Pagina on-line dal 05/05/2012.
Questa versione della Canzone di Rigino Danielli sulla Pietra filosofale è tratta da O. Zenatti, Una canzone capodistriana del secolo XIV sulla pietra filosofale, apparso per la prima volta in Archivio storico per Trieste, l’Istria e il Trentino, Roma-Firenze 1890, vol. 4 pgg. 81-117, oggi reperibile su questo stesso sito.
La canzone di Rigino Danielli è senz’altro uno dei componimenti più esemplati nella tradiziona manoscritta alchemica in lingua italiana. Oltre alle versioni manoscritte segnalate e confrontate dallo Zenatti, recentemente abbiamo riproposto le varianti di due versioni (ilM S. VII-G-70 e lì’VIII-D- 20 della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli) nel nostro Di alcuni componimenti di materia alchemica in rima volgare, in AA. VV., Alchimia, a cura di Massimo Marra ed Andrea de Pascalis (Mimesis 2007).
Per quanto riguarda le versioni a stampa, nel sono note tre. La prima è in un incunabolo contenente la Summa Perfectionis geberiana, pubblicato a Venezia nel 1475:
Summa perfectionis Magisteri, liber trium verborum, Epistola Alexandri M., Geberi liber investigationis magisterii, Carmina latina et fr. De Asculo, Fratris Eliae et anonymi carmina italica.
La seconda è nel Della trasmutatione metallica sogni tre di Giovan Battista Nazari bresciano, nell’edizione di Francesco e Pier Maria Marchetti del 1572 ed in quella successiva del 1599. Sia in questa edizione che nella precedente il testo, confrontato con la tradizione manoscritta più completa, risulta mutilo delle ultime due strofe.
La terza e più rara versione a stampa è invece in un opuscolo dal titolo Canzone di Rigino Danieli Justinopolitano nela quale si tratta tutta la filsoofia arte del precioso lapis de’ filosofi,con tutti li necessai avvertimenti…et una lucidissima & utilissima espositione della stessa di Casparo Ottaviani Cantù, in Padova, nella stamperia del Penada, 1710.
Per quanto riguarda una biliografia generale aggiornata sulla poesia alchemica italiana, rimandiamo alle indicazioni del nostro citato Di alcuni componimenti….
Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e con qualsiasi fine.
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I. – El me dilecta de dir brievemente
Tuct’i secreti dell’arte felice,
Del summo a la radice.
Non sincopando nel mezo niente;
Però ne prego la summa clemenza
Che me conceda grazia d’aperire
Ogni secreto dire
De quelli che han parlato in questa scienza.
Chi vol seguire adonca el dritto cale,
Non torza l’arte for del naturale:
Sole, Luna e Mercurio si te basta
A far la bona pasta;
E non vi poner dentro seme vario,
Chè la natura non gionge ‘l contrario.
II. – Li nostri padri per diverse vie
Son venuti tutti ad un effetto,
Chè ogni corpo imperfetto
Hanno sanato in varie malattie.
Alcuni hanno divisi li elementi,
L’acqua da l’aere, dico, e quel dal foco;
Poi, a poco a poco,
Rettificando li han fatto lucenti;
Poi li han congiunti insieme in una essenza
Con la virtù della quinta essenza;
Alcun sublima, calcina e dissolve,
Poi cerando risolve,
Poi coagulando fa fixione:
Ma la prima opra è putrefazione.
III. – Ma nota ben, che non fussi in errore,
Che l’è una cosa sola in che son fitti
Gli elementi preditti,
L’anima e ‘l corpo e’l spirito e l’humore;
Ancora è in esso quattro, tre, uno
La quinta essenza, calce e fermento,
Mercurio, oro e argento,
Insieme tutti e diviso ciascuno,
Com’è nell’ovo lo chiaro col zallo,
La tela e ‘l scorzo e ‘l seme del gallo:
Più chiaro esempio ‘n te saprei trovare;
Però debi notare
A chi tu poni mane e cosa pratica,
Che alcun se tien maistro, che molto radica.
IV. – Quando componi non t’esca di mente
Che a far la pasta che sia bona e fina
Ce vole aqua e farina
E fermento alla pasta cumdecente;
E simelmente, se senza fermento
Lavorerai senza aqua over farina
La nostra medicina,
Te troverai le man piene de vento.
