tesori, con le 22 miniature dello Splendor Solis, Mediterranee, Roma 1994, pp. 19 e 20). Dal punto di vista iconografico il testo curato dalla Partini mette a confronto le immagini dell’edizione francese con quella del 1708, ignorando le edizioni tedesche precedenti. L’apparato iconografico di questa edizione è dunque complementare a quello presentato nel testo della sig.ra Partini.
(3) Ivi, p, 21.
(4) L’annuale lancio rituale dell’anello in mare nell’ambito della Cerimonia dello Sposalizio del Mare , era, in realtà, nella Repubblica di Venezia, una prerogativa del Doge.
(5) Ivi, p. 23
(6) Veramente ingente la bibliografia su questo testo e sul relativo apparato iconografico. Proviamo in questa sede a darne un saggio che non ha alcuna pretesa di esaustività.
La prima riedizione moderna è inglese, basata sul manoscritto datato 1582 custodito nel British Museum (il citato Harley 3469): SPLENDOR SOLIS: Alchemical Treatises OF SOLOMON TRISMOSIN ADEPT AND TEACHER OF PARACELSUS Including 22 Allegorical Pictures Reproduced from the Original Paintings in the Unique Manuscript on Vellum, dated 1582, in the British Museum. With Introduction, Elucidation of the Paintings, aiding the Interpretation of their Occult meaning, Trismosin’s Autobiographical Account of his Travels in Search of the Philosopher’s Stone, a summary of his alchemical process called “THE RED LION,” and Explanatory notes by J.K., London, Kegan Paul. Trench Trubner & Co LTD. , s.d. ma 1920. Le iniziali J. K indicano lo studioso di ermetismo Julius Kohn (1850-1925).
La bibliografia in lingua inglese più rilevante è reperibile nella citata pagina del British Museum dedicata al M.S. Harley 3469. Ci limitiamo a citare in questa sede il recente testo di Joseph L. Henderson e Dyane N. Sherwood, Transformation of the Psyche: The Symbolic Alchemy of the Splendor Solis (Routledge, 2003).
Un’edizione in fac-simile di un manoscritto berlinese venne pubblicato negli anni ’70: Splendor Solis oder Sonnenglantz teilet sich in Siben Tractat durch welche beschrieben wird die künstliche wirckunge des verborgenen Steins der Alten Weissen. Faksimile der Handschrift in der Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz, Berlin. Mit 22 ganzseitigen farbigen Tafeln. Mit einer Einleitung v. Gisela Höhle¸ (Kohln Privatdruck 1972)
In lingua tedesca abbiamo ancora il testo di Jörg Völlnagel, Splendor solis oder Sonnenglanz: Studien zu einer alchemistischen Bilderhandschrift (Deutscher Kunstverlag, 2004). Vi è un recente testo tedesco, con apparato critico ed ermeneutico a cura di Gabriele Quinque, Splendor Solis – Das Purpurbad der Seele: Zweiundzwanzig Pforten der initiatischen Alchemie (Fabrica Libri, 2005); nello stesso anno a firma di Ursula Götz è pure uscito Splendor solis: Handschrift 78 D 3 des Kupferstichkabinetts der Staatlichen Museen zu Berlin, Preussischer Kulturbesitz (Coron Exclusiv, 2005).
Nel 2010 le edizioni Moleiro hanno curato una lussuosa e costosissima edizione dell’Harley 3469 in due volumi, che contiene la traduzione di Joscelyn Godwin ed un apparato critico con testi di Jörg Völlnagel, Thomas Hofmeier e Peter Kidd.
In Italia, a parte il citato testo a cura di Anna Maria Partini, abbiamo una prima edizione delle sole 22 tavole, prive del testo: S. Trismosin, Splendor Solis, riproduzione della serie completa delle XXII figure a colori da un manoscritto del XVI secolo, Arché, Milano 1975. Più di recente le XXII tavole sono state incluse nel terzo vol. della raccolta Il filo di Arianna, 44 trattati di alchimia dall’antichità al XVIII secolo a cura di Sabina e Rosario Piccolini (Mimesis, Milano 2001).
(7) Per questa edizione rimandiamo alla citata edizione della Partini.
Il frontespizio interno dello Splendor Solis del 1708.