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Prima publicazione in in Atrium – Centro studi umanistici e tradizionali, anno III n°4, dicembre 2001, pp 9\28.

Vai al testo della Prattica dell’estasi filosofica del B


La storia della Prattica

Questo breve scritto, per l’indubbio valore documentale, è stato più volte, nel corso degli ultimi decenni, ristampato e commentato. Tratto dal codice Magliabechiano VIII: 6 della Biblioteca Nazionale di Firenze (1), il testo è un rarissimo caso – nell’ambito della tradizione occidentale – di descrizione non criptata di un metodo meditativo-immaginativo con dichiarata finalità illuminativo-estatica, scevro da qualsiasi riferimento mistico-religioso.
L’influenza netta della tradizione ermetico-alchemica è senz’altro evidente. Dallo scritto emerge infatti una concezione dell’uomo come composto di elementi sottili che animano la corporeità conferendo vitalità al composto. Il riferimento alle realtà sottili nella loro accezione materiale, il riferimento agli spiriti vitali sottilissimi considerati quali sede dell’anima, sono ulteriori riferimenti abbastanza evidenti riconducibili al complesso di riferimenti culturali della magia e dell’alchimia ermetica a cavallo tra XVI e XVII secolo. La pratica meditativa, in questo quadro, serve a far sublimare fino al capo “… dove son li instrumenti intellettuali…”, gli spiriti vitali, che, all’atto in cui l’anima si ritrae in se stessa, illuminano l’anima del meditante.
Il codice è del XVI secolo, ed il testo è stato più volte attribuito al Campanella o a qualche ignoto allievo di scuola campanelliana (compare anzi in appendice alla edizione a stampa del 1854 delle opere campanelliane a cura di Alessandro d’Ancona). La lingua appare di area meridionale (si veda ad esempio il “sagliano” per salgano).
Talvolta, probabilmente nel tentativo di penetrare il segreto di quel B. che conclude il titolo, si è attribuito lo scritto al Bruno.
In realtà non vi è nessuna traccia sicura che possa portare ad una attribuzione certa, e, d’altro canto, la concezione ermetica ed il richiamo a pratiche estatiche si inscrivono perfettamente nell’atmosfera culturale e nelle coordinate filosofiche di autori come il Bruno o il Campanella, e più in generale, nel vitalismo ermetico rinascimentale. In particolare, a nostro avviso, è giusto ritenere abbastanza vicina al vero l’attribuzione del testo ad una temperie campanelliana. Gli argomenti esposti più innanzi renderanno conto di tale convinzione.
La Prattica è stata più volte oggetto di attenzione nell’ambito degli studi ermetici italiani.
Inclusa nel secondo volume della raccolta degli scritti del gruppo di UR, il testo viene riportato anche dal Reghini, in Le parole sacre e di Passo (Roma, 1968)
In tempi recenti la Prattica è stata edita, senza alcun sostanziale commento critico, nell’Archivio dell’Unicorno n°2 (autunno 1976) edito dall’Arché di Milano. Una riedizione con una breve introduzione di Salvatore Mariano è stata edita dalla Sear di Scandiano (RE) nel 1987. Il testo viene ampiamente citato anche da Zolla nel 5° vol. della raccolta I Mistici d’Occidente edita dalla Rizzoli di Milano (1980) e da Claudio Lamparelli, in Tecniche della meditazione cristiana, Mondatori, Milano 1987.
L’edizione della Sear, nell’utile prefazione di Salvatore Mariano, introduce sommariamente il lettore ad una disamina dei riferimenti alla pratica di meditazione nella tradizione classica, umanistica e nella mistica cristiana (2). Molti altri riferimenti sarebbero possibili oltre a quelli giustamente elencati dal Mariano – ad esempio, esplorando la ricca tradizione patristica o la letteratura mistica tra rinascimento e barocco – ma più interessante, a nostro avviso, è inquadrare lo scritto all’interno della ricca temperie culturale e filosofica della filosofia seicentesca di area meridionale (3). In questa ottica, il tono “tecnico” dello scritto – che rappresenta, in definitiva, gran parte della sua particolarità – trova una sua precisa collocazione ed un preciso riferimento filosofico. Il che definisce lo scopo di questa riedizione critica.
Un opportuno pretesto per esplorare le concezioni magiche di un milieu di magisti e filosofi di cui si è spesso sottolineata una scoperta ascendenza ermetica, raramente esplorando in modo specifico le concezioni ed i passi che possono costituire genuina espressione di una magia ermetica non priva di spunti interessanti ed originali. Una ricerca sulla teoria che informa la Prattica assolutamente indispensabile se si vuol rintracciare il filo di un sapere magico che non lasciò indifferente il nascente movimento rosicruciano, che del Campanella subì visibili influenze e suggestioni (4).

Lo Spirito, la materia e le sublimazioni. L’anima telesiana alla conquista alchemica del cielo.

