CENNI SU QUALCHE ALCHIMISTA NORMANNO.
di Alfred de Caix
Membro della Società Francese d’archeologia
Articolo apparso sul Bullettin monumental ou collection de mémoires et de renseignements sur la statistique monumentale de la France, 4° serie, tomo 4, 34° vol., Paris 1868
Traduzione di Massimo Marra ©, tutti i diritti riservati, riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine.
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Il Journal des Savants, nel suo numero di Dicembre 1867, contiene un articolo del celebre chimico Monsieur Chevreul, sul trattato alchemico di Artefio, intitolato Clavis Maioris Sapientiae. L’opera di Artefio, alchimista arabo che si colloca intorno al XII secolo, è stato il polo di attrazione di diversi adepti della scienza ermetica, che l’hanno copiato e tradotto in differenti epoche, in modo che queste traduzioni sono poi passate per opere originali attribuite ai loro autori.
Il solo punto che vorrei mettere in luce del lavoro del sapiente professore, è questo fatto interessante per la Normandia, ed in particolare per la città di Flers, e cioè che una delle traduzioni dell’opera di Artefio, è dovuta ad un gentiluomo normanno, signore e barone di Flers nel XVI secolo, Nicolas de Grosparmy, ed è passata in seguito per un’opera originale.
Il signore di Flers non si dedicava da solo alla pratica della Grande Opera; egli aveva due compagni: l’uno era un altro gentiluomo ben conosciuto negli annali della città di Caen, e si chiamava Nicolas Le Valois; i documenti che io cito riportano de Valoi, evidentemente al fine di dare una impronta più nobiliare a questo nome già abbastanza nobile. Il Secondo era un prete dal nome di Vicot, che si definisce come il servitore dei suoi due soci.
M. Chevreul è possessore di diversi manoscritti di cui ha eseguito lo studio analitico: l’uno è attribuito a Grosparmy, gli altri contengono le elucubrazioni dei suoi due soci. E’ provato dal lavoro del sapiente chimico che queste opere non sono che delle traduzioni più o meno libere del Clavis Maioris Sapientiae.
Il manoscritto del Signore di Flers porta il titolo:
GROSPARMY SIGNORE DI FLERS
«Segue la copia di un manoscritto del Sig. de Gros Parmy (sic) signore e barone di Flers, che ha acquisito detta baronia e fatto costruire il castello della detta località.
Il quale manoscritto contiene teoria e pratica, e ne dice altrettanto che tutti gli altri libri insieme; sebbene vi sia ben velata, tutta l’opera vi è contenuta, se ben intesa; il che è possibile per mezzo degli altri libri citati.
Nel nome del grande Dio, trino ed uno, che ha creato tutte le cose dal nulla, che vive e regna senza cominciamento e senza fine…..
A tutti i fedeli discepoli della filosofia naturale
Saluto e dilezione
capitolo I
Sappiano tutti che io, Nicolas de Grosparmy, nativo del paese di Normandia, per volontà di Dio ho viaggiato per il mondo di regione in regione dall’età di dodici anni fino a quella di ventotto, cercando e desiderando conoscere l’arte dell’alchimia, che è la parte più sottile della filosofia naturale che tratta ed insegna la perfetta trasmutazione dei metalli e delle pietre preziose e come tutti i corpi malati possono essere riportati e ristabiliti in sanità. Durante il detto tempo, ho indagato il modo in cui un metallo può trasmutarsi nella specie di dell’altro, e facendo ciò, ho sostenuto molte pene e spese, ingiurie e rimproveri. Ho abbandonato ogni comunicazione col mondo e con la maggior parte di coloro che si dicevano i miei migliori amici, poiché essi mi ebbero in disdegno nel momento del bisogno, e volevano distogliermi dallo studio della detta arte poiché gli sembrava che per occuparmene io abbandonassi tutti i miei affari. Per pervenire al mio fine, io ho praticato molti compagni che cercavano la detta arte come me, credendo di trovarla tramite loro. E per avere confidenza ed amicizia presso di loro, mi sono fatto loro servitore ed ho sostenuto la maggior parte delle fatiche delle loro operazioni ed ho veduto e studiato diversi libri nei quali la scienza è contenuta in due modi, uno falso ed uno vero…».
De Grosparmy dice che egli termina il suo scritto il 29 dicembre 1539.
L’autore delle Osservazioni che commentano un altro manoscritto attribuito a Nicolas Le Valois, il socio del signore di Flers, parlando di quest’ultimo dice: «…Che Grosparmy fece la casa dei conti di Flers, in Bassa Normandia, assai illustre e ricca, e che l’originale di tutti i suoi scritti è nelle mani del conte di Flers, il quale li tiene così cari, e con ragione, da tenerli nascosti a sé medesimo…».
In un altro passaggio aggiunge: «…erano tre a possedere l’opera, M. de Gosparmy, trisavolo di M. il conte di Flers, Nicolas Valois, suo amico, Pierre Vitcoq o Vicot, suo cappellano…».
Il conte di Flers di cui si parla come pronipote di Grosparmy, era Louis de Pellevé, che, dopo aver avuto una superba posizione, morì in indigenza nel 1660 [1], senza dubbio ancora in possesso del prezioso manoscritto, che non gli insegnò affatto a fare l’oro di cui aveva un così grande bisogno.
Dal documento che stiamo citando, la terra di Flers sarebbe stata acquisita da Nicolas de Grosparmy; ma l’autore delle Osservazioni è qui i contraddizione con M. La Ferrière, che cita, in data 1404, un Raoul de Grosparmy come signore del luogo [2]. La baronia di Flers era stata eretta in contea in favore di Henri de Pelleé, padre del possessore del manoscritto.
Sembra incontestato che il nostro alchimista sia stato il costruttore del castello di Flers, nella sua parte principale di fronte al paese. La parte retrostante è evidentemente più moderna. L’autore della Storia di Flers cita diversi incendi che hanno dovuto costituire occasione di cambiamenti.
Le grandi risorse di cui ha disposto il gentiluomo alchimista per questa importante costruzione, benché egli sia stato accusato dai suoi contemporanei di trascurare i suoi affari per colpa dell’alchimia, hanno dovuto confermare ai suoi contemporanei le virtù delle sue stupefacenti arti occulte, e far correre molte voci misteriose su questa dimora, così ben protetta da sguardi indiscreti dai suoi immensi fossati.
Il castello, che noi ammiriamo ancora, evidenzia un lavoro del XVI secolo.
Il socio di Grosparmy, Nicolas Le Valois, signore d’Écoville, scrivendo di scienza ermetica, ha raccontato ugualmente le sue pene e le sue delusioni e come, coi suoi compagni, dopo aver rinunciato ad ogni commercio con gli altri alchimisti, egli si ritirasse in solitudine, meditando e leggendo buoni libri, come quelli di Arnaldo, di Raimondo Lullo etc..
«…Ma – egli aggiunge – uno di noi, troppo portato ai particolari sofistici, per vedere ogni giorno nuove cose che gli abbagliassero gli occhi, non volle abbandonali (gli alchimisti). Io avevo 45 anni quando ciò avveniva, nel 1520 (era dunque nato nel 1475), e nel giro di 20 mesi noi vedemmo il gran Re assiso sul suo regale trono, eseguendo una prima proiezione sul bianco, poi sul rosso. Contando il tempo che ero in cammino, che io ho lasciato per iscritto, fino alla perfezione dell’opera, non occorsero più che 18 mesi, nel qual tempo l’opera fu compiuta, ancorché una volta essa sia fallita…».
L’autore delle Osservazioni che accompagnano il manoscritto del signor Le Valois, fornisce i seguenti dettagli su questo personaggio:
«…M. de Valois, della casata d’Escoville, ha composto cinque libri rilegati in un medesimo volume, dove all’inizio vi è una grande figura rotonda raggiante, e due mirabili fornelli di M. de Grosparmy, per mezzo dei registri dei quali si possono far schiudere le uova e fondere l’oro, il quale libro egli compose in forma di testamento a suo figlio, il piccolo cavaliere…».
