Pagina on-Line dal 07/04/2012

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Il bene, o Esculapio, non è del tutto in alcuno se non nello unico Dio. Anzi esso Dio è sempre esso bene, per la qual cosa egli è necessario Dio essere la essenzia d’ogni movimento e cognizione, e essere niente privato di questa essenzia. Questa, circa a sé, possiede stabile atto sanza mancamento, infinito, soprabbondante e largo. Questo uno, principio di tutti, che porge e sparge il bene, et quante volte io nomino il bene, sempre intendi quel bene dal quale non tutti i beni e il quale è sempre bene, questo è nello unico Dio, imperò che non ha bisogno di cosa alcuna che appetendo l’acquisto di quella diventi iniquo; et in lui giammai non cade alcuna perdita, che doppo il danno sia da dolore afflitto, imperò che il dolore è parte di male, né alcuno altro più potente di lui da cui e’ sia vinto. Né in lui può cadere alcuna ingiuria dalla quale provocato o commosso si crucci. Nulla è che fugga dal suo giogo, dal quale dispregiato si sdegni o si adiri. Né alcuno è più savio di lui che lo commova ad invidia. Conciosia adunque che queste cose non gli accaggino, nulla altro resta alla sua natura se non esso bene. Ma si come non si truova il bene in cosa alcuna di quelle che sono in questa essenzia, così non si troverrà in nessun altro, imperò che tutte l’altre cose sono l’una nell’altra, così nelle piccoli come nelle grandi, e così etiandio in quelle che sono secondo l’unità, e ancora in esso animale grandissimo e più di tutti potentissimo il quale, certamente, tutte le cose generate riempie di passione, imperò che la generazione è certa passione, e dove è passione non è in modo alcuno il bene, e dove è il bene non è per modo alcuno passione. Dove è dì, non vi è in alcun modo notte, e dove è notte, ancora non è dì. Per la qual cosa il bene non può essere nella generazione. Resta adunque che sia in quello che non è generato, ma si come gli è conceduta la participazione di tutte le cose alla materia, così ancora il mondo è buono per participazione del bene; et buono lo chiamo, in quanto esso ancora fa tutte le cose, e da la qual parte certo il mondo è buono, ma in tutte l’altre non buono, imperò che egli è patibile e mobile, e oltra questo cagione di tutte le passioni.
Nell’huomo eziandio è il bene, per comparazione del male. