Pagina on-Line dal 12/05/2012
Il frontespizio dell’editio princeps della versione a stampa dell’Opuscule (1567).
Introduzione
La prima edizione a stampa dell’Opuscule tres-excellent de la vraye philosophie naturelle des métaux, risale al 1567 per i tipi di Guillaume Silvius, imprimeur du Roy ad Anversa. Il testo sarà ristampato poi una prima volta unitamente al Livre de la philosophie naturelle des metaux di Bernardo Trevisano, nel 1574, a Lione per i tipi di Benoist Rigaud (una ulteriore ristampa di questa edizione daterà 1612).
A parte la cospicua produzione manoscritta successiva alle versioni a stampa, che ha come archetipo ora l’una ora l’altra delle edizioni citate, è noto un esemplare antecedente, datato 1560, (manoscritto fr. 1089 della Bibliothèque nationale de France, schedato come autografo) che tuttavia, stando all’analisi condotta nell’edizione critica del testo fatta da Renan Crouvizier, a tutt’oggi la ricerca di maggior spessore condotta sull’autore e sull’opera (1), non è l’archetipo delle edizioni a stampa: esso infatti risulta più corto, privo di una serie di ripetizioni che caratterizzano l’edizione a stampa, e con notevoli differenze lessicali e di stile. D’altro canto l’edizione del manoscritto contiene alcuni particolari che spariscono nell’editio princeps (2).
Di Denis Zachaire (nelle edizioni a stampa troviamo dapprima la variante Zecaire, comune anche al manoscritto fr. 1089, poi Zacaire – nell’edizione del 1574 – ed infine quella universalmente adottata di Zachaire) non si conoscono altre opere ragionevolmente attribuibili, ad eccezione di una raccolta di 12 lettere, oggi perduta, di cui troviamo traccia nei diari di John Dee. L’alchimista elisabettiano, che conosceva l’edizione del Silvius (editore anche, tra le altre cose, nel 1564, della sua Monas Hieroglyphica), oltre all’opera che conosciamo e di cui pare avesse eseguito una traduzione inglese andata poi accidentalmente bruciata nel 1587, pare avesse dato la propria copia di queste lettere all’erudito ed uomo politico insigne Richard Candish, con il patto espresso che rimessero segrete e che, se fosse morto prima Dee, le lettere, sarebbero state restituite ad uno dei suoi figli; nel caso contrario, ovvero di una precoce morte di Candish, le lettere sarebbero subito tornate nelle mani di Dee. In effetti, per quanto se ne sa, Candish morì prima di Dee, per cui il mago dovette in qualche modo rientrare in possesso delle dodici missive, tuttavia di esse si è poi persa ogni traccia.
Il testo di Zachaire risulta in modo lampante, anche al lettore meno attento, strettamente imparentato con Le livre de la philosophie naturelle des métaux di Bernardo Trevisano. Le analogie sui due testi sono infatti facilmente rilevabili. Sia l’uno che l’altro, tanto per cominciare, si dilungano su dati biografici, ed in entrambi i casi, se la biografia risulta assolutamente differente per accadimenti e cronologie, uguali sono i topoi cui la narrazione obbedisce. Entrambi gli alchimisti viaggiano, entrambi patiscono traversie e delusioni, entrambi spendono cifre ingentissime, entrambi progrediscono nell’operare grazie all’incontro con un religioso, entrambi patiscono l’incomprensione ed il dileggio di amici e parenti.
Si tratta di un topos che, con varianti e colorazioni differenti, incontriamo in gran parte della letteratura alchemica a sfondo biografico, dal racconto della vita di Palissy, passando per le avventure di Salomon Trismosin, fino alla ottocentesca narrazione autobiografica dell’Hermès Dévoilé.
Altra similitudine riguarda inoltre la struttura stessa dei due testi: entrambi i testi, infatti, fanno ricorso, verso la fine della trattazione, dopo l’esposizione trattatistica vera e propria, all’uso di un’allegoria alchemica.
