ELIPHAS LEVI – IL NUCTÉMÉRON DI APOLLONIO DI TIANA

(dal Dogme et rituel de l’haute magie)

Eliphas Levi nel 1850, da un quadro appartenuto all’allieva Mary Gebhard.

Pagina on-line dal 02/05/2021

Introduzione.

Tra i passi dell’opera di Eliphas Levi (Alphonse Louis Constant, 1810-1875) che più intensamente hanno impresso la propria influenza sugli occultisti francesi fin de siècle, difficilmente se ne potrebbe trovate uno di maggior rilievo del Nuctéméron, il testo che, in appendice al secondo tomo del suo Dogme et Rituel de l’Haute Magie, il padre putativo degli occultisti francesi riporta attribuendone la paternità ad Apollonio di Tiana.

Un’intera generazione di occultisti sceglie il proprio nom de plume proprio attingendo alla variegata schiera dei demoni del Nuctéméron. È il Balzac de l’occultisme, al secolo Gérard Encausse, ad aprire la serie firmandosi, coerentemente con la sua professione, Papus, genio della medicina appartenente alla schiera della prima ora del Nuctémeron. Segue a ruota il conte René Philipon, dignitario del rito di Memphis e Misraim, Superiore Incognito martinista e collaboratore della prima ora de L’Initiation, che si firma Jean Tabris, dal nome del genio del libero arbitrio della sesta ora. Continuano la serie i fratelli  Albéric-Alexandre e Abel Thomas, entrambi misraimiti, ermetisti noti rispettivamente con il nome di Marnès – genio del discernimento degli spiriti, appartenente alla schiera della dodicesima ora, e di Abel Hataan – dal nome del genio che nasconde i tesori, appartenente alla schiera della sesta ora. Infine, ricordiamo Emanuel Lalande (1868-1926), genero del celebre guaritore e mistico Maître Philippe, membro del primo consiglio supremo martinista e stretto collaboratore di Papus, che si dà il nome di Marc Haven, dal nome del genio della dignità della schiera della prima ora (1).

La cosa diviene quasi una regola, e in uno della infinita serie dei suoi libretti divulgativi lo stesso Papus non manca di annotare: «Quasi tutti gli occultisti adottano degli pseudonimi, seguendo in ciò la regola degli illuminati. La maggior parte di questi pseudonimi sono tratti dal Nuctéméron di Apollonio di Tiana» (2).

Il Nuctéméron, nei fatti, diviene una lettura di base negli ambienti occultisti, travalicando l’oceano insieme all’opera di Eliphas Levi; un riferimento diretto è reperibile anche nell’Isis Unveiled della Blavatsky, che, peraltro, in nota, si lamenta dell’oscurità del testo, inintelligibile per chiunque sia meno sapiente dell’occultista francese (3).

Il Levi, che fornisce un testo greco e una traduzione accompagnata dal suo commento esplicativo, afferma di aver tratto l’originale da un De vita e morte Moysis attribuito a un Gilberto Gautrinus. Questo nome, tuttavia, non è riconducibile ad alcun autore conosciuto (4), e il De vita et morte Moisis è invece un’opera ben nota, data alle stampe nel 1629, a firma dell’orientalista e poliglotta Gilbert Gaulmin (1585-1665)(5), erudito ebraizzante e cabalista cristiano.

Delle due edizioni (la parigina del 1625 e la amburghese del 1714), quella che cita Apollonio di Tiana alla pagina indicata da Levi, è l’edizione del 1714.

Gaulmin, tuttavia, non riporta alcun testo – né greco né in altra lingua – del Nuctéméron, si limita a citare il titolo dello scritto attribuendolo a uno Pseudo-Apollonio di Tiana e mettendolo in relazione con le ore deputate ai carmi e alle lodi. Gaulmin, nel passo cui fa riferimento Levi, sembra alludere al Nuctéméron come a qualcosa su cui si era già intrattenuto in precedenza, ma non riporta alcuna citazione testuale riferibile all’opera.

Lasciamo al lettore la cura di verificare il secondo riferimento bibliografico di Levi, l’inidentificabile testo di Laurentius Moshemius (1693-1755), nel quale dovrebbe trovarsi riprodotto il testo greco originariamente trascritto da Gaulmin, e, in mancanza di testimoni ulteriori, consideriamo in questa sede che il testo del Nuctéméron sia genuina invenzione dell’ abbé Constant, che è quindi autore, col nom de plume di Eliphas Levi, di un ottimamente riuscito falso letterario. Col Nuctéméron, del resto, a partire dalla debole traccia di una citazione di Gaulmin, Eliphas Levi restituiva al lettore avido di meraviglioso dei suoi libri di divulgazione magica, un suggestivo testo dal denso simbolismo e un commentario cabalistico da meditare.

Ora, anche la scelta di un padre putativo come Gaulmin – eccentrico esegeta delle sacre scritture e, per questo, anche inquisito e imprigionato alla Bastiglia – per un testo come quello che il Constant presenta al lettore, non è casuale. Gaulmin era, in fondo, l’autore della traduzione latina de De Operatione Daemonum (Parigi, 1615) di Michele Psello, e dunque ben si sarebbe trovato in compagnia delle schiere di geni evocate nel Nuctéméron.

Fatto sta che il testo, letto e citato da generazioni di occultisti senza che nessuno mai sentisse il bisogno di verificarne le fonti, rimane, nell’ambito del magismo contemporaneo, uno dei più diffusi e longevi.

