Il breve frammento inedito che presentiamo è una traduzione cinquecentesca della famosa allegoria del Trevisano, posta alla fine del Livre de la Philosophie Naturelle des Metaux di Bernardo Trevisano. Si tratta di uno dei testi allegorici di maggior influenza di tutta la tradizione alchemica, in cui troviamo riuniti una serie di topoi che si trasmetteranno a lungo, tanto nella tradizione testuale quanto in quella iconografica (la fontana protetta dalla triplice cinta, il bagno del re, il servo che alimenta il fuoco, la cottura filosofale, i sette dignitari/pianeti etc.).  
La traduzione in questione è contenuta, con l’enigmatico titolo “La Salamandra”, nel ms. V – H – 134 della Biblioteca Nazionale di V. Emanuele III Napoli. Si tratta di un quaderno in 8°, con coperta in pergamena, cartaceo, con carte numerate in numeri arabi da 1 a 43, con una carta bianca iniziale e tre carte bianche finali fuori numerazione. Tutto il manoscritto è vergato della stessa minuta grafia. 
Il Carbonelli cita il manoscritto ripetutamente (1). Riportiamo di seguito la breve descrizione che ne fa lo storico della farmacia Andrea Russo (2):

«Cartaceo, scritto su entrambe le facciate, di pp. 43. Raccolta miscellanea, che comprende vari testi “De varia opinione lapidis”. Ha una premessa “Multos libros in hac Arte conscripsi quibus nostrum opus mirum in modum obscurum ne a vulgo perciperetur“. Riporta poi il testo di Geber “de compositione lapidis“, quello “Liber de compositione in alckimia Alberti Magni” ed infine “Opus beati Thomas de Aquino Alberti discipulus in alchimia“, gli “Exempla Arnaldi ad proprium filium ed alcuni appunti “ex libro qui dictus è Capi Montis“».

  
Il breve testo della “Salamandra”, che non ha evidentemente attirato l’attenzione del Russo, comincia a c. 22r e finisce a carta 24v.

Oltre a distinguere le V dalle U ed a rimaneggiare la punteggiatura, abbiamo introdotto l’accentazione secondo l’uso moderno e regolarizzato l’uso delle maiuscole. Qualche rara interpolazione del curatore, necessaria per una più agevole lettura del testo è, come di consueto, segnalata dalle parentesi quadre. Per il resto la trascrizione è conservativa.

 
Massimo Marra

Massimo  Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e qualsiasi fine.

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 L’ALLEGORIA DELLLA FONTANA DEL TREVISANO (M.S. V-H-134 della Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III di Napoli).

 

Salamandra

Poi ch’io ebbi il libro le cui carti erano d’oro fino e la coverta similmente, andai per la terra di pietra ch’è in India, e ritrovai una picciola fontana bella e chiara, circondata tutta d’una bella pietra picciola e ritonda. Et quella pietra stava dentro a un vecchio vascello di cerqua (2) tessuto, et era d’ogni intorno murato tutto d’una muraglia, per timore che le bestie non v’entrassino, e detta fontana era ben serrata. Et riguardando viddi un prete antiano vecchio, a cui, dimandando io per che cagione era questa fontana così serrata di sopra, di sotto e d’ogni fianco, mi rispose che quella era di mirabile vertù più che fontana del mondo: et era fatta solamente per il re del paese, et che il detto re non passa mai per qua che lei non il tira a sé. Poscia ch’è dentro, lui si bagna bene per dugento ottanta duoi giorni, e lei si rallegra del detto re. E quello l’ha fatta così serrare prima d’una pietra picciola e bella, e, come s’è detto, ritonda. Et è la fontana sì chiara che par’argento fino e di color celeste. E di più, acciò che le bestie selvatiche non v’entrassino, ei fe’ rilevar un vascello cavato di acqua, spaccato e tronco per mezzo che guardi il sole e l’ombra; di poi è ben serrata di muraglia grossa. Per che, prima è serrata in una bella pietra ritonda, fina e chiara, poi  in un vascello cavato di cerqua tagliato per mezzo. e fa che la sia così perché detta fontana è di così terribil materia che se la così non fosse, penetrarebbe il tutto se fusse infiammata.
E se lei fugesse sariamo persi. 
E poscia che’l detto Re è entrato nella fontana, e che la guardia si l’ha serrato, non si può veder insino a cento trenta giorni. Poi comincia a risplendere, et il Portinaio che’l guarda scalda continuamente il bagno per conservar’il calor naturale, qual’è ascosto dentro quest’acqua chiara, scalfandolo di giorno e di notte senza mancare.
Questo Re è vestito d’una robba di panno d’oro primieramente, e tien’un giubbone di fino velluto nero, et è la sua camicia bianca come falda di neve, e la sua carne è di color di sangue.
E quando il Re vuole entrar in la fontana lascia tutte le genti straniere, e nissuno a lui s’approssima: e la guardia sua è un huomo semplice più che nissuno al mondo, e non serve sol che per guardia et a scalfar’il bagno. Detta fontana tira il Re a sé e lui [ad] essa, poi che lei è a lui come madre, et il detto Re è fatto di detta fontana tale qual’è senza altra cosa. E non tieni al suo servigio salvo che sei persone che stanno aspettando che moia per haver il Reame, così ben come che lui; e per questo servono et amministrano. 
Questo Re è più vecchio che la fontana, et è più maturo ch’alcuno delle genti che sono con lui, e nissun ha patito né fredo né caldo, piogia e vento, né qualsivoglia pena che lui.
E tutti lor sei, e tutta lor forza insieme, e qualsivoglia di lor a parte che sia, non bastarebbon ammazzarlo. E tutti color sei sono della fontana et hanno eglino così bene com’ha lui.
E per che la fontana è più degna degl’altri, lor piglia e li tira a sé e li ammazza, mettendoli a morte; poscia sono resuscitati per la medesima, Poi di sua sostanza e suo regno, ch’è in minuti pezzi, ogn’uno ne piglia un pezzo, e, per picciolo che sia è così ricco com’il Re, e l’uno come l’altro.
Sappi che ‘l Re entra in la fontana solo, e nissun altro.
E quando v’è intrato, prima si dispoglia della sua robba d’oro fino battuto et in frondi convertito, e dalla al suo primo huomo chiamato 7, qual la tiene quaranta giorni o quarantadue al più. Poi si spoglia del suo giubbone di velluto fino nero e dallo a 6, e [questo] guardalo vinti o vintidua giorni. Poi 6, per comandamento del Re, il dà alla 2, e [questa] guardalo vinti di’.
Di poi, si spoglia della sua camicia bianchissima, e dalla a 4, e [questa] guardala quaranta giorni.
Poi 4 la dà a 5, il qual la guarda quaranta o quarantadua giorni. Poi 5 la dà al 1 e [questo] la guarda quaranta dì. Appresso vien’il sole bellissimo e sanguigno che la piglia ben presto, il qual la guarda per tutto fin che sia di colore di papagni e di zafferana. Poi la fontana s’apre. E sì come l’ha dato la robba, il giubbone e la camicia, poi a un colpo li dona la sua carne sanguigna, rossa e vivace a mangiare.
All’hor hanno lor desire (3).
E sappi che quando hanno la camicia bianchissima, se volno, in quarantadua giorni detti huomini ne farebbon bona cera: ma non havrebbon se non la metà del regno, e così, per un poco di vantagio de’l tempo, meglio d’aspettar il fine, afinché sieno coronati della corona del Re.
La guardia ha più pena nel fine che nel principio, perciò che al fine la fontana s’infiamma.
E sappi che tutto il mondo tiene avanta agl’occhi detta fontana e non la conoscono.
E se gli sei Re volessino, porrebbono anchora il Re per tre giorni in la fontana circondante [….] (4)  e li donaria il primo il giubbone di velluto nero, il secondo la camicia sua, il terzo la sua robba e sua carne sanguigna.
Havendo il detto annoso vecchio finito il suo ragionamento sopra detta fontana, et io inteso ciò che di quella si degnò raccontarmi, io gli cominciai a dire: A che serve questo?
Rispose egli: Dio farà uno, poi diece, poi mille, poi vinti vote mille, e poi diece volte tutto il moltiplicato.
Et io gli dissi: Hor intendo questo.
Et lui rispose: Non dico altro per che son fastidito.
Io volsi accompagnarlo al suo allogiamento. E nel vero era così savio ch’ognuno l’obediva e tremava avante di lui.
Poscia me ne ritornai alla fontana, et aperta la porta tenendo in mano il libro ch’avea guadagnato e riguardandolo ch’era sì bello e lustro, cascò in la fontana; per il che cominciai a cavar l’acqua e tirarla così.
Ben che non rimase se non la decima parte di lui con la decima parte dela detta fontana, e pensando tirar ogni cosa, non potei, per che era troppo forte insieme.
Ma avante mi partessi, serrai si ben le chiavature dela fontana, a fin che non si potesse aprire.
All’hora il caldo del bagno, ch’era circondato dalla fontana per bagnare il Re, si scalfava, et allumassi, e fui [in] pregione per un errore quaranta giorni. Ma al fine ne fui di fuori.
E, ritornato a guardare la fontana, vidi nebbule oscure quali dirorno assai, ma al fine io viddi quanto desiderava il cor mio, e non hebbe troppa pena.-
Il medesimo havrai tu si lascerai il cammino degli erranti e seguirai quello che la natura ricerca.
E dirotti che qualunque havrà il mio libro, ritroverà tutta la vera prattica et l’operatione, colori, il foco, la materia, il regimento, il peso e la via della dispositione e continuatione al meglio ho possuto fare per pietà e compassione de’ poveri travaglianti in questa pretiosissima scenzia.

  

NOTE:

 
(1) Sulle fonti storiche della chimica e dell’alchimia in Italia, Serono, Roma 1925, pag. 10 e pag. 116. Il testo del Carbonelli è stato ristampato a nostra cura con introduzione, nota biografica e bibliografica nel 2003, per i tipi de La Finestra (Lavis).

(2) Manoscritti di interesse alchimistico esistenti presso la Biblioteca Nazionale “V. Emanuele” di Napoli, in Alchimia ieri e oggi, Atti dell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria“, Roma 1982, p. 154.

(3) Quercia.

(4) Si allude ai servi-pianeti, che possono ora condividere il regno del Re morto, mangiandone le carni.

(5) Lemma illeggibile.