Se accettiamo la datazione comunemente adottata del testo del Trevisano, quella ribadita dal Thorndike, che colloca la composizione del Livre de la philosophie naturelle intorno alla metà del XV secolo, risulta evidente che è il testo di Zachaire (che del resto, indugia sull’aspetto biografico più dello scritto di Bernardo) ad essere debitore del comune stilema biografico. Anche dal punto di vista della tradizione manoscritta il fatto appare indubbio: il più antico manoscritto del Livre de la Philosophie naturelle des metaux è il Lat. 7174 della Bibliothèque Nationale de France e risale al 1512. L’esemplare dell’Opuscule studiato da Crouvizier (il Fr. 1089 della Bibliothèque Nationale de France), come si è detto, è invece datato 1560.
Nel testo di questo manoscritto, Zachaire parla di un viaggio effettuato nel 1546 (sola data indicata nel testo), che sparisce nelle edizioni a stampa, e cita inoltre una rivolta popolare a Bordeaux, anch’essa assente nel racconto a stampa, che corrisponde storicamente alla rivolta dell’agosto 1548 contro la pressione fiscale. Altro avvenimento storicamente collocabile – e presente sia nella versione manoscritta che in quella a stampa – è l’assedio di “Napoli della Romania”, ossia Nauplie, in Grecia, assediata effettivamente dal sultano Solimano il Magnifico (1494-1566) per diciotto mesi (e non venti anni, come recita il testo) tra il 1537 ed il 1538. Nell’allegoria, infine Zachaire fa riferimento alla cornette di Re François, riferendosi presumibilmente a François I°, sul trono dal 1515 al 1547. Tutti questi particolari portano ad accettare come corretta la datazione del 1560 riportata nel manoscritto, ed a datare la composizione dell’opera svariati decenni dopo la data della prima edizione manoscritta del testo di Trevisano.
Ai tempi in cui fu composto l’Opuscule, del resto, il trattato del Trevisano era già famoso e diffuso, ed infatti lo stesso Zachaire lo cita deferentemente per ben cinque volte.
Se una avvincente riproposizione del topos biografico dell’alchimista errante appare essere senz’altro alla base della fortuna editoriale dell’Opuscule, e se è vero che il topos in questione appare convincentemente essere mutuato dal testo di Bernardo, è altresì vero che la biografia mitica di Zachaire produce un seguito che manca sia a Bernardo che agli altri alchimisti che pure, nei loro testi, narrarono delle loro personali avventure. Il seguito compare in un poema dell’alchimista ebreo di origine italiana Mordechaj de Nello (o talvolta de Dello) redatto intorno al 1600 e stampato per la prima volta nel 1702 (3). Leggiamo il passo del poema che narra di Zachaire dalla traduzione francese di Albert-Marie Schmidt (4):
Dionysius Zaccharius, giovane uomo,
Assai presto arrivò alla pietra filosofale,
Ebbe desiderio di visitare il mondo,
Prese con sé una bella donna,
Ed anche un servitore suo parente
E con essi passò in terra straniera.
Il servitore e la bella donna
Si innamorarono l’un l’altro con tutto il cuore.
In pieno segreto e con tutta tranquillità
Essi si appartenevano secondo il loro buon volere.
Fino al giorno in cui arrivarono a Colonia sul Reno,
essi si ingozzarono di dolce vino;
E Zaccharius si accasciò e dormì.
Ben presto il servitore gli corse sopra,
e lo sgozzò con le se mani
Derubandolo di tutto ciò che trovò:
La donna ed il tesoro così bello.
Così arricchito, traversando i fiume,
Egli si trasferì in un paese straniero,
Ove essi erano sconosciuti.
Come nota Crouvizier, «le récit de la fin de la vie de Zecaire, rapporté par Mardochée de Nelle, parait trop romanesque pour n’avoir pas eté inventé» (op. cit. p. 40). Introducendo una donna fatale e trasformando il parente di cui si legge verso la fine dell’Opuscule in un servo avido e infedele, omicida e traditore, il poema di Mordechaj propone una conclusione ricca di pathos e di sapore romanzesco che sarà destinata ad essere tramandata a lungo.