E più oltre: « Nicolas de Valois, secondo amico e compagno di scienza e di possesso dell’elisir, ha costruito una casa splendida a Caen ed ha lasciato quattro terre nobili ai suoi successori, di cui il primogenito porta il titolo di signore d’Escoville-Valois, gran signore in Normandia, nei pressi della città di Caen…».
«Le quattro terre che M de Valois aveva acquistato, le ha magnificamente edificate: ciascuna costruzione non si farebbe per cinquantamila scudi. In una vi è una cappella dove tutti i geroglifici dell’opera sono rappresentati. Egli aveva sposato in prime nozze una dama Hennequin, cui, per il suo contratto di matrimonio, non doveva che riportare la dote di cinquecento libri; ma la dote della seconda moglie è stata di più di ventimila libri… ».
«Egli ha, in più, composto un libro assai eccellente e raro che tratta della filosofia ermetica, tutto pieno di figure geroglifiche, il quale è intitolato Hebdomas hebdomadum cabalistarum magorum bracnamorum antiquorumque omnium philosophorum impteriae continens…»
L’autore delle Osservazioni aggiunge : «…M. de Valois morì disgraziatamente soffocato da un’ostrica che egli aveva ingoiata intera…».
Questo personaggio ha giustamente acquisito una grande celebrità nella città di Caen, grazie alla costruzione del palazzo situato in piazza Saint.Pierre, che costituisce ancora ornamento alla città; questo edificio dopo essere passato in successione alla famiglia Touchet, che lo ottenne dal poeta latino Moysant de Brieux, fu acquistato dalla città nel 1733, per farne il municipio, e, attualmente, è diventato il palazzo della borsa. [3]
Tutti gli autori che hanno scritto su Caen hanno celebrato questa sontuosa dimora. De Bras ci comunica qualche particolare sulla sua costruzione.
Egli racconta che, verso il 1537, quando le immaginazioni erano ancora fortemente eccitate dalla quantità di metallo prezioso apportato dalla scoperta del Nuovo Mondo,: «…alcuni minatori tedeschi passarono per Caen e si diressero in un villaggio chiamato Tracy, distante quattro leghe dalla città. Lì c’è una montagna dorata, così chiara e lucente che tutto ciò che se ne trae sembra oro vero… Quando questi tedeschi si instradarono verso questa montagna, si iniziava questa superba ed amena costruzione del fu Nicolas Le Valois, signore d’Escoville, vicino al crocevia St. Pierre, e siccome si scavava nel luogo della casa del fu Jean de La Bigne, signore del Londel, per stabilirne le fondamenta, si rinvenne una buona quantità di argento vivo, di cui fu raccolto all’incirca un vaso di stagno. Questi tedeschi volevano che si desistesse dal fare le fondamenta in quel punto, e dicevano che lì era una vena di argento vivo. Alcuni altri, che volevano l’avanzamento della costruzione dell’edificio, facevano intendere che un farmacista aveva dimorato in quei dipressi, senza indicare in qual tempo, e che l’argento vivo poteva essere colato dalla sua scorta, per il che, il detto signore d’Escoville volle desistere dal far costruire sul luogo dove colava questo liquore, presso il corso d’Oudon, al gran dispiacere dei detti tedeschi e di diversi mercanti che assicuravano che assicurarono che si trattava di una vena di argento vivo, e che tutti i farmacisti di diverse città non avrebbero potuto fornire una quantità grande come quella fin lì raccolta, e che continuava a emergere….» [4].
De Bras racconta così la fine tragica del signore d’Escoville, all’inaugurazione del suo palazzo:
«…Il venerdì, giorno e festa dei Re, millecinquecentoquarantuno, Nicolas Le Valois, signore di Escoville, Fontaines, Ménilguillame e Manneville, il più opulento del paese anche nella tavola, nella sala del padiglione di quella bella e superba dimora vicina il bivio di St. Pierre, che egli aveva fatto costruire l’anno precedente, nel mangiare un’ostrica, all’età di quarantasette anni [5], cadeva morto improvvisamente per un’apoplessia che lo soffocava…».
Il signore d’Escoville, le cui armi nobiliari si vedono ancora sul suo palazzo, le aveva fatte scolpire anche su di una chiave di volta della chiesa di St. Jacques de Lisieux, avendo senza dubbio contribuito alla costruzione dell’edificio, che si faceva ai suoi tempi [6]. La sua terra di Ménilguillame era vicina alla città.
Huet, nelle sue Origini della città di Caen, cita la casa di Nicolas le Valois, che si soleva chiamare, ai suoi tempi, la casa del Gran Cavallo, a causa dell’immagine di pietra del «..bassorilievo che sovrastava la porta, rappresentante il fedele dell’apocalisse su di un cavallo. Nicolas le Valois – aggiunge – lo fece fare nel 1540…».
La decorazione del portale è stata mutilata nel periodo della Rivoluzione.
Questo edificio, costruito in stile rinascimentale, così fiorito, così ornato di emblemi e figure allegoriche, contrasta col nero e severo castello di Flers, suo contemporaneo. Le città, nel mentre vedono aprirsi un’era di fioritura artistica, godono già di una sicurezza che le campagne non conoscono ancora.
Se anche i nostri alchimisti non trovarono che delusioni nella ricerca della grande opera, essi furono singolarmente favoriti dalla fortuna, e dovettero passare per molto abili.
M. Le Valois aveva indirizzato i suoi cinque libri a suo figlio, che egli chiama Il piccolo cavaliere, il quale era ancora assai giovane; alla morte del padre, egli studiava la filosofia. Il padre gli trasmette i suoi libri ermetici e raccomanda al padre Vicot, suo servo, collaboratore e amico, di iniziare suo figlio alla scienza alchemica.
E’ per adempiere a queste ultime intenzioni che Vicot indirizza il suo trattato, composto di tre libri, al piccolo cavaliere.
Il libro di Vicot contiene un ben curioso apprezzamento sull’uso dei metalli in medicina. Egli si esprime così: «…Questi asini dei medici mettono nei loro restitutivi e preparazioni dei frammenti d’oro e di perle, non considerando che l’uomo rende l’oro nello stesso stato in cui lo assume, e che, con ciò, essi mostrano di essere a conoscenza che nell’oro vi è una grande virtù. Ma mai potranno approfittare di essa fintato che essa sarà unita al suo corpo, dal quale non potrà mai essere separata per altra via che quella della nostra filosofia, e questi miserabili, che non conoscono questa scienza mirabile, gettano blasfemie contro di essa…».
Le materie preziose, per esercitare le loro virtù curative, devono, secondo gli adepti, essere rese vive, ed è proprio questo il grande segreto dell’opera.
Per terminare su questo personaggio, cito ancora un passaggio delle Remarques che riassume il fine disinteressato verso il quale tendono i tre filosofi: «…Questi tre associati d’un medesimo vincolo, amicizia, fedeltà e concordia, fecero il sacro magistero e composero i loro libri per i loro successori, alfine di lasciare alla posterità l’intera luce di questa scienza, che nei loro scritti vi è più chiaramente esposta che in tutti gli altri libri. …».
Ad un secolo e mezzo di distanza, un altro gentiluomo la cui dimora era situata non lontano da Flers, il signor Jean Vaquelin, signore degli Yvetaux ed ultimo della casata che abbia posseduto questa terra, conobbe le opere dei nostri alchimisti e si impegnò lui stesso nella ricerca della pietra filosofale.
Chevreul cita uno scritto di questo personaggio, intercalato nel volume manoscritto attribuito a Nicolas de Grosparmy, intitolato: «Raccolta di estratti di qualche filosofo adepto, in ordine alfabetico, dove sono riportati alcuni dei loro passi, con qualche annotazione tratta dalla loro vita del Signor Jean Vaquelin, cavaliere, signore e padrone degli Yvetaux (1700)…». Nessuno potrebbe essere più in grado di conoscere dei particolari storici sui tre soci alchimisti, di questo normanno.
Il signor di Yvetaus, alla voce Valois, dice che: «…questi si dedicava alla grande opera nella villa di Caen, dove i geroglifici della casa che egli fece costruire e che ancora si vedono in piazza St. Pierre, di fronte la grande chiesa che porta questo nome, fanno fede della sua scienza [7]». Si ricorda che questo personaggio aveva fatto incidere i geroglifici dell’opera in una cappella di una delle sue terre.