E, per ridurte ogni tenebra in fulgo:
Nostro mercurio non è quel del vulgo;
E non de cosa morta ma de viva
Se compie questa diva
E santa medicina, che reduce
Ogni corpo imperfetto a vera luce.
V. – Alcuno piglia la pietra rotente,
E senza farne altra divisione
In un vaso la pone
Ben sigillato con sigillo ardente;
E qui la cuose fin che l’è perfetta.
Ma nota ben la meta:
Che nel vulcano sta tutto l’effetto,
E tutta l’arte fanno en un vasello
Con lento foco in un sol fornello:
Qui se sublima solve e distilla,
Lava, descende e humila,
Incera, putrefà, calcina e fixa;
Qui se occide e suscita se ipsa.
VI. – La pietra nostra è di cosa animata,
Preciosa, zuave e zentile,
Ma pur nel prezzo è vile,
Considerando la virtù celata.
E’ non fazo però che non rammenti
Del tempo, nel qual molti son decepti,
Et anco altri defetti,
Che fanno li operanti tristi e lenti:
El minor tempo è di nove mesi,
Testanti li filosofi cortesi,
Ancora mostra de molti colori
Com’un prato di fiori,
Ma poi nel nigro ogni color si tacca:
Apresso al fine ti mostra di biacca.
VII. – Poi per decozione più lontana,
Deventa tutto quanto in color d’oro,
Con un sì bel lavoro
Che dà letizia ad ogni mente sana.
Un altro segno ancor te manifesta
Se la decozione toa è finita:
Ziò è se fuma o crita,
Over sta ferma senz’altra molesta.
Ancora dico de la proiezione,
In la qual ha falì molte persone:
Poi ch’el non fuma né fa più motto,
Fa che sia cauto e dotto,
E guarda ben che medicina alcuna
Non poni se non sopra Sol e Luna.
VIII. – Ma perché ‘l cade un pexo sopra mille
Se lo elixire tuo è perfecto,
fa che tu sia discreto,
E quel ch’io dico non tenere a vile.
Piglia una dramma de la medicina
E diese dramma de mercurio mondo,
e mettilo nel fondo
Del foco ardente dentro alla fucina:
Poi che ‘l servo comincia a frigire
Fumando, metti dentro lo elixire,
E tutto se converte in medicina,
Dico perfetta e fina,
De la qual butta un pexo sopra cento,
E trovaràti dell’opra contento.
IX. – Li nostri antiqui per celar quest’arte
L’hanno distesa in diversi volumi:
Chi la chiama Gumi,
E chi Mercurio, Solfor, Iove e Marte;
Alcun la chiama zaschadun metallo,
Alcun la chiama el nome di pianeti,
E ciascuno vi metti
Diversi nomi, fin a Risagallo,
Ovum capili, Lapis Mineralis,
Adhebesi, Rebis, Lapis Herbalis,
Arsinico e Orpimento e Draco
E Sal armoniaco,
Cuperoxa, Basilisco e Sangue,
Laton, Azoth, Zernech, Chilbrith et Angue.
X. – Per questi varii nomi son decepti
Molti operanti; che alcun piglia quello
De che ‘l tacer è bello
E vanno seguitando soi concepti;
Alcun’ fanno la dealbacione
Con risagallo, tartaro e calcina,
E fanno metallina
Con chiaro d’ovo et altro ch’i vi pone,
Alcuni son che piglian l’orpimento,
Alcun l’arsenico e non vi fa niento;
Alcuni piglian li quattro elementi;
Alcuni son contenti
D’alcuna limatura di metalli;
Chi de borace o de alume o di Sali.
XI. – Dico per questi nomi son decepti
Molti incliti savi e circumspicti,
Che questi nomi en scripti
Per diversi colori e varii effetti.
Però non ti partir de la natura,
Che tal semmenza qual seminarai,
Tal frutto coglierai;
Chè ogni animale fa so simel creatura.
Piglia adonca el mercurio mondo,
(E qui te manca la misura e ‘l pondo),
E dagli perfettissimo fermento,
Dico d’oro o d’ariento;
Ché chi semina fava over faxoli
Non può ricolier grano né pizoli.
XII. – Alxcuni cercan l’erbe venenoxe,
La tora, l’oliandro e la lunaria,
Secondo che gli varia
La mente huc illuc a varie cose;
Alcun lavora nel seme humano,
Chi piglia talco, e chi piglia sangue,
Sterco, chi buffo et angue,
Chi toglie exusto, chi vitriol romano;
Alcun cinaprio, alcun alum di piuma.
I’ non poria contar di tutti in summa,
Che ‘l seria gran volume e grandi affanni
A ricontar li inganni
E le ribalderie che fanno assai:
Però lo dico che già lo provai.
XIII. – Aliqui solvunt duo corpora sana
In aqua forte; alcun amalgamando
Et alcun dealbando
Fanno di rame bronzo di campana;
Alcun fa discensorio, alcun sublima,
Chi stilla per lambicco e chi per feltro,
Chi fa de stagno peltro,
Chi ne le marchexite fa so extima;
Alcun tinge cum tucia e zalamina
E mele e fighi e piuma di gallina;
Chi iunge croco, chi vetriol romano:
Così col capo insano
Con tal oprar soffistico e fallace
Fanno parer l’arte vile e mendace.
XIV. – Guardate molto dal foco excessivo:
Olio e carboni, poi del fimo, basta;
E guarda che la pasta
Mai non sia priva del mercurio vivo.
Lo troppo foco fa vitrificare;
Lo troppo humore se converte in laco:
Però governa el draco
Como ha bisogna de bere e manzare;
E de putrefare non te sia tedio,
Ché tutta l’opra dona gran remedio.
Ma pur lo troppo foco non ti vale
Com die fa el naturale
Le scorze d’ovo, i denti del leofanti,
E sol robini, balassi e diamanti.
XV. – Poi ch’è compita questa dolce manna
Non solamente e’ corpi de’ metalli,
Ma tutti i gravi mali
Rimove e scaccia da li corpi humani;
Poi che hai cacciato el morbo se defende
Che ‘l non ritorni più nel futuro,
E fa l’omo securo,
Per fin che ‘l vive, de star lieto e sano.
Conserva sanitate e zoveneza;
Senza peccato dona gran riccheza;
Conserva ancora el calor naturale
E lo spirto vitale
Sopra ogni medicina d’Avicenna,
Galieno, Ypocrate e Damascenna.
XVI. – Non so se debia dir li vasi e ‘l pondo
Quia quaesivi pluries quinque lustris
In novis et vetustis
Libris per diverse parte del mondo
Con molte fatiche, spese et affanni,
Semel dumtaxat repperi de vasis
Et pondus vere basis
Per spacio e ultra de XXV anni,
El vaso la fiola de Latona,
E li pianeti lo peso ti dona;
Quella in sua forma, e quelli in algorismo,
E questo no è sofismo:
Anche è descritto per vera figura
Lo vaso, la materia e la mesura.
XVII. – Deus onnipotens qui cuncta cernis,
Quo sine nichil fit boni et mali,
Cui contingit falli
Eripuisti infimis avernis;
Tu cuncta fide Verbo redemisti
Spiritu Sancto et gratia caritatis;
Tu esse deitas
Humanitatem nostram induisti!
Si Virgo iam peperit non est mirum,
Quod negat genus ebreorum dirum.
Tu, qui cuncta potes, fac me dignum
Per passionis signum,
Ne moriar patris labe rei,
Perficere hoc opus, donum Dei.
XVIII. – Canzon destesa, và per tutto el mondo
A zascadun che ha l’animo zentile,
E dì che ‘l sia humile,
Se di quest’arte vol veder el fondo;
E non fondi i pensieri in cosa vana,
E non si pensi di far mondo novo,
Né cerchi el pel ne l’ovo,
Ma de exaltare la fede cristiana;
Ché Dio, che vede ogni nostro secreto,
Sempre soccorre lo pensier perfetto,
E s’alcun vol che ‘l mio nome gli panda,
Dì: quel che qui mi manda,
De Justinopoli è ‘l nostro fidele
Gammatice professor Daniele.
Laus altissimo.