Ma, al di là della biografia mitica che sia l’Opuscule che la successiva agiografia hanno costruito, cosa sappiamo veramente di Zachaire? Quando ci si trova di fronte ad una biografia mitica, ad una serie di topoi letterari che indicano, molto più di un succedersi di avvenimenti, l’appartenenza ad un tradizione, probabilmente questa domanda ha poco senso.
Le biografie degli alchimisti come Bernardo e Denis, seguono una precisa e predeterminata traccia narrativa, in cui le peripezie, le fatiche, i viaggi, sono analogici alle altrettanto travagliate prove e struggimenti della materia nel crogiuolo; il viaggio di questa verso la perfezione della pietra dei filosofi, è tutt’uno col destino soteriologico dell’operatore, le cui prove si confondono con quelle che egli stesso governa nell’athanor. I dati biografici sono dunque piegati ad un’esigenza simbolica che li rende secondari, quando non pretestuosi. E, dunque, dal punto di vista storico, inaffidabili. Per Zachaire il raggiungimento della pietra, la trasmutazione dopo quindici anni di ricerche, avviene, deve avvenire, nel giorno di Pasqua, nel giorno della Resurrezione, così come il giorno dopo la Pasqua dell’anno prima (1549, secondo la cronologia desumibile da racconto) era cominciato il lavoro.
La decisione di nascondersi dietro uno pseudonimo e di lasciare, come unica traccia, un indovinello, sembra essere la stessa della pietra dei filosofi, dell’Arte stessa, che non parla di sé che attraverso la cifra, l’enigma, celandosi ambiguamente ad ogni troppo indiscreta richiesta di chiarezza, alternando disvelamento e ri-velazione. Così sia il MS fr. 1089 che l’editio princeps del Silvius del 1567 – e la ristampa per i tipi di Benoist Rigaud del 1574 – si presentano ai lettori con un’ottava che svela il vero nome dell’arte, ed un enigma conclusivo envoyé par l’Auteur à ses amys che custodisce il segreto dell’identità dell’autore:
«Ceux qui ceste deuise cognoistront
Pour assuré mon vray nom cognoistront.
Patient va à biens».
L’enigma è irrisolto, e così irrisolta anche è la vera identità di Denis.
Alcuni recenti studi hanno accettato l’ipotesi di un’appartenenza religiosa protestante del nostro misterioso alchimista. Secondo Albert-Marie Schmidt, questo fatto sarebbe provato dall’accoglimento di Denis alla corte di Enrico II di Navarra, dalla scelta, una volta ottenuta la pietra, di ritirarsi a Losanna, ed infine, dalla forma di alcune sue invocazioni poste a conclusione dei capitoli (5).
L’ipotesi è accettata senza riserve da Renan Crouvizier nell’introduzione alla citata edizione critica del MS. fr. 1089, che cita ed appoggia le motivazioni addotte da Schmidt. Pur non negando la probabilità effettiva che il nostro alchimista fosse di religione protestante, tuttavia, bisogna accettare questa ipotesi con riserva al riguardo di alcune delle prove indiziarie addotte, che non sono sempre condivisibili. Nello specifico, l’Enrico II di Navarra (1503-1555) che manda a chiamare e riceve con tutti gli onori il nostro alchimista, non è affatto il campione del protestantesimo (egli anzi fu tra i persecutori degli Ugonotti) che fu invece sua figlia Giovanna III di Navarra (1528-1572), avvicinatasi già in tenera età a quelle idee calviniste che trasmetterà, in seguito, a suo figlio Enrico IV. La stessa pia invocazione con cui Denis chiude alcuni capitoli del suo scritto – la lode e gloria a Gesù Cristo, omnia saecula saeculorum – non è che la trasposizione in volgare di una nota locuzione latina comune anche alla più tradizionale dossologia cattolica, e non presenta il decisivo, esclusivo e specifico carattere protestante che lo Schmidt sembra attribuirgli. D’altro canto la scelta di Losanna e della Germania come luogo di rifugio dopo la scoperta della pietra, appare effettivamente militare a favore dell’ipotesi di uno Zachaire protestante.