È comunemente accettato il fondo telesiano di talune concezioni fisiche, naturalistiche e cosmologiche del Campanella, ammiratore dichiarato degli scritti del filosofo cosentino.
Il gruppo di filosofi telesiani (in genere si includono in questa categoria, oltre al Campanella, anche Donio e Persio) deve gran parte dell’impianto cosmologico ed antropologico di riferimento proprio al Telesio (5).
Per Telesio l’universo si forma a partire dalla forza di due principi agenti (entrambi sostanziali e non accidentali) opposti che, agendo senza posa sulla materia, ne determinano forma e sostanza: il caldo e il freddo (6). Il caldo, che ha la sua scaturigine e sede privilegiata nel sole, è l’essenza che rende la materia tenue, mobile, spirituale, viva. Il freddo (che non è considerato mera “privazione” di calore, ma possiede propria sostanzialità) è invece il principio che delimita ed oppone al calore gravità, densità, immobilità, ed ha la sua sede nella terra.
Dunque, nel loro perenne contrasto volto ad occupare e pervadere la materia, è il prevalere dell’uno o dell’altro che determinerà rarefazione e immaterialità, forma e proprietà (e pertanto vicinanza maggiore o minore al principio vivificante del caldo) nelle cose della sfera sublunare.
In questa visione filosofica, l’anima stessa si configura come elemento compiutamente materiale, di una materia sottile ed eterea assai vicina al calore puro (7), che pervade gli organi degli esseri viventi, ed analogamente al calore universale che ha sede nel sole che tutto illumina, è allocata nel cervello, da cui parte la potestà sulla vita stessa. E’ anzi proprio sotto forma di calore che l’anima si manifesta negli animali e nell’uomo (8).
In definitiva, lo spirito telesiano, come nota Lina Bolzoni (9): «appare come un elemento vitale diffuso in tutto l’organismo, intermedio tra corpo e anima. Esso vive in un difficile equilibrio fra contrari: è forte e debole insieme, caldo, vitale, mobilissimo, ma anche pronto a volare via, a disperdersi nell’aria; il corpo è per lui un carcere e, insieme, una protezione insostituibile…».
In quest’ottica, le qualità umane superiori – ingegno, bellezza, armonia – divengono tout-court dipendenti dal principio del calore. Per il linceo Persio – in cui il telesianismo si fonde almeno quanto nella filosofia campanelliana con suggestioni e richiami evidentemente neoplatonici (10) – l’ingegno umano (che in questo caso si confonde né più né meno che con l’anima) è proprio una delle espressioni del calore universale proveniente dal sole. Se si vorrà render più sottile lo spirito, se si vorrà renderlo più vicino al principio solare, bisognerà nutrire il proprio corpo ed i propri sensi con oggetti ed essenze solari, che il Persio trae dalla tradizione magico-ermetica e, in particolare, da Ficino (11). Dunque, la bellezza e l’armonia – siano esse della natura o dell’arte – di qualità simile al calore più tenue e spirituale, possono rinvigorire la qualità ignea dello spirito umano provocandone un’assottigliamento ed una purificazione che può portare all’estasi (12).


«Onde affermano avvenire che talvolta lo ‘ngegnoso, per lo continuo movimento che fa lo spirito che è in esso, forando et aprendo i meati del corpo, se non se gli fa rimedio di umettare et otturare i pori del corpo va in gran pericolo che il detto spirito sottilissimo divenuto non si risolva, et lievissimo essendo, cioè quanto si più può celeste, se ne voli in cielo al suo padre Sole, come si è veduto in alcuni che, o ne sono restati privi in tutto, et però morti, o se non morti, pochissimo differenti da’ morti, ma ciò per alcuno spatio di tempo, e si son detti ir in estasi (13), ciò è astrarsi collo spirito alla speculatione; et queste cotali astrattioni hanno dichiarite con vari nomi...» (A. Persio, Trattato dell’Ingegno dell’Huomo, a cura di Luciano Artese, Ist. Edit. E Poligraf. Internaz., Pisa 1999, pag. 37).


Più innanzi Persio riprende ancora il tema dell’estasi:

«…Donde si vede lo ‘ngegno et l’amore esser cagioni vicendevoli infra di loro, con ciò che come si impara dalla nostra filosofia, certi movimenti, et i bei colori, et le figure grandemente, conferiscono al nostro spirito animale, come chiamano, il quale essendo, come habbiam detto, di natura ignea, lucente et mobile, è simile alla luce figliuola del calore, et però soavemente è mosso dagl’odori, dai moti, dalle voci aerie, da’ colori, dalle belle dipinture et figure proporzionate sì dall’arte come della natura…
Et quando allo spirito s’offerisce cosa sotto grandezza che ecceda le cose solite a esser vedute da noi, la quale per nostra opinione amiamo et veneriamo, nascene quella che chiamiamo estasi, il quale è un certo innalzarsi et astrarsi che fa ‘l nostro spirito per ammirar tal cosa, et fa rimanerci immobili, et isciolti da ogn’altro pensiere, come è accaduto a molti uomini santi che hanno veduti i chori de gli angioli, et per poco la maiestà di Dio…»
 (Persio, op. cit. pag. 107).


Una visione, dunque, compiutamente magica, in cui alle necessarie coordinate cosmologiche si affianca la descrizione – in termini generali, certo, in cui nessun accenno è fatto a tecniche di meditazione o incantagioni magiche, ma non per questo meno precisi – dei mezzi per agire sull’anima universale e particolare dell’uomo. L’amore per l’oggetto della contemplazione, “giovando all’agume del nostro ingegno et dandocelo”, ci dona l’estasi, la quale, a sua volta, ci è guida alla cosa amata, poiché il conoscere coincide con un attirare, un attrarre a sé l’oggetto della contemplazione. Risulta dunque ovvio che, alla domanda “potrem noi dunque divenire celesti?” il Persio risponda con sicurezza ed ottimismo:


«…Mai si che potremo, et sì come sì degni spiriti sono chiamati stelle, sole, luna, cielo, così potremo anchor noi, anzi, angioli soprani, et del primo ordine, nonché del secondo e terzo, come pel fuogo della carità Seraphini, per lo splendor della ‘ntelligenza Cherubini, per la fermezza del giudicio Troni…».


In questa prospettiva l’ascesi dello spirito verso uno stato superiore di maggior vicinanza al principio, assume coloriture neoplatoniche in cui la bellezza e l’armonia universale contemplate a mezzo dell’Ingegno – ovvero della pura intellettualità meditante – divengono motori essenziali della crescita spirituale.
Analogamente, il Campanella – che ebbe il Persio tra gli amici più intimi – elabora un sistema magico in cui, se ben più presenti e riconoscibili sono le influenze ficiniane (14), medesima è la concezione “materialista” dello spirito universale ed individuale, mutuata interamente dagli scritti telesiani.

«L’anima dunque sarà lo spirito caldo, sottile, ingenerato dall’umore dentro una grossa materia, onde, esalar non potendo, la effigia e forma ad uso di poter vivere insieme; e perché esso, attenuandosi, esala, e gli umori consuma e il corpo dissecca, si formò vasi di poter convertire altri consimili nella sostanza del corpo e del liquore e sua. Dunque fece la bocca per inghiottirli, i denti per sminuzzarli…” (Il senso delle cose e la magia, op. cit pag. 44).

Nell’identificare la natura tenue e calda dell’anima sensitiva, il Campanella ribadisce ancora una volta un’assoluta ortodossia telesiana:

«A tutti gli enti donar moto il fuoco noi scorgiamo, poiché le cose grosse e fredde, come le pietre e acque gelate e piante e la terra, moto non hanno; ma essendo dal fuoco risolute in fumo e vapore più sottile, tutte si muovono e donano moto alle cose a cui si attaccano… Il moto, dunque, dell’animale, dal caldo spirito venire è necessario, poiché anch’egli raffreddato ben poco può moversi, et esalato lo spirito in parte o in tutto, anche in parte o in tutto si perde il moto. Veggiamo poi il polso e il torace sempre moversi, e il resto del corpo solo quando piace all’animale. Dunque bisogna dire che ei sia composto di cosa che sempre si mova e di cosa immobile.
Sempre si move il cielo e il fuoco che privato di moto si smorza; la terra sempre ferma sta: dunque, di parte celeste, cioè tenue, calda e mobile e di terrestre corpolenza torpida, consta l’animale…»
 (Il senso delle cose, pgg.53-54).

Non si abbia alcun dubbio intorno agli eventuali limiti d’azione magica che Campanella attribuisce al suo spirito animale. L’entità telesiana è, del resto, in virtù della sua capacità di interazione con le virtù celesti e terrestri (caldo e freddo) e della sua capacità di eccitarsi e trasmutarsi, fin troppo docile e funzionale anche alla spiegazione dei fenomeni sovrannaturali e straordinari. Opportunamente stimolata ed assottigliata dall’azione del calore, infatti, la natura tenue dello spirito può entrare in contatto con tutte le realtà sottili ed occulte, producendo effetti stupefacenti. Tra questi, oltre a ribadire l’esempio di Persio dei raggi di spirito che colpiscono le anime delle persone attraverso gli occhi, il Campanella si sofferma in modo particolare su di uno dei topoi della sua produzione: la profezia.

«… Quelli infatti che hanno spirito molto sottile prevedono nelle cause e negli antecedenti il futuro e quel che sfugge agli altri uomini, perché il loro spirito è assai sensibile e perciò riceve facilmente l’impressione delle preparazioni che si van facendo nell’atmosfera e che comunicano col nostro spirito grazie alla respirazione» (Magia e Grazia – inediti theologicorum liber XIV a cura di Romano Amerio, Roma 1957 pgg.63-69).

Del resto, la vera natura dell’anima profetale si arguisce anche dai fumi e dalle esalazioni che, si dice, respirino le sibille e i profeti. Queste esalazioni non hanno certo in sé la facoltà di formare profeti ed indovine, e non sono né causa attiva né causa predisponente della profezia. Le esalazioni piuttosto si limitano «a ravvivare ed acuire gli spiriti animali affinché possano percepire le impressioni estrinseche latenti...». È naturale, in quest’ottica, che la profezia avvenga principalmente durante il sogno, nel momento in cui lo spirito, liberato «… dalle funzioni e dalle sensazioni esterne , percepisce ogni piccolo moto dell’aria: perciò gli uomini solitari sono più adatti alla profezia…» (idem)
A misura, dunque, che l’anima sensibile avanza verso la tenuità e la mobile rarefazione del calore celeste principiale, allora si producono effetti mirabili e straordinari nell’uomo.
Tra questi Campanella si occupa con particolare interesse dell’estasi.


L’estasi e Campanella

Il libro XIV dei Theologicorum campanelliani (edito dall’Istituto di Studi Filosofici di Roma nel 1957 nella traduzione di Romano Amerio, col significativo titolo di Magia e Grazia) ci dà una idea abbastanza precisa della magia campanelliana. Trascriviamo un ampio brano che ci risulterà indispensabile per inquadrare appunto il concetto campanelliano di estasi.

«… Estasi è parola greca che equivale alla latina excessus. L’eccesso può essere prodotto dalla natura, o da un morbo, o da un’intensa attenzione, o dal diavolo, o da Dio. L’estasi naturale avviene per una separazione della mente dallo spirito animale e dal corpo: si chiama morte, e l’anima non può produrla volontariamente. Essendo infatti unita al corpo e allo spirito animale con lacci arcani, non può ritrarsi da una tale unione prima che siano spezzati i lacci della vita comune, o perché svanisce o si corrompe o soffoca lo spirito (che media tra mente e corpo) o perché si spezza il corpo…
Un secondo genere di estasi naturale avviene nel sonno, e l’anima non lo subisce senza che preceda stanchezza degli spiriti, oppure congestione del vapore nelle parti più interne, in seguito alla quale lo spirito animale si ritira dagli organi sensori e motori alle parti interiori della testa e dei visceri, allo scopo di dissipare quei vapori (questo avviene dopo il pasto o quando penetrano venti australi nella testa o esalazioni pesanti)… Questa estasi non è estasi della mente, ma un ritirarsi dello spirito animale dalle funzioni esterne, e può avvenire anche per azione divina, in vista della profezia, come accadde in Pietro.
L’estasi patologica avviene per cause analoghe, come appare in quelle donne che patiscono spasmo dell’utero… Così gli epilettici, gli apoplettici e i letargici…
L’estasi mentale avviene per l’intensa attenzione della mente, unita collo spirito, sopra qualche oggetto o conoscibile o amabile. Perciò S. Bernardo nel sermone 49 sopra la Cantica 
(15) conosce una duplice estasi, cioè nell’intelletto e nell’affetto, nel lume e nel fervore. Inoltre questo oggetto conoscibile o appetibile può essere o dell’ordine inferiore degli enti sensibili e naturali, o dell’ordine superiore degli enti intelligibili e soprannaturali. Nel primo caso si ha l’estasi filosofica, dovuta soltanto alla cognizione: molti infatti sono cosi… assorbiti nelle loro speculazioni, che non intendono più quello che avviene intorno a sé… Nel secondo caso l’oggetto causa l’estasi non in quanto speculabile, ma in quanto amabile, e allora si ha l’estasi volgare, nella quale gli uomini, presi da soverchia collera o da amore o da paura, sono talmente perturbati, che sembra loro di non vedere od udire che quello che temono o amano od odiano, e immaginano, per effetto di rappresentazioni analogiche, che la cosa sia davvero presente: in questo caso l’immaginazione è più forte dei sensi, perché lo spirito è impressionato soverchiamente dalla cosa immaginata e giudica gli oggetti altrimenti da come li rappresenta il senso…
Se invece gli oggetti che rapiscono si trovano al di sopra della mente, allora si ha l’estasi divina. Questa, quando arriva all’essenza di Dio, è un’astrazione della sola mente; quando invece arriva solo a immagini dell’essenza divina, è un’astrazione della mente e dello spirito insieme. E questo quando l’estasi è prodotta dal desiderio di contemplazione. Quando invece è prodotta dal desiderio di fruizione, allora l’estasi è nell’affetto, come insegna S. Bernardo, e l’uomo è talmente preso dal suo amato Dio da poter dire: Ormai non son io che vivo, ma Dio che vive in me, come avverte Dionigi…
È manifesto che l’entusiasmo che proviamo per una cosa ci annienta tutte le altre cose all’infuori di quella: i filosofi disprezzano tutto quel che non è filosofia, gli avari quel che non è denaro, i libidinosi quel che non è piacere, essendo astratti ed estraniati da tutte le altre cose. Ma quando l’alienazione fosse perfetta, allora sarebbero rapiti nella cosa amata, separandosi persino dai sensi propri. Il diavolo imita l’estasi naturale: ostruisce infatti le vie degli spiriti animali con certe erbe e unguenti vaporosi, e li trattiene nella testa, perché non escano alle parti esteriori, e frattanto presenta all’immaginazione le apparizioni che vuole, come succede nei Lapponi, in Ermotimo 
(16) e nelle streghe. Anche l’esperienza dimostra quanta efficacia abbia l’applicazione delle erbe e degli animali sopra il nostro corpo, come abbiamo mostrato nel quarto del Senso delle Cose. Il diavolo può anche muovere dentro di noi gli spiriti corporei e provocare l’estasi, ma più agevolmente lo fa applicando certi mezzi.
Da ultimo l’estasi divina è la più eccellente di tutte e solleva, per l’azione di Dio, agli oggetti soprannaturali, facendo vedere o gustare le cose divine: l’estasi infatti comincia sempre dal desiderio o dalla speculazione o dalla fruizione: il primo e più frequente nei ratti di S. Tommaso, l’altro in quelli di S. Francesco.
Il ratto è il medesimo che l’estasi, con l’aggiunta di una cotale violenza… E siccome è naturale all’uomo amare le cose divine e unirsi ad esse, ma, mentre che son principio di scienza, per questa ragione quando l’uomo è alienato dai sensi e sollevato alle cose divine, si dice che vien rapito. Così S. Paolo disse di esser stato rapito fino al terzo cielo nell’impeto della contemplazione e fino al paradiso per l’estasi dell’amore…
Io penso poi che si dice Paolo asceso al terzo cielo
 (17) perché il primo è quello corporale, il secondo è quello angelico e il terzo quello divino archetipo nella mente di Dio, architetto dell’universo. Questo nel caso abbia visto la divina essenza. Altrimenti il primo cielo è quello degli elementi, il secondo quello delle stelle, il terzo quello degli spiriti… S. Agostino dice che il primo rappresenta la visione corporale delle cose divine, il secondo la visione immaginaria e il terzo la visione intellettuale. Si può anche intendere dei tre cieli corrispondenti alla triplice gerarchia degli angeli.
Nel ratto S. Paolo dovette, secondo l’uomo interiore, essere astratto dalla sua parte animale, in guisa che il suo intelletto non era più in unione collo spirito vegetativo e sensitivo. Nessuna specie creata può infatti rappresentare la divina essenza. Dunque, poiché soltanto l’intelletto può unirsi a quella immediatamente e senza specie, ne consegue che dovesse esser separato anche dai fantasmi sensibili, non certo nella sostanza, poiché in tal caso avrebbe cessato di informare il corpo, ma nelle operazioni… »
 (18).


Come abbiamo visto, nell’ambito dell’estasi mentale, il Campanella definisce estasi filosofica – citando anche S. Bernardo – quella che si applica alla contemplazione nella dimensione della pura intellettualità, priva di appetiti per la cosa contemplata, distinta da quella della mistica unitiva caratterizzata dal trascendimento della coscienza individuale ordinaria per mezzo dell’impeto amoroso ed annichilente del fervore devozionale o, più in generale, desiderante.
È chiaro dunque, a questo punto, il preciso riferimento che già il titolo della Prattica vuole richiamare.
Il Campanella caratterizza questo tipo di estasi, che egli definisce dovuta solo alla cognizione, come legata inscindibilmente agli oggetti contemplabili, conoscibili, in opposizione all’altro tipo di estasi mentale, quella devozionale o desiderante, legata invece unicamente ad oggetti amabili, la cui vicinanza o meno alla essenzialità principiale, evidentemente, determina la qualità e la purezza dell’estasi. Così, rapiti dall’estasi desiderante ed amorosa, sono ad un tempo i cuori puri assoggettati dal desiderio del Cristo di S. Bernardo, e gli uomini che perdono il senno, rapiti dal desiderio di fruizione di un appetito sensibile, come i libidinosi e gli avari.
Se è vero che l’estasi filosofica, puramente contemplativa e speculativa rimane circoscritta al campo del conoscibile, dunque, essa si connota comunque come una via di avvicinamento ad oggetti di contemplazione che sono al di sopra della mente. Il sovramondano essendo conoscibile attraverso la sottigliezza graduale che, nella dottrina ermetica, unisce il creato al sovramondo, attraverso quel regno dell’invisibile che rimane il teatro privilegiato d’azione del mago. Cedendo ad evidenti influenze neoplatoniche il verbo di Dio, in Campanella, è contemplabile in un viaggio che avvicina, attraverso i vari stati di densità della materia, il mondo sensibile al sovrasensibile.
La pratica di meditazione descritta dalla Prattica è dunque da considerarsi come l’aspetto operativo di una precisa concezione di estasi che Campanella descrive nel passo citato dei Theologicorum. Si tratta di una testimonianza preziosa, poiché rende prova dell’esistenza di pratiche ascetiche e meditative compiutamente interne alle concezioni filosofiche e magiche del filosofo stilese. Non è improbabile che anche questi aspetti della filosofia campanelliana valicassero le Alpi, grazie a fedeli propagatori come Tobia Adami, per incontrare il fertile terreno entro cui si andava formando l’esperienza rosicruciana.
A conclusione di queste brevi note, vogliamo sottolineare un’altro passo della Prattica, che contiene un esplicito riferimento a quello che possiamo definire come un topos campanelliano. Si tratta del passo in cui all’anima, totalmente ritratta in se stessa, si attribuisce la qualità angelica di riflettere, senza alcuna deformazione derivante dall’appetito sensibile e dalla debolezza della materia, l’essenza ultima dell’oggetto della contemplazione. L’anima fatta angelo della Prattica riecheggia l’angelologia campanelliana, sviluppata nel V libro dei Theologicorum (19). Gli angeli campanelliani, lo ricordiamo, sono «composizione di ente e non ente, di potenza e atto, di specie e individuo, di essenza ed esistenza, non però di materia e forma corporali…». Di pura essenza intellettuale, materiali ed incorporei, gli angeli possono assumere forma corporale per il bene degli uomini, «… tuttavia, poiché l’intellezione e la volizione e la potestà si esercitano senza dubbio meglio e più puramente fuori da ogni corporeità, e la congiunzione col corpo in parte impedisce e in parte rende impure tali operazioni, bisogna riconoscere che gli angeli, puri di mente, sono separati dalla mole corporea e vicinissimi a Dio… ». La loro conoscenza sebbene limitata – attinge direttamente dalla loro partecipazione all’essenza divina, ed è pertanto indipendente da ogni mezzo sensibile.
L’anima della Prattica non è angelo, ma è fatta angelo. Con gli angeli comunica. La sua sottigliezza permette la contemplazione delle nature angeliche. L’anima sensitiva giunta a tal grado di sottigliezza, a tal calda tenuità, è tanto potente da comunicare con le essenze di pura luce, con le intelligenze separate. Tale comunicazione, tale influenza, attrae, nel modo che abbiamo già visto in Persio, la natura dell’oggetto contemplato. Per gradi di sottigliezza, per progressioni di tenuità, il grossolano dell’uomo così si stempera nell’universale luce degli intelletti incorporei, fino alla contemplazione della suprema bellezza di Dio.

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NOTE:

(1) Antonio Bruers fornisce una descrizione del codice a pagina 16 dell’introduzione a sua firma de Il Senso delle cose e la Magia di Campanella, riedita di recente (1987) per i tipi del F.lli Melita.

(2) In effetti, la particolarità principale del testo è costituita dall’assenza di riferimenti direttamente religiosi e mistici. Per il resto, la tradizione patristica abbonda di indicazioni ascetiche ben più pregnanti di quelle descritte nella Prattica. Si pensi, a puro titolo di esempio, agli scritti ascetici di Isaia Anacoreta, di Simone di Taibuteh o di Simeone il Nuovo Teologo. È precisamente la definizione di filosofica che caratterizza con grande interesse l’estasi descritta dal nostro testo, ed è proprio questa caratterizzazione che rende, come vedremo, praticamente certa l’attribuzione alla scuola campanelliana.

(3) Il moltiplicare riferimenti di tecnica estatica e pratica di meditazione, da un certo punto di vista, per quanto perfettamente legittimo in un’ottica di tipo comparativista ormai largamente in uso – che la sua matrice sia tradizionalista o più semplicemente legata al metodo di indagine affermato in campo storico-religioso dagli scritti di Eliade, è, in questo caso, esattamente la stessa cosa – è una notevole fonte di confusione. Come si potrà notare più innanzi, infatti il quadro di riferimenti cui attinge la Prattica è abbastanza determinato e delimitato all’interno di precisi riferimenti filosofici di carattere prettamente telesiano, abbastanza distanti, peraltro, dal puro e semplice neoplatonismo che forma la base comune di parte consistente della tradizione mistico contemplativa occidentale. In casi simili, il comparativismo aiuta solo se si ha ben presente l’esatto quadro di riferimenti del testo che si prende in esame.


(4) «… Si rammenterà che l’allievo tedesco di Campanella, Tobia Adami, portò alcuni manoscritti campanelliani in Germania dove infine li pubblicò. Egli li portò a Tubinga tra il 1611 e il 1613, dove viveva Johan Valentin Andreae che, autore o non dei manifesti dei Rosacroce, era certamente in rapporto con il gruppo di cui essi sono espressione. Sembra fuor di dubbio che le idee di Campanella giungessero a conoscenza di Andreae in questo modo e anche attraverso un altro tedesco, il suo intimo amico Wense, che andò a trovare Campanella a Napoli nel 1614… Per il tramite di quegli allievi tedeschi che lo andarono a visitare in prigione e che portarono alcune sue opere in Germania, si stabilì dunque un legame fra Campanella e i Rosacroce… » (F. A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Bari 1985, pag. 445). Le corrispondenze evidenti tra la produzione di Andreae e gli scritti di Campanella (in particolar modo La città del sole) sono trattate anche in un altro libro della Yates: L’illuminismo dei Rosacroce, Einaudi, Torino 1980, nel capitolo 11.


(5) Sinteticamente, con particolare riferimento alle rispettive concezioni dell’anima, una breve disamina dei telesiani è compiuta da D. P. Walker (Spiritual and demonic magic from Ficino to Campanella, Warburg Institute, London 1958) che alla filosofia di Telesio e dei suoi epigoni dedica un capitolo.


(6) «L’analogia di queste due forze con l’amore e l’odio di Empedocle è evidente» afferma Geymonat (Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 2 pag. 146). D’altro canto, in tema di riferimenti della teoria telesiana, già Bacone affermava la sostanziale identità dei principi telesiani con quelli parmenidei, ed identificava altresì in Plutarco una delle fonti di Telesio (su questi ed altri aspetti della filosofia di Telesio vedi R. Bondì, Introduzione a Telesio, Laterza, Bari 1997).

(7) Notevoli sono le somiglianze che qualcuno potrà notare tra il pensiero magico-ermetico tradizionale ed alcuni aspetti della filosofia telesiana. Ciò soprattutto se si ha riguardo al fatto che la materia universale – in Telesio dotata di sostanza ben distinta dallo spazio vuoto o da una natura puramente potenziale – è dotata di sensibilità (facoltà intrinseca e non legata alla presenza o meno di organi percettivi, il cui ruolo Telesio considera incidentale). Sensibilità universale, anima materiale e sottile ed altre evidenti eco ermetiche sembrerebbero avvicinare la filosofia della natura telesiana a quella di altri filosofi rinascimentali. È però anche vero che, d’altro canto «… l’immagine che del saper e del sapiente ebbe Telesio è opposta a quella degli esponenti della magia e presenta significativi punti di contatto con quella dei fondatori della modernità… si professa amante e cultore di un sapere totalmente umano che non lascia spazio ad oscure rivelazioni… giudica una nefandezza il nascondimento della verità. Su quest’ultimo punto, in particolare, la posizione di Telesio è tanto lontana da quella dei maghi e degli alchimisti quanto è vicina a quella dei moderni» (R. Bondì, op. cit. pag.19). Giusta è anche l’osservazione di M. Agrimi: «… la critica telesiana dello scolasticismo aristotelico a favore di una Natura autonoma, dotata di forza-sensibilità propria, da seguire e conoscere esclusivamente col senso all’interno dei suoi processi, deve anche essere criticamente vigile di fronte all’istanza platonica di una Natura come libro vivente di Dio (codicem Dei vivum) che stabilisce connessioni e corrispondenze tra natura e forza divina, tra macrocosmo e microcosmo, tra materia e spirito, tra corpo e anima, legittimando così anche quella ricerca magica, astrologica, fisiognomica, nella quale Campanella può, in qualche misura, incontrarsi col Della Porta, mentre questi poi appare poco sensibile – ed è significativo – alle tematiche telesiane, pur largamente circolanti nella Napoli del suo tempo» (M. Agrimi, Telesio nel Seicento napoletano in AA.VV., Bernardino Telesio e la cultura napoletana, Napoli, 1992 Guida ed.).
Ben diversa, invece, la questione in riferimento a filosofi come Persio e Campanella. Al riguardo del primo P. D. Walker (op. cit.), esprimeva già il dubbio che in realtà il Trattato dell’Ingegno dell’Huomo (1576) fosse un vero e proprio trattato di magia interiore. In realtà, di là della dubbiosa annotazione di Walker, la lettura del trattato sull’ingegno umano di Persio non lascia effettivamente adito a dubbi in merito ai prestiti ed ai riferimenti alla dottrina ermetico-alchemica.

(8) Per la verità Telesio, nelle edizioni definitive della sua opera principale – il De rerum natura iuxta propria principia – sembra introdurre uno strano ossequio all’aristotelismo dominante (o forse alla teologia cattolica) ammettendo l’esistenza di un’anima puramente intellettuale, direttamente insufflata da Dio nell’uomo. Da più parti si è notato però che, in realtà, quest’anima tardivamente apparsa nel De rerum natura rimane assolutamente scollegata, nei fatti, dalla concatenazione dei principi e delle realtà naturali del sistema filosofico del Telesio.

(9) L Bolzoni, Conoscenza e piacere. L’influenza di Telesio su teorie e pratiche letterarie fra Cinque e Seicento in AA.VV., Bernardino Telesio e la cultura napoletana, Guida, Napoli 1992.

(10) D’altro canto, in Persio il riferimento astrologico, pur ammesso, si vuota parecchio della valenza che riveste, ad esempio, negli scritti del neoplatonico Ficino. Analogamente, dalla produzione del Persio, si evince una maggior inclinazione verso il potere delle immagini ed una minore attitudine agli influssi celesti del suono.

(11) Cfr. P.D. Walker, Op. Cit.

(12) Analogamente la bellezza di una persona può incantare lo spirito di un contemplante: «… perché da gli occhi di persona bella partonsi raggi di spirito, et per gli occhi passando come per vetri, vanno a ferire il contemplante, et in quello s’imprimono, et moltiplicansi movendo lo spirito nostro, il quale stava ammirato. Simile viene a essere la cagione de lo ‘ncantesimo che fanno le strighe, le quali con gli occhi velenosi guatando i fanciulli, od altri, li voltano, et torcono in qual maniera lor piace, come a lungo se n’è ragionato per altri…» (Persio, op. cit. pag. 77).

(13) Il lettore attento, in questi spiriti che si innalzano fino al cervello, ed esalano attraverso i fori del corpo portando all’estasi, avrà già identificato una notevolissima analogia con quanto abbiamo già letto a proposito delle sublimazioni dello spirito nella Prattica. Si inizia a delineare dunque con chiarezza il quadro teorico e filosofico di riferimento della tecnica di meditazione ivi descritta.

(14) Sulla magia astrologica in Campanella e sugli influssi ficiniani rimandiamo a P. D. Walker Op. cit. ed al libro di Frances Yates, Giordano Bruno cit., che dedica alla magia campanelliana un interessante capitolo (pgg.389-428).

(15) È il sermone che si apre col commento a Can 2,3: «Il Re mi ha introdotto nella cella del vino e ha ordinato in me la carità…». Nel passo del commento bernardiano citato dal Campanella la cella vinaria è la chiesa primitiva o «lo zelo della giustizia che arde nell’amore per la contemplazione di Dio». Più in generale, insomma, la cella vinaria assume il valore simbolico del luogo della contemplazione mistica. Il passo specifico cui si riferisce il Campanella è il seguente: «… Sono infatti due le estasi della beata contemplazione, una nell’intelletto e l’altra nell’affetto, una nella luce, l’altra nel fervore, una nella cognizione, l’altra nella devozione; perciò l’affetto della pietà e il petto acceso d’amore e l’infusione della santa devozione, e anche lo spirito ripieno di ardente zelo, non si riportano da altrove che dalla cella vinaria. E a chiunque è dato di alzarsi dall’orazione con l’abbondanza di questi doni può con verità dire: Il Re mi ha introdotto nella cella vinaria…» (Bernardo di Chiaravalle, Sermoni 2 voll., a cura di Domenico Turco, ediz. Vivere In, Roma 1986).