Non bisogna tuttavia dimenticare che Levi, nello stabilire il testo del Nuctéméron, poteva contare su fonti ben più straordinarie e autorevoli di quelle abituali della filologia e della tradizione letteraria. Egli stesso, nel primo volume del Dogme, ci racconta in dettaglio l’esperienza – ripetuta – dell’evocazione di Apollonio, avvenuta a Londra nel corso di un suo viaggio nella capitale inglese. Ci permettiamo di tradurre di seguito il lungo passo, poiché esso, come si vedrà, non è privo di relazione con le origini del testo di cui ci stiamo occupando. Il lettore già familiare col racconto di Levi ci scuserà della lungaggine:

 

«All’inizio del 1854 ero andato a Londra per sfuggire a certi dolori interiori e dedicarmi, senza distrazioni, alla scienza (6). Avevo delle lettere di introduzione per personaggi eminenti e curiosi delle rivelazioni del mondo sovrannaturale. Ne vidi diversi, e trovai in essi, insieme a molta gentilezza, un grande fondo di indifferenza o leggerezza. Mi si domandava subito di produrre prodigi, come si fa con un ciarlatano. Ero un po’ scoraggiato perché, a dire il vero, lungi dall’essere disposto a iniziare gli altri ai misteri della magia cerimoniale, io stesso ne avevo sempre temuto le illusioni e le fatiche. D’altro canto, queste cerimonie esigono un materiale dispendioso e difficile da reperire. Mi isolai dunque nello studio dell’alta cabbala, e non pensai più agli adepti inglesi, sino a quando, un giorno, rientrando al mio albergo, trovai un plico al mio indirizzo. Questo plico conteneva la metà di un foglio di carta tagliato trasversalmente, sul quale riconobbi subito il carattere del sigillo di Salomone, insieme a un foglio piccolissimo, sul quale era scritto a matita: “Domani, alle tre, davanti all’Abbazia di Westminster vi si presenterà l’altra metà di questa carta”. Mi recai a questo singolare appuntamento. Una vettura stazionava sul posto. Io avevo in mano, senza affettazione, il mio frammento di carta. Si avvicinò un domestico e, aprendomi la portiera della vettura, mi fece un segno. Nella vettura c’era una dama in nero, il cui cappello era ricoperto di un velo assai spesso, che mi fece segno di montare in carrozza vicino a lei, mostrandomi l’altra metà del foglio che avevo ricevuto. La portiera si richiuse, la vettura si avviò. La dama ritirò il velo e io potetti vedere che avevo a che fare con una persona anziana, con sopracciglia grigie ed occhi neri straordinariamente vivi e stranamente fissi.

“Signore – mi disse con un accento inglese assai pronunciato – io so che la legge del segreto è rigorosa presso gli adepti; un’amica del signor B.*** L.*** (7), che vi ha visto, sa che vi si sono domandate delle esperienze e che voi vi siete rifiutato di soddisfare questa curiosità. Forse non avevate le cose necessarie; io vi mostrerò un gabinetto magico completo, ma, anzi tutto, vi domando il più inviolabile segreto. Se non mi fate questa promessa sul vostro onore, darò ordine che vi si riconduca a casa”.

Feci la promessa che si esigeva da me, e le sono ancora fedele oggi, nascondendo il nome e la posizione della dama, che ben presto riconobbi per essere un’iniziata non precisamente del primo ordine, ma di grado assai elevato.

Avemmo diverse lunghe conversazioni durante le quali ella insisteva sempre sulla necessità della pratica per completare l’iniziazione. Mi mostrò una collezioni di vesti e strumenti magici, e mi prestò anche qualche libro curioso che mi mancava. In breve, ella mi convinse a tentare presso di lei l’esperienza di un’evocazione completa, alla quale io mi preparai per ventuno giorni, osservando scrupolosamente le pratiche che ho indicato nel tredicesimo capitolo del rituale.

Tutto sarebbe stato portato a termine il 24 luglio: si trattava di evocare il divino Apollonio e di interrogarlo su due segreti, uno che mi concerneva, l’altro che interessava questa dama. Ella aveva all’inizio contato di assistere a quest’evocazione con una persona di sua fiducia, ma, all’ultimo momento, questa persona ebbe paura e, dal momento che per i riti magici sono rigorosamente necessari o il ternario o l’unità, io fui lasciato solo. Il gabinetto in cui operavo era ricavato in una torretta; avevo a disposizione quattro specchi concavi, una sorta di altare, la cui sommità di marmo bianco era circondata da una catena di ferro calamitato. Sul marmo bianco era inciso e dorato il segno del pentagramma, quale è rappresentato a pagina 105 di questa stessa opera, e il medesimo segno era tracciato, in diverse colorazioni, su una pelle di agnello nuova e bianca che era stesa sopra l’altare. Al centro della tavola di marmo c’era un fornelletto con del carbone di legno d’acero e di lauro; un altro fornelletto era piazzato innanzi a me su di un treppiede. Io ero vestito con una veste bianca molto simile a quella dei nostri preti cattolici, ma più ampia e lunga, e portavo sulla testa una corona di foglie di verbena intrecciate in una catena d’oro. In una mano stringevo una spada nuova e nell’altra il Rituale. Accesi i due fuochi con le sostanze richieste e preparate, e cominciai, dapprima a bassa voce, poi alzandola per gradi, le invocazioni del Rituale. Il fumo si allargò, la fiamma faceva vacillare tutti gli oggetti che rischiarava, poi si spense. Il fumo si elevava bianco e lento sull’altare di marmo, mi sembrò di sentire una scossa di terremoto, le orecchie mi tintinnavano e il cuore mi batteva con forza. Rimisi qualche ramo e dei profumi sui fornelli, e quando la fiamma se ne elevò vidi distintamente, davanti all’altare, una figura d’uomo più grande del normale, che si decomponeva e svaniva. Ricominciai le evocazioni e andai a piazzarmi in un cerchio che avevo tracciato in precedenza tra l’altare e il treppiede. A poco a poco, vidi allora schiarirsi il fondo dello specchio che mi era di fronte ed era posto dietro l’altare, e sulla superficie vi si disegnò una forma biancastra, che cresceva e sembrava  avvicinarsi progressivamente. Chiamai tre volte Apollonio chiudendo gli occhi, e, quando li riaprii, c’era un uomo innanzi a me tutto avviluppato in una sorta di lenzuolo che mi sembrava essere grigio piuttosto che bianco. La sua figura era magra, triste e senza barba, il che non corrispondeva precisamente all’idea che mi ero fatta di Apollonio. Provai una straordinaria sensazione di freddo, e quando aprii la bocca per interpellare il fantasma, mi fu impossibile articolare alcun suono. Misi allora la mano sul segno del pentagramma, e diressi verso di lui la punta della spada comandandogli mentalmente, con questo segno, di non spaventarmi e di obbedirmi. Allora la forma divenne più confusa, e improvvisamente poi sparì. Gli comandai di tornare: allora sentii passarmi vicino come un soffio, e, poiché qualcosa mi aveva toccato la mano che teneva la spada, sentii immediatamente il braccio intorpidito sino alla spalla. Intuii che quella spada poteva offendere lo spirito, e la piantai vicino a me con la punta conficcata all’interno del cerchio in cui ero. La figura umana riapparve subito, ma io provai un tale indebolimento nelle mie membra, e mi sentii tanto venire meno, che feci due passi per sedermi. Da quando fui seduto, caddi in un assopimento profondo, accompagnato da sogni di cui, al risveglio, non mi rimasero che confusi e vaghi ricordi. Per diversi giorni ebbi le braccia intorpidite e doloranti. La figura non mi aveva parlato, ma sembrava che le questioni intorno a cui dovevo interrogarlo si fossero risolte da sole nel mio spirito. A quella della dama, una voce imperiosa rispondeva in me: morto! (si trattava di un uomo di cui le voleva sapere notizie). Quanto a me, io volevo sapere se sarebbero stati possibili il perdono e il riavvicinamento tra due persone alle quali pensavo (8), e la medesima eco interiore rispondeva impietosamente allo stesso modo: morti!