Sempre lo stesso autore avanza un’interessante osservazione intorno alla scelta del patronimico Zecaire o Zachaire, forme francesi di Zaccaria, il profeta. Nota lo Schmidt che Denis sceglie nella Bibbia, per nascondersi:
«… il nome del profeta che predisse ad Israele l’avvento del Messia dopo gravi tribolazioni. Come Zaccaria nelle sue visioni, come il Cristo, Zecaire non conquista la pietra filosofale, redentrice naturale, che dopo dolorose avventure. Il suo pseudonimo riassume la storia della sua vita» (6).
A questa felice intuizione, che conferma la connotazione fortemente simbolica della narrazione dell’Opuscule, ci permettiamo di aggiungere che il libro di Zaccaria è, forse, dopo il solo libro di Daniele, uno dei libri profetici più cari allo sguardo dell’alchimista per le forti connotazioni simboliche che sembrano talvolta rimandare ad un linguaggio vicino a quello dell’arte alchemica. Come ad esempio nel passo della donna nell’efa (Zaccaria V, 5-11, la versione della Vulgata traduceva con amphora l’Efa, antica misura ebraica per le sostanze secche):
«Poi l’angelo che mi parlava venne e mi disse: – alza gli occhi e osserva ciò che sta per apparire -. Io chiesi: – che cosa è quello? -. Mi rispose: – È un’anfora che viene -. Poi soggiunse: – Questa è la loro iniquità in tutto il paese -. Fu quindi sollevato un disco di piombo, ed ecco dentro l’anfora stava una donna. Egli mi disse: – È l’iniquità -. Poi richiudendola dentro al recipiente, gettò sulla bocca dell’anfora la massa di piombo. Dopo questo, di nuovo alzai gli occhi e guardavo: or, ecco venire due donne: Il vento soffiava nelle loro ali, poiché avevano ali simili a quelle d’una cicogna: esse sollevarono l’anfora tra terra e cielo. Allora domandai all’angelo che mi parlava: – Dove portano quell’anfora? -. Mi rispose: – La portano nella terra di Sennaar per costruirle un tempio, terminato il quale l’anfora sarà disposta sopra la sua base – ».
Nel testo più volte citato, Renan Crouvizier ha, con tenacia e competenza, identificato due possibili tracce che porterebbero ad altrettante ipotesi di identificazione della persona nascosta sotto lo pseudonimo di Zachaire o Zecaire. Tuttavia, entrambe queste ipotesi non giungono ad alcun risultato rilevante. La prima di queste ipotesi prende le mosse dallo stesso MS fr. 1089, in cui è incluso il testo dell’Opuscule edito dal Crouvizier. In esso infatti figura ance una traduzione di Arnaldo da Villanova ad opera di un Joanne Cerasius philosophe condomois. Condom è una cittadina della Guyenne a metà strada tra Bourdeaux e Toulose, e dunque a metà strada tra le città in cui Zachaire abita per un determinato periodo. Cerasius è evidentemente un anagramma di Secairus, forma latinizzata di Zecaire. Tuttavia le ricerche del Crouvizier non hanno portato ad alcun riscontro del patronimico nelle regioni di riferimento, e l’unica testimonianza di un Cerasius in qualche modo cronologicamente riconducibile al nostro alchimista sembra essere proprio la traduzione del MS fr. 1089.
L’altra traccia prende le mosse dall’Histoire de la Philosophie Hérmetique di Lenglet-Dufresnoy, in cui, nel terzo volume (a pag. 120, notizia n° 140) si attribuiscono due opere – il Liber de chemico miraculo, quod lapidem philosophie appellant ed un altro Gallicè sub titulo Opuscule de la Philosophie – ad un certo Joh. de Berle. Il De chemico miraculo è generalmente attribuito al Trevisano, mentre l’Opuscule, è, evidentemente, l’opera di Zachaire, che Lenglet Dufresnoy però non associa a Johannes de Berle nella notizia che, nello stesso volume, a pag. 330, dedica a Dionisiii Zacharii Galli. L’associazione ritorna in due annotazioni manoscritte su due copie dell’Histoire della Bibliothèque Nationale de France, nelle quali, accanto alla notizia dedicata a Zachaire rinviano a “de Berle”. Uno degli esemplari annota invece, a lato della notizia dedicata al de Berle, il nome di Zachaire. Johannes de Berle, come alchimista, è citato dal Della Tramutatione metallica sogni tre (Brescia 1572, p. 140), e la citazione viene poi ripresa dalla Bibliotheca chimica di Pierre Borel (Parigi 1654). Il nome appare anche in un’opera manoscritta italiana, il Trilogio della trasmutazione, di epoca rinascimentale recentemente studiata da Amalia Perfetti (7). Crouvizier scopre un testo manoscritto oggi disperso in un catalogo nel fondo Barberini della Biblioteca Apostolica Vaticana, indicizzato come Aurum Potabile, il cui incipit recita: «Magistri Joanni de Berle, doctoris exÿmi ad Federicum Romanorum Imperatorem consulentis eum super melancholiam». Tuttavia nel XVI secolo non sono noti imperatori o regnanti di nome Federico (il più vicino potrebbe essere Federico III d’Asburgo, 1415-1493), e quindi è impossibile che questo Johannes de Berle possa essere il nostro Zachaire. In questo modo anche questa debole traccia finisce in un vicolo cieco.
A Ginevra Zachaire sosta, dopo la trasmutazione, in attesa del parente con cui, nella versione del Ms fr. 1089, si dirigerà Losanna (la versione a stampa parla, più genericamente, di “un certo luogo”). I registri della città, all’epoca, annotavano tutti i nuovi arrivati, eppure, forse per la brevità del soggiorno del nostro alchimista, anche essi non hanno rivelato nulla di utile (8).
Dell’Opuscule di Denis Zachaire esiste un’altra traduzione italiana a cura di Sabino e Rosaria Piccolini, pubblicata in Lo Specchio di Alchimia, trattati alchemici medievali e rinascimentali (Mimesis, Milano 1996, pp. 219-263), successivamente inclusa nella raccolta Il Filo di Arianna – 44 trattati di Alchimia dall’antichità al XVIII secolo, (3. voll, Mimesis, Milano 2001) nel secondo volume, pp. 267-308.
Il testo francese utilizzato per la seguente traduzione è quello apparso con il titolo abbreviato di Opuscule de la Philosophie Naturelle des métaux nel secondo volume della Bibliothèque des philosophes chimiques di Jean Mangin de Richebourg (Paris 1740), che riproduce il testo delle citate edizioni a stampa precedenti.
Per gli spunti ermeneutici che talora suggeriscono, abbiamo incluso anche le rare note che il curatore della Bibliothèque ha ritenuto di dover apporre al testo. Tali note (raggruppate a fine testo) sono indicate da numeri tra parentesi tonda.
Qualche nota del traduttore è indicata invece da lettere in parentesi quadra.
Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.
NOTE ALL’INTRODUZIONE:
(1) D. Zecaire, Opuscule tres-excellent de la vraye philosophie naturelle des metaulx, édition critique, introduction et notes par Renan Crouvizier, SEHA-Arché, Paris-Milan 1999.
(2) Rimandiamo all’analisi delle rilevanti differenze tra il manoscritto e l’editio princeps al bel lavoro di Crouvizier (pp. 23-30).