(16) In un passo precedente il Campanella fa ancora riferimento a Ermotimo a proposito della trasmigrazione dell’anima di quest’ultimo in un cervo, ipotesi che egli trae da Plutarco, Plinio ed Erodoto, e che rifiuta decisamente. Ci piace ricordare anche il passo leopardiano: «… Io piuttosto credo che dorma, e che questo sonno sia della qualità di quello di Epimenide, che durò un mezzo secolo e più; o come si dice di Ermotimo che l’anima gli usciva del corpo ogni volta che voleva, e stava fuori molti anni, andando a diporto per diversi paesi, e poi tornava, finché gli amici per finire questa canzona, abbruciarono il corpo; e così lo spirito ritornato per entrare, trovò che la casa gli era disfatta, e che se voleva alloggiare al coperto, gliene conveniva pigliare un’altra a pigione, o andare all’osteria…» (dal Dialogo d’Ercole e di Atlante in Operette Morali). Alcune delle fonti della storia di Ermotimo sono in Apollonio, Hist. commentit. cap. 3. Plinio, lib 7, cap. 52. Tertulliano, de Anima cap. 44. Luciano, Encom. Musc. opp. tom. 2, p. 376. Origene, Contra Cels. lib. 3, cap. 32.

(17) Il riferimento scritturale è Corinti II, 12, 2-4: «… Conosco un uomo in Cristo il quale, 14 anni fa – se nel suo corpo o fuori del suo corpo non so, lo sa Iddio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se nel suo corpo, o fuori del suo corpo, non lo so, Iddio lo sa – fu rapito in Paradiso e udì parole ineffabili, che non è dato all’uomo di poter esprimere». L’ermeneutica del ratto di S. Paolo e della sua ascesa al terzo cielo è un vero e proprio topos all’interno della trattatistica ermetica tardo-rinascimentale. Ad es. in A. Farra (Settenario dell’humana riduttione, Casalmaggiore Farra de’ Bartoli, 1571): «… Questo nostro veicolo ethereo dunque, è di modo proprio, et congiunto all’animo, che per mezzo d’esso, dicono i Platonici, farsi l’estasi, i ratti, i furori divini, tutte la alienationi mentali et altri simili avvenimenti per i quali per uno spatio di tempo l’anima rimane come dal corpo separata: percioché ella in questa spoglia intrinseca vivendo, è da quella mossa et portata; essendo questo corpo celeste dilatabile a guisa del raggio divino, che in un subito, et con guardo solo si trasporta al cielo, et in altre lontane parti, secondo che ci occorre di rivolgerci con gli occhi: ne altrimenti, come predica il gran Ficino, ascese vivendo Paolo apostolo infin al terzo cielo, et però esclamava in quell’atto ch’egli non sapeva se nel corpo o fuori dal corpo fosse: et possiamo dire ch’egli essendo fuori dal material, in questo celeste corpo si ritrovasse…».

(18) Il passo è tratto dal Cap. 7, articolo 6 Delle cinque specie di estasi e del ratto, e in particolare del ratto dell’apostolo Paolo. Causa e modi di esse (pag. 135 dell’edizione citata).

(19) T. Campanella, Le creature soprannaturali, in Inediti Theologicorum liber V a cura di R. Amerio, Centro Internazionale di Studi Umanistici, 1970. L’angelologia campanelliana esposta in questo testo – specie nella prima parte della trattazione – ha forti debiti nei confronti del trattato su Le Sostanze Separate di Tommaso d’Aquino.


Bibliografia essenziale:

AA.VV.- Archivio dell’Unicorno 2, Autunno 1976
AA.VV. – Bernardino Telesio e la cultura napoletana, Guida, Napoli 1992
Bernardo di Chiaravalle – Sermoni 2 voll., a cura di Domenico Turco, ediz. Vivere In, Roma 1986
Bondì Roberto – Introduzione a Telesio, Laterza, Bari 1997
Campanella Tommaso – La pratica dell’estasi filosofica a cura di Salvatore Mariano, Sear, Scandiano 1987
Campanella Tommaso – Il senso delle cose e la magia a cura di Antonio Bruers, Melita, Milano 1987
Campanella Tommaso – Le creature sovrannaturali – inediti theologicorum liber V a cura di Romano Amerio, Centro internazionale di Studi Umanistici, Roma 1970
Campanella Tommaso – Magia e grazia – inediti theologicorum liber XIV a cura di Romano Amerio, Istituto di Studi Filosofici, Roma 1957
A. Farra – Settenario dell’humana riduttione Casalmaggiore Farra de’ Bartoli, 1571
L. Geymonat – Storia del Pensiero filosofico e scientifico vol. 2, Garzanti, Milano 1977
Persio Antonio – Trattato dell’ingegno dell’Huomo, a cura di Luciano Artese, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1999
Telesio Bernardino – La natura secondo i suoi principi a cura di R. Bondì, La Nuova Italia, Scandicci 1999
Walker. D.-P. – Spiritual and demonic magic from Ficino to Campanella, The Warburg Institute, London 1958.
Yates F. A. – Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica, Laterza, Bari 1989
Yates F. A. – L’illuminismo dei rosacroce, Einaudi, Torino 1980