In questa sede, voglio raccontare i fatti per come si sono svolti, non voglio imporli alla fede delle persone. L’effetto di quest’esperienza su di me fu qualcosa di inesplicabile. Non ero più lo stesso uomo, qualcosa di un altro mondo era passata in me. Non ero più né gaio, né triste ma provavo una singolare attrazione per la morte, senza, ciò nonostante, essere in  alcun modo tentato di ricorrere al suicidio. Analizzai accuratamente ciò che avevo provato e, malgrado una viva repulsione nervosa che avevo provato, reiterai, a solo qualche giorno di distanza, la stessa esperienza altre due volte. Il racconto dei fenomeni che si produssero differirebbero troppo poco perché io lo debba aggiungere a questa narrazione, forse già u po’ troppo lunga. Ma il risultato di queste due altre evocazioni fu per me la rivelazione di due importanti segreti cabalistici che potrebbero, se fossero conosciti da tutti, cambiare in poco tempo le basi e le leggi della società intera.

Concluderò da ciò che io ho veramente evocato, visto e toccato il grande Apollonio di Tiana? Non sono né abbastanza allucinato da crederlo, né sufficientemente poco serio da affermarlo. L’effetto delle preparazioni, dei profumi, degli specchi, dei pentacoli, è un’autentica ebbrezza dell’immaginazione che deve agire vivamente su una persona già impressionabile e nervosa. Non spiego attraverso quale legge fisica io ho visto e toccato, affermo solo che ho visto e toccato, che ho visto chiaramente e distintamente, senza sogni, e questo è sufficiente per credere all’efficacia reale delle cerimonie magiche» (9).

 

Si fa strada dunque, concretamente, l’ipotesi che l’introvabile testo del Nuctéméron derivasse dall’amistà del mago con lo spirito del defunto Apollonio. Nelle tre successive evocazioni, il mago pagano avrebbe avuto, in effetti, tutto il tempo di trasmettere il testo greco dell’operetta al cristianissimo abbé Constant, o di indicargli dove reperirlo. Del resto, a questa ipotesi non si adatterebbe male neanche quella frase, un po’ sorniona e compiaciuta, che Levi antepone al testo e alla traduzione: nous n’avons pas seulement évoqué Apollonius, nous sommes parvenu peut-être à le ressusciter.

Paul Chacornac, in effetti, basandosi sui carnet inediti di memorie del Constant, conferma la relazione diretta tra l’evocazione di Apollonio e il “rinvenimento” del Nuctéméron, e, nel contempo,  ci relaziona con maggiore dettaglio su ulteriori cerimonie di evocazione. La serie delle esperienze londinesi di magia cerimoniale (più lunga e varia delle tre cui Levi accenna nel Dogme) si sarebbe dipanata nell’arco temporale tra il 20 e il 26 luglio 1854. La prima evocazione, di cui nel Dogme et Rituel non si fa cenno, avrebbe portato al contatto con Giovanni l’Evangelista e con Jéhosua, ovvero il Giosué biblico. È assai probabile che il mago parigino, che affida le memorie dell’operazioni a un suo privato carnet di appunti, fosse poco incline a relazionare nei suoi scritti a stampa il coinvolgimento nelle sue cerimonie magiche di personaggi direttamente provenienti dall’Antico e Nuovo Testamento: ciò avrebbe significato risvegliare ulteriormente l’astio di una curia romana e di un clero francese con cui i rapporti dell’ex-abbé erano da sempre già sufficientemente tesi. Fu solo nella seconda delle operazioni magiche che venne evocato lo spirito di Apollonio, e, secondo gli appunti consultati da Chacornac, fu proprio nel corso di questa evocazione – proprio quella descritta nel Dogme – che al Constant fu indicato l’indirizzo londinese presso cui avrebbe trovato il Nuctéméron (10).

Questa versione stride con una successiva affermazione di Levi che, rievocando in un altro passo la cerimonia di evocazione di Apollonio (cfr il cap. XIII del Dogme, quello dedicato alla Necromancie), inserisce la recita in greco del Nuctéméron nel rituale stesso, lasciando così intendere di essere già in possesso del testo al momento dell’evocazione.

Le evocazioni successive della serie, comunque, coinvolsero gli stessi personaggi, e Levi ne ottenne istruzioni magiche e pentacoli che annota con cura nei suoi appunti e che, indubbiamente, costituirono gli importanti segreti cabalistici cui accenna nel Dogme.

Qualunque sia la genesi immaginale del testo, quali che siano le tappe e tempi della sua composizione, esso è palesemente frutto della geniale creatività rituale del cabalista parigino.

Di ritorno a Parigi nell’agosto del 1854, alloggerà, in un primo momento, a casa del fedele amico ed allievo Adolphe Desbarolles, il celebre chiromante. Noémi finirà per intentargli causa e, per il maestro, ricco solo della sua esoterica saggezza e del bottino ottenuto nelle sue evocazioni londinesi, inizia un periodo triste e travagliato.

Quanto al fantasma di Apollonio, forse lusingato dal trionfo del suo Nuctéméron che, in appendice all’opera del suo protetto Levi Zahed, aveva così profondamente impressionato un’intera generazione di giovani occultisti, doveva, qualche decennio dopo, ritornare nuovamente nel mondo dei vivi, forse con l’intento di ripetere o consolidare, attraverso un sequel, il suo successo editoriale oltre manica.

Nel 1930 la medium e occultista Marjorie Livingston, firma ricorrente del Light, riceveva infatti, dall’anima disincarnata di Apollonio, un New Nuctemeron (stavolta privo dell’originale greco e ben più prolisso di quello del buon Eliphas Levi), che l’autrice non esitò a pubblicare subito sotto l’egida di un’autorevole prefazione di Sir Arthur Conan Doyle, il grande spiritualista e inventore di Sherlock Holmes (Ryder & Co., London 1930, un’edizione francese uscì in più puntate l’anno seguente, a partire dal numero di maggio della longeva L’Astrosophie di Francis Rolt-Wheeler).

 

 

 

NOTE ALL’INTRODUZIONE:

 

(1) Gli italiani, invece, qualche anno dopo, e specie in ambito kremmerziano, evidentemente esauritesi le disponibilità dal Nuctéméron, preferiranno attingere a Lenain, La Science Cabalistique (Amiens 1823).

(2) L’occultisme et le spiritualisme: exposé des théories philosophiques et des adaptations de l’occultisme, Alcan, Paris 1902, p. 165.

(3) Isis Unveiled, vol 2, cap. 9, p. 167.

(4) Già il Caillet, che si fida ciecamente delle parole di Levi, nel suo Manuel Bibliographique des Sciences Occultes (Paris 1912), alla voce Gautrinus annotava: «Il n’existe pas à la Bibliothèque Nationale, et n’est cité par aucun bibliographe. Voir aussi à ce sujet GAULMYNUS, ou GAULMYN que nous supposons être le véritable nom de Gautrinus indiqué dans le Dogme et Rituel», cfr. Manuel cit. p. 147.

(5) Su Gaulmin vedi François Secret, Gilbert Gaulmin et l’histoire comparée des religions, in Revue de l’histoire des religions, année 1970, 177-1, pp. 35-63.

(ultima visita il 12/04/2021).

(6) Il viaggio di Levi in Inghilterra, cade all’indomani della sua separazione da Marie-Noémi Cadiot (1828-1888), che, con lo pseudonimo di Claude Vignon, fu scultrice, scrittrice, giornalista e militante femminista. Nel 1846, a soli diciotto anni, era fuggita dalla casa paterna per vivere sotto lo stesso tetto del Constant. Le nozze riparatrici, volute dal padre della ragazza, avverranno nel luglio dello stesso anno, e il matrimonio andrà formalmente avanti sino al 1854, anche se, a quanto pare, già a qualche anno prima è da datarsi la relazione tra Marie-Noémi e il marchese di Montferrier, cognato di quell’Hoëné Wronski che tanta influenza aveva avuto nella formazione del Constant. Nel 1854 la piccola Marie, nata sette anni prima, che Alphonse Louis ama teneramente, muore, e Noémi abbandona definitivamente il tetto coniugale. Nel 1865, grazie a un vizio di forma, la Cadiot otterrà l’annullamento del suo matrimonio. È dunque in un periodo di dolore e prostrazione che Eliphas Levi, preceduto dalla fama dei suoi scritti, parte per Londra, dove spera evidentemente, almeno in un primo momento, di trovare un’accoglienza migliore di quella che è riuscito a ottenere in Francia.

(7) Si tratta, con ogni evidenza, di Edward Bulwer Lytton (1803-1873), lo scrittore, drammaturgo e uomo politico inglese che fu autore di classici, quali Gli ultimi giorni di Pompei (1834). Bulwer Lytton, che fu massone e fortemente influenzato dall’esoterismo, disseminò di richiami e riferimenti scopertamente esoterici gran parte della sua produzione letteraria (si pensi a Zanoni e The coming race, rispettivamente datati 1841 e 1871). In particolar modo Zanoni, che racconta le vicende umane e interiori di un mago e iniziato, ebbe duraturo successo negli ambienti esoterici. Qui in Italia, l’occultista di scuola martinista e di militanza kremmerziana Pietro Bornia (1861-1934), dedicò un breve commentario esoterico all’opera (cfr. Il Guardiano della Soglia, Detken & Rocholl, Napoli 1898). Sugli interessi e i contatti esoterici internazionali di Bulwer Lytton vedi il bel saggio di Gaetano Lo Monaco, Edward Bulwer Lytton e l’ambiente iniziatico partenopeo-nilense, in Atrium – Centro studi metafisici  e tradizionali anno VI (2004) n. 3, pp. 6-57.

(8) Avendo presenti le disavventure personali di quel momento, è facile indovinare che le persone cui Eliphas Levi pensava tanto intensamente, interrogandosi sulle possibilità di un reciproco riavvicinamento, erano sé stesso e la moglie Noémi. La sferzante sentenza di morte che il mago sente crescere senza di sé, corrisponde, metaforicamente, all’abbandono di ogni speranza di riconciliazione coniugale.

(9) Traduco il brano da Dogme et rituel de la Haute Magie. Tome Ier : Dogme, nouvelle édition, Chacornac Frères, Paris, 1930, pp. 265-272.

(10) Paul Chacornac, Éliphas Levi, rénovateur de l’occultisme en France (1810-1875), Chacornac, Paris 1926, pp. 150-156. Chacornac, sempre utilizzando la fonte degli appunti privati di Eliphas Levi, dà un certo numero di ulteriori e interessanti particolari sulle evocazioni londinesi, nonché i ritratti, di mano dello stesso mago, dei personaggi evocati.

 

Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.

 

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Eliphas Levi

IL NUCTÉMÉRON DI APOLLONIO DI TIANA.

 

 Traduzione di Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.

 

 

IL NUCTÉMÉRON

di Apollonio di Tiana

Pubblicato in greco da un antico manoscritto da Gilberto Gautrinus (De vita et morte Moysis, libro III, p. 206) e riprodotto da Laurent Moshé-mius nelle sue osservazioni sacre e storico critiche (Amsterdam mdccxxi), tradotto e commentato per la prima volta da Eliphas Levi.

Nuctémeron vuol dire il giorno della notte o la notte rischiarata dal giorno. È un titolo analogo a quello della luce che esce dalle tenebre, titolo di un’opera ermetica abbastanza conosciuta: si potrebbe anche tradurre:

LA LUCE DELL’OCCULTISTMO

Questo monumento dell’alta magia degli assiri è abbastanza curioso dal dispensarci di sottolinearne l’importanza. Non abbiamo solamente evocato Apollonio, forse siamo riusciti a resuscitarlo.

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IL NUCTÉMÉRON

 

Prima ora.

(I) Nell’unità, i demoni cantano le lodi di Dio, perdono la loro malizia e la loro collera.

 

Seconda ora.

(II) Attraverso il binario, i pesci dello Zodiaco cantano le lodi di Dio, i serpenti di fuoco si intrecciano intorno al caduceo e la folgore diviene armoniosa.

 

Terza ora.

(III) I serpenti del caduceo di Hermes si intrecciano tre volte, Cerbero apre la sua triplice gola e il fuoco canta le lodi di Dio con le tre lingue della folgore.

 

Quarta ora.

(IV) Alla quarta ora l’anima ritorna a visitare le tombe. È il momento in cui si accendono le lampade magiche ai quattro angoli del cerchio; è l’ora delle incantagioni e dei prestigi.

 

Quinta ora.

(V) La voce delle grandi acque canta il Dio delle sfere celesti.

 

Sesta ora.

(VI) Lo spirito si mantiene immobile, vede i mostri infernali marciargli contro, ed è senza paura.

 

Settima ora.

(VII) Un fuoco che dà la vita a tutti gli esseri animati, è diretto dalla volontà degli uomini puri. L’iniziato stende la mano e le sofferenze si placano.

 

Ottava ora.

(VIII) Le stelle si parlano, l’anima dei soli corrisponde col sospiro dei fiori, catene di armonia fanno corrispondere tra loro tutti gli esseri della natura.

 

Nona ora.

(IX) Il numero che non deve essere rivelato.

 

Decima ora.

(X) È la chiave del ciclo astronomico e del movimento circolare della vita degli uomini.

 

Undicesima ora.

(XI) Le ali dei geni si agitano con un fruscio misterioso, essi volano da una sfera all’altra e portano di mondo in mondo il messaggio di Dio.

 

Dodicesima ora.

(XII) Qui si compiono con il fuoco le opere dell’eterna luce.

 

 

SPIEGAZIONE.

Queste dodici ore simboliche, analoghe ai segni dello zodiaco magico e ai lavori allegorici di Ercole, rappresentano la serie delle opere dell’iniziazione.

All’inizio bisogna dunque:

1 – Domare le passioni malvage e forzare, secondo l’espressione del saggio Ierofante, gli stessi demoni a lodare Dio.

2 – Studiare le forze equilibrate della natura e sapere in che modo l’armonia risulta dall’analogia dei contrari. Conoscere il grande agente magico e la doppia polarità della luce universale.

3 – Iniziarsi al simbolismo del ternario principio di tutte le teogonie e di tutti i simboli religiosi.

4 – Saper dominare tutti i fantasmi dell’immaginazione e trionfare di tutti le illusioni.

5 – Comprendere come l’armonia universale si produce al centro delle quattro forze elementari.

6 – Divenire inaccessibile alla paura.

7 – Esercitarsi alla direzione della luce magica.

8 – Apprendere a prevedere gli effetti attraverso calcolo del peso delle cause.

9 – Comprendere la gerarchia dell’insegnamento, rispettare i misteri del dogma e tacersi innanzi ai profani.

10 – Studiare a fondo l’astronomia.

11 – Iniziarsi attraverso l’analogia alle leggi della vita e dell’intelligenza universale.

12 – Operare le grandi opere della natura per mezzo della direzione della luce.

Ecco ora i nomi e gli attributi dei geni che presiedono alle dodici ore del Nuctéméron.

Con questi geni, gli antichi ierofanti non intendevano né dèi, né angeli, né demoni, ma piuttosto forze morali o virtù personificate.

 

 

GENI DELLA PRIMA ORA

Papus, medico

Sinbuck, giudice

Rasphuia, negromante

Zahun, genio dello scandalo

Heiglot, genio delle nevi.

Mixkun, genio degli amuleti.

Haven, genio della dignità.

 

Spiegazione.

Bisogna divenire medici e giudici di sé stessi, per vincere i malefici di un negromante. Allontanare e disprezzare il genio dello scandalo, trionfare dell’opinione che congela tutti gli entusiasmi e confonde ogni cosa nel medesimo freddo pallore, come fa il genio delle nevi. Conoscere la virtù dei segni e incatenare così il genio degli amuleti per arrivare alla dignità di mago.

 

 

GENI DELLA SECONDA ORA

Sisera, genio del desiderio.

Torvatus, genio della discordia.

Nitibus, genio delle stelle.

Hizarbin, genio dei mari.

Sachluph, genio delle piante.

Bagis, genio della misura e dell’equilibrio.

Labezerin, genio della riuscita.

 

Spiegazione.

Bisogna apprendere a volere e trasformare così in potenza il genio del desiderio; l’ostacolo della volontà è il genio della discordia che si incatena mediante la scienza dell’armonia. L’armonia è il genio delle stelle e dei mari; bisogna studiare la virtù delle piante, comprendere le leggi dell’equilibrio della misura per arrivare alla riuscita.

 

 

GENI DELLA TERZA ORA

Hahabi, genio della paura.

Phlogabitus, genio degli ornamenti.

Eirnéus, genio distruttore degli idoli.

Mascarun, genio della morte.

Zarobi, genio dei precipizi.

Butatar, genio dei calcoli.

Cahor, genio dell’inganno.

Spiegazione.

Quando, per mezzo della forza crescente della volontà, avrai vinto il genio della paura, saprai che i dogmi sono gli ornamenti sacri della verità sconosciuta al volgo; ma tu abbatterai nella tua intelligenza tutti gli idoli e incatenerai il genio della morte, sonderai tutti i precipizi e, infine, sottometterai l’infinito stesso alla proporzione dei tuoi calcoli; in questo modo tu eviterai per sempre le trappole del genio degli inganni.

 

 

GENI DELLA QUARTA ORA

Phalgus, genio del giudizio.

Thagrinus, genio della confusione.

Eistibus, genio della divinazione.

Pharzuph, genio della fornicazione.

Sislau, genio dei veleni.

Schiekron, genio dell’amore delle bestie.

Ackahayr, genio del gioco.

 

Spiegazione.

La forza del mago è nel suo giudizio che gli fa evitare la confusione risultante dall’antinomia e dall’antagonismo dei principi. Egli pratica la divinazione dei saggi ma sprezza i prestigi degli incantatori schiavi della fornicazione, artisti dei veleni, servitori dell’amore bestiale; così, egli trionfa della fatalità, che è il genio del gioco.

 

 

GENI DELLA QUINTA ORA

Zeirna, genio delle infermità.

Tablibik, genio della fascinazione.

Tacritau, genio della goezia.

Suphlatus, genio della polvere.

Sair, genio dello stibio dei saggi

Barcus, genio della quintessenza.

Camaysar, genio del matrimonio degli opposti.

 

Spiegazione.

Trionfante delle infermità umane il mago non è più un giocattolo nelle mani della fascinazione, calpesta le vane e pericolose pratiche della goezia, la cui intera forza è in una polvere che il vento porta via; egli invece possiede lo stibium dei saggi, si arma di tutte le forze creatrici della quintessenza e produce a suo piacimento l’armonia che risulta, dall’analogia e dal matrimonio dei contrari.

 

 

GENI DELLA SESTA ORA

Tabris, genio del libero arbitrio.

Susabo, genio dei viaggi.

Eirnilus, genio dei frutti.

Nitika, genio delle pietre preziose.

Hataan, genio che nasconde i tesori.

Hatiphas, genio degli ornamenti.

Zaren, genio vendicatore.

 

 

Spiegazione.

Il mago è libero, è il re occulto della terra e la percorre come suo dominio. Nei suoi viaggi, apprende a conoscere il succhi delle piante e dei frutti, le virtù delle pietre preziose, forza il genio che nasconde i tesori della natura a rivelargli tutti i segreti, e così penetra il mistero delle forme e comprende gli ornamenti della terra e delle parola. Se misconosciuto, se i popoli sono inospitali nei suoi confronti, se passa facendo il bene e ricevendone oltraggi, egli è sempre seguito dal genio vendicatore.

 

 

GENI DELLA SETTIMA ORA

Sialul, genio della prosperità.

Sabrus, genio che sostiene.

Librabis, genio dell’oro occulto.

Mizgitari, genio delle aquile.

Causur, genio incantatore dei serpenti.

Salilus, genio che apre le porte.

Jazer, genio che fa essere amati.

 

Spiegazione.

Il settenario esprime il trionfo del mago: egli dà la prosperità agli uomini e alle nazioni e li sostiene coi suoi insegnamenti sublimi; plana come le aquile, dirige le correnti del fuoco astrale rappresentate dai serpenti; tutte le porte del santuario gli sono aperte e tutte le anime che aspirano alla verità gli danno fiducia. È bello per grandezza morale e porta ovunque con sé il genio per la potenza del quale si è amati.

 

 

GENI DELL’OTTAVA ORA

Nantur, genio dell’architettura.

Toglas, genio dei tesori.

Zalburis, genio della terapeutica.

Alphun, genio delle colombe.

Teukiphat, genio dello schamir.

Zizuph, genio dei misteri.

Cuniali, genio dell’associazione.

 

Spiegazione.

Tali sono i geni che obbediscono al vero mago: le colombe rappresentano le idee religiose; lo schamir è un diamante allegorico che, nelle tradizioni magiche rappresenta la pietra dei saggi, ovvero quella forza basata sulla verità e alla quale niente resiste. Gli Arabi dicono ancora che lo schamir donato originariamente ad Adamo e da lui perduto a seguito della caduta, fu ritrovato da Henoch e posseduto da Zoroastro; dicono poi che Salomone lo ricevette in seguito da un angelo quando domandò a Dio la saggezza. Salomone, a mezzo di questo diamante magico, tagliò da solo e senza sforzo e martello le pietre del tempio, semplicemente toccandole con lo schamir.

 

 

GENI DELLA NONA ORA

 

Risnuch, genio dell’agricoltura.

Suclagus, genio del fuoco.

Kirtabus, genio delle lingue.

Sablil, genio che scopre i ladri.

Schachlil, genio dei cavalli del sole.

Colopatiron, genio che apre le prigioni.

Zeffar, genio della scelta irrevocabile.

 

Spiegazione.