(3) In Keren happuch: Posaunen Eliae des Künstlers, oder Teutshes Fegfeuer der Scheide-Kunst, Hambourg, 1702. Di Mordechaj de Nello parla Gershom Scholem in Alchimia e Kabbalah un lavoro pubblicato nel 1925 e poi più volte edito in diverse traduzioni. Citiamo dall’edizione italiana (Alchimia e Kabbalah, traduzione di Marina Sartorio, Einaudi, Torino 1995, pp. 50-52):
«Da diverse fonti abbiamo informazioni su un alchimista ebreo chiamato Mordechaj de Nello (secondo un’altra indicazione, de Nelle, poi deformato in de Delle), che veniva dalla contea di Milano, benché notizie della sua vita ci giungano solo dalla Germania, Polonia e Boemia. Che abbia soggiornato a lungo in questi paesi si deduce dal fatto che egli non solo scriveva in tedesco, ma in questa lingua forgiò anche molti versi, per quanto goffi essi fossero. La sequenza dei luoghi in cui fu attivo non è del tutto chiara, ad ogni modo è conosciuto come seguace di Paracelso attraverso il manoscritto identificato da Karl Sudhoff a Kassel, intitolato In Cementa et Gradationes Theophrasti Paracelsi Interpretatio Mordachij de Nelle Judaeo.
Peuckert ha presentato (da questa stessa fonte?) una sua poesia o forse meglio un detto, in lode di Salomon Trismosin, il presunto maestro di Paracelso, di tenore indubbiamente mistico:
Studier nun daraus du bist,
So wirstu sehen was du bist,
Was du studierst, lehrnest und bist,
Das ist eben darauss du bist,
Alles was ausser unsser ist,
Ist auch inn unss, Amen.
[Studia ora che cosa sei | Così vedrai che cosa sei | Che cosa studi, impari e sei | Ciò è appunto da che cosa sei | Tutto ciò che è al di fuori di noi | È anche in noi, Amen].
Sotto, l’indicazione, che rimanda alla Polonia: «Mardocheus Nelle, Judaeus, wonnedt (!) zu Crakkauw in pollen anno 1573» (Mardocheus Nelle, Judaeus, abitante in Cracovia in Polonia anno 1573). Prima o forse dopo questo soggiorno in Polonia, lo troviamo come alchimista a Dresda alla corte del principe elettore di Sassonia Augusto I. Questo principe, che governò dal 1553 al 1586, era un cultore appassionato di alchimia, egli stesso “lavorava” ed aveva fatto costruire a Dresda un grandioso laboratorio, la “Casa d’oro”. Nell’archivio di Dresda è conservato uno scritto in una copia del 1779, ma indubbiamente autentico, che tratta della produzione del “metallo rosso-oro”, cioè la tintura rubea degli alchimisti, e contiene anche profezie sul destino dei suoi successori. In margine al manoscritto originale il principe doveva aver scritto di propria mano: “Le Opere e i Lavori di Mardochai rabbi de Nelle qui descritti sul metallo rosso-oro sono stati veramente trovati da noi, e per l’intero Lavoro, dall’inizio alla fine, sono state impiegate 41 settimane. Augusto”. Dalla Sassonia Mordechaj dev’essere poi giunto a Praga alla corte dell’imperatore Rodolfo II (1576-1612), protettore ancora più insigne dell’alchimia e di altre discipline occulte, tanto che veniva chiamato tra gli alchimisti “l’Ermete Trismegisto tedesco”. Anche qui compose versi sulla tragica fine di un famoso alchimista della generazione precedente. Queste notizie non contengono nessun accenno a un qualche riferimento da parte di questo adepto a fonti ebraiche, né tantomeno alla Kabbalah».
(4) Albert-Marie Schmidt, Vie de Denys Zecaire, alchimiste, écrite par lui même in Mesures n°4, 15 octobre 1936, pgg. 156-157.
(5) Albert-Marie Schmidt, Vie de Denys Zecaire, cit, pag. 152.
(6) Ibidem.
(7) Amalia Perfetti, Aristotélisme et alchimie dans le Trilogio della trasmutatione, in Jean-Claude Margolin et Sylvain Matton (a cura di), Alchimie et Philosophie à la Renaissance, Vrin, Paris 1993.
(8) Crouvizier, op. cit., pp. 48-55.
Il frontespizio dell’edizione del 1574