Il signor Choisy, nella sua incantevole esposizione del giardino e del castello degli Yvetaux, letta alla sessione del 1864 dell’Association Normande, tenutasi a Falaise, dice di Jean Vaquelin: «…Era un uomo di studio. Aveva, nel suo castello, un ampio e ricco laboratorio di chimica, scienza sulla quale egli avrebbe composto qualche opera. Da certe espressioni gravide di mistero ed in grande onore presso gli alchimisti, è più probabile credere che egli sia stato un adepto delle appassionanti chimere della grande opera…».
Sono stato in grado di sincerarmi dell’esattezza di questa affermazione.
Alla morte del penultimo proprietario della proprietà degli Yvetaux, un grosso manoscritto in-folio mi fu affidato per due o tre giorni solo. Non so a chi sia poi passato. Questo manoscritto fu redatto nell’anno 1700 da un personaggio restato sconosciuto, il quale recandosi da Parigi a Brest, col messo di Rennes, cade ammalato ad Argentan; nondimeno, egli si spinge ancora fino a Fromentel, dove il messo cena (non vi erano ancora le stazioni ferroviarie). Il viaggiatore lo lascia continuare la sua strada, trovandosi incapace di andare più lontano. Qualche giorno di riposo gli farà riacquistare le forze; la domenica successiva, egli si reca a piedi alla messa, nella chiesa degli Yvetaux, dove il signore del luogo vi assiste. Questi, avendolo visto, gli offre un posto al suo banco, lo conduce al suo castello nella propria carrozza, e gli dà ospitalità. L’ospitalità durerà un anno intero, trascorso in casa del signore e della sua affascinante figlia unica, che sposa più tardi il signor Carel, consigliere al Parlamento di Parigi, che diviene così proprietario del possedimento degli Yvetaux.
Lo straniero ripaga l’ospitalità che gli è stata accordata con numerosi lavori sulla grande opera, il cui ricordo è conservato nel voluminoso manoscritto la cui lettura mi parve allora tanto noiosa, essendomi particolarmente appassionato alle ricerche storiche sui Vaquelin, argomento di cui anche lo straniero aveva fatto oggetto di attenzione, trovando così un mezzo gentile di assolvere al suo debito di riconoscenza.
È triste per l’umanità vedere degli uomini istruiti ed intelligenti attardarsi così al seguito dell’alchimista arabo, appropriarsi delle sue dottrine contenenti tutti gli errori relativi all’influenza degli astri sugli esseri viventi e sulle materie inerti, credenze che erano all’ordine del giorno in pieno medioevo.
Devo ricordare, in chiusura di questa curiosa nota, al riguardo dei luoghi e dei nomi propri che ho nominato, che io li ho presi in prestito dall’eccellente articolo del sapiente accademico, che ne ha tratto delle deduzioni estremamente interessanti per la scienza.
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NOTE:
[1] Histoire de Flers, del conte Hector de La Ferrière, pag. 407
[2] ibidem, pag. 38
[3] Essais sur la ville de Caen, dell’Abbé de La Rue t. I, p. 125
[4] Recherches et antiquités, di Charles de Bourgheville, pgg. 41, edizione del 1833, Caen
[5] Se bisogna rapportarsi al passaggio del manoscritto citati sopra, e che fissa la data di nascita di Valoiis al 1475, egli avrebbe avuto 66 anni e non i 47 che gli attribuisce De Bras.
[6] Le armi dei Le Valois sono: «d’azzurro ad un gallone d’oro accompagnate da tre crescenti d’argento, posati uno in capo, l’altro in punta allo scudo; ed un capo d’argento caricato di tre rose rosse». Bullettin Monumental, année 1847, pag. 488 – Études héraldiques sur les monuments de la ville de Caen, di R. Bordeaux e G. Bouet.
[7] Non si vede, allo stato presente, alcuna traccia di questi geroglifici nel palazzo di piazza St. Pierre. Una delle facciate interne è ornata delle figure di David e Juditta.