Questo numero, dice Apollonio, deve essere passato sotto silenzio, perché racchiude i grandi segreti dell’iniziato, la forza che rende la terra feconda, i misteri del fuoco occulto, la chiave universale delle lingue, la seconda vista innanzi alla quale i malfattori non riuscirebbero a rimanere nascosti. Le grandi leggi dell’equilibrio e del movimento luminoso, rappresentato dai quattro animali simbolici della cabala, e, nella mitologia dei greci, dai quattro cavalli del sole. La chiave dell’emancipazione dei corpi e delle anime che apre tutte le prigioni e quella forza della scelta eterna che compie la creazione dell’uomo e lo fissa nell’immortalità.

 

 

GENI DELLA DECIMA ORA

Sezarbil, diavolo o genio nemico.

Azeuph, uccisore di bambini.

Armilus, genio della cupidità.

Kataris, genio dei cani, o dei profani.

Razanil, genio della pietra d’onice.

Buchaphi, genio delle strigi.

Mastho, genio delle vane apparenze.

 

Spiegazione.

I numeri finiscono col nove, e il segno distintivo della decina è lo zero, senza valore proprio, che si aggiunge all’unità. I geni della decima ora rappresentano dunque tutto ciò che, pur non essendo niente in sé stesso, riceve una grande forza dall’opinione e può di conseguenza subire l’onnipotenza del saggio. Camminiamo qui su di un terreno ardente, e ci si permetterà di non spiegare ai profani né il diavolo, che è il loro maestro, né l’uccisore di infanti che è il loro amore, né la cupidità che è il loro dio, né i cani – ai quali noi non li compariamo – né la pietra d’onice, che loro sfugge, né le strigi che sono le loro cortigiane, né le false apparenze che essi prendono per verità.

 

 

 

GENI DELL’UNDICESIMA ORA

Aeglun, genio della folgore.

Zuphlas, genio delle foreste.

Phlador, genio degli oracoli.

Rosabis, genio dei metalli.

Adjuchas, genio delle rocce.

Zophaz, genio dei pentacoli.

Halacho, genio delle simpatie.

 

Spiegazione.

La folgore obbedisce all’uomo, essa diviene il veicolo della sua volontà, lo strumento della sua forza, la luce delle sue fiaccole; le querce delle foreste sacre rendono oracoli, i metalli si trasformano e si cambiano in oro, oppure divengono talismani, le rocce si staccano dalla loro base e, trascinate dalla lira del grande ierofante, toccate dal misterioso schamir, si cambiano in templi e palazzi; i dogmi prendono forma, i simboli rappresentati dai pentacoli divengono efficaci, gli spiriti sono incatenati da potenti simpatie e obbediscono alle leggi della famiglia e dell’amicizia.

 

 

GENI DELLA DODICESIMA ORA

Tarab, genio della concussione.

Misran, genio della persecuzione.

Labus, genio dell’inquisizione.

Kalab, genio dei vasi sacri.

Hahab, genio delle tavole regali.

Marnès, genio del discernimento degli spiriti.

Sellen, genio del favore dei grandi.

 

Spiegazione.

Ecco ora quale sorte di maghi debbono attendersi e come si consumerà il loro sacrificio, poiché, dopo la conquista della vita, bisogna sapersi sacrificare per poter rinascere immortali. Essi soffriranno per concussione, gli si domanderà dell’oro, dei piaceri, delle vendette, e, se non soddisferanno la cupidità del volgo, saranno esposti alla persecuzione, all’inquisizione; ma non si profanano i vasi sacri, essi sono fatti per le tavole regali, vale a dire per i banchetti dell’intelligenza. Per mezzo del discernimento degli spiriti, sapranno guardarsi dal favore dei grandi e resteranno invincibili nella forza e nella libertà.

 

 

 

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IL NUCTÉMÉRON SECONDO GLI EBREI (1)

 

Il Nuctéméron di Apollonio, mutuato dalla teurgia dei Greci, completato e spiegato dalla gerarchia assira dei geni, corrisponde perfettamente alla filosofia dei numeri, tale quale la troviamo esposta nelle pagine più curiose dell’antico Talmud.

Le tradizioni pitagoriche risalgono a prima di Pitagora, e la Genesi è una magnifica allegoria che, sotto forma di un racconto, nasconde i segreti non solo di una creazione avvenuta nel passato, ma della creazione permanente e universale, dell’eterna generazione degli esseri.

Ecco cosa si legge nel Talmud:

«Dio ha disteso il cielo come un tabernacolo, ha apparecchiato il mondo come una tavola riccamente imbandita e ha creato l’uomo come se invitasse un ospite».

Ascoltate ciò che dice il re Scholomôh:

«La divina Chocmah, la saggezza sposa di Dio, si è costruita una casa, ha scolpito sette colonne.

Ha immolato le sue vittime.

Ha mescolato il suo vino, ha apparecchiato la tavola e ha inviato i suoi servi».

Questa saggezza che stabilisce la sua casa seguendo un’architettura regolare e numerica, è la scienza esatta che presiede alle opere di Dio.

È la sua squadra e il suo compasso. Le sette colonne sono i sette giorni tipici e primordiali.

Le vittime sono le forze naturali che si fecondano dandosi una sorta di morte.

Il vino mescolato è il fluido universale, la tavola è il mondo con i mari pieni di pesci.

I servi di Chocmach sono le anime di Adamo e di Chavah (Eva).

La terra da cui Adamo fu formato è stata presa alla massa del mondo.

La sua testa è Israël, il suo corpo è l’impero di Babilonia e le sue membra sono le altre nazioni della terra.

(Qui si rivelano le speranze degli iniziati di Mosè per la costruzione di un reame orientale universale).

Vi sono dodici ore nella giornata, nelle quali si compie la creazione dell’uomo.

 

 

PRIMA ORA

Dio riunisce i frammenti sparsi della terra, li impasta insieme, ne forma una sola massa che vuole animare.

 

Spiegazione.

L’uomo è la sintesi del mondo creato, in lui ricomincia l’unità creatrice; egli è fatto a immagine e somiglianza di Dio.

 

 

 

SECONDA ORA

Dio abbozza la forma del corpo, la separa in due perché gli organi siano doppi, poiché ogni forza e ogni vita risulta da due, ed è così che gli Eloim hanno fatto tutte le cose.

 

Spiegazione.

Tutto vive attraverso il movimento, tutto si mantiene con l’equilibrio, e l’armonia è la risultante dell’analogia dei contrari; questa legge è la forma delle forme, è la prima manifestazione dell’attività e della fecondità di Dio.

 

 

TERZA ORA

Le membra dell’uomo obbediscono alla legge di vita, si producono da sé stesse e si completano attraverso l’organo generatore che è composto di uno e di due, figura del numero ternario.

 

Spiegazione.

Il ternario scaturisce dal binario da sé stesso, il movimento che produce due produce tre; tre è la chiave dei numeri, perché è la prima sintesi numerale, il triangolo in geometria, prima figura completa e chiusa, generatrice di un’infinità di triangoli, sia regolari che irregolari.

 

 

 

QUARTA ORA

Dio soffia sulla faccia dell’uomo e gli dà un’anima.

 

Spiegazione.

Il quaternario, che in geometria dà la croce e il quadrato, è il numero perfetto; ora, è nella perfezione della forma che l’anima intelligente si manifesta. Secondo quella rivelazione della Mischna, il figlio non sarà animato nel seno della madre che dopo che siano completamente formate tutte le sue membra.

 

 

QUINTA ORA

L’uomo si regge sui suoi piedi, si distacca dalla terra, cammina, va dove vuole.

 

Spiegazione.

Il numero cinque è quello dell’anima, simbolizzata dalla quintessenza, che risulta dall’equilibrio dei quattro elementi; nei tarocchi questo numero è raffigurato dal gran sacerdote o autocrate spirituale, figura della volontà umana; è questa gran sacerdotessa che decide, essa sola, dei nostri destini eterni.

 

 

SESTA ORA

Gli animali passano innanzi ad Adamo ed egli dà a ciascuno di essi il nome che gli conviene.

 

Spiegazione.

L’uomo sottomette la terra e addomestica gli animali col lavoro. Manifestando la sua libertà egli produce il suo verbo, o la sua parola, e la creazione gli obbedisce: qui si completa la creazione primordiale. Dio ha creato l’uomo il sesto giorno, ma alla sesta ora di questo giorno l’uomo completa l’opera di Dio, e, in qualche modo, si crea nuovamente da solo, poiché si fa re della natura che assoggetta alla sua parola.

 

 

SETTIMA ORA.

Dio dà ad Adamo una compagna tratta dalla sostanza stessa dell’uomo.

 

Spiegazione.

Dopo aver creato l’uomo a sua immagine, Dio il settimo giorno si è riposato, perché si era dato una sposa feconda che continuava a lavorare per lui senza cessa; la natura è la sposa di Dio e Dio risposa su essa. L’uomo, divenuto creatore a sua volta attraverso il verbo, si dà una compagna simile a lui e sull’amore della quale egli può ormai riposare. La donna è l’opera dell’uomo, ed è lui che, amandola, la rende bella; è lui che la rende madre. La donna è l’autentica natura umana, figlia e madre dell’uomo, nonna e nipote di Dio.

 

 

OTTAVA ORA

Adamo ed Eva montano sul letto nuziale: sono due quando vi entrano, sono quattro quando ne escono.

 

Spiegazione.

Il quaternario congiunto al quaternario rappresenta la forma che equilibra la forma, la creazione che esce dalla creazione, la bilancia eterna della vita: Poiché sette è il numero del riposo di Dio, l’unità che segue rappresenta l’uomo che lavora e coopera con la natura all’opera della creazione.

 

 

 

NONA ORA

Dio impone all’uomo la sua legge.

 

Spiegazione.

Nove è il numero dell’iniziazione, perché, essendo composto da tre volte tre, rappresenta l’idea per la quale Apollonio dice che il mistero del numero nove non deve essere rivelato.

 

 

DECIMA ORA

Alla decima ora Adamo cade nel peccato.

 

Spiegazione.

Secondo i cabalisti dieci è il numero della materia il cui segno speciale è lo zero. Nell’albero delle sephiroth, dieci rappresenta Malachut, o la sostanza esteriore e materiale. Il peccato di Adamo è dunque il materialismo, e il frutto che si stacca dall’albero rappresenta la carne isolata dallo spirito, lo zero separato dalla sua unità, la scissione del numero dieci che dà da un lato l’unità defraudata e dall’altro il niente o la morte.

 

 

UNDICESIMA ORA

All’undicesima ora il colpevole è condannato al lavoro, e deve espiare il peccato subendone la pena.

 

Spiegazione.

 

Undici nel Tarocco rappresenta la forza. Ora, la forza si acquisisce attraverso le prove. Dio dà all’uomo la pena come mezzo di salvezza; bisogna dunque lottare e soffrire per conquistare l’intelligenza e la vita.

 

 

DODICESIMA ORA

 

L’uomo e la donna subiscono la loro pena, l’espiazione comincia ed è loro promesso il liberatore.

 

Spiegazione.

Tale è il complemento della nascita morale: l’uomo è compiuto perché è votato al sacrificio che lo rigenera. L’esilio di Adamo è simile all’esilio di Edipo: come Edipo, Adamo è padre di due nemici; Edipo ha per figlia la pia e virginale Antigone, dalla discendenza di Adamo nascerà Maria.

Queste misteriose e sublimi rivelazioni dell’unità religiosa negli antichi misteri, si trovano, come abbiamo detto, nel Talmud; ma senza fare ricorso a questa voluminosa compilazione le si possono ritrovare nel commentario di Paulus Ricius sui talmudisti, dal titolo Epitome de Talmudica Doctrina (p. 280 del primo tomo della collezione dei cabalisti di Pistorius).

 

NOTE:

(1) Estratto dall’antico Talmud, chiamato dagli antichi ebrei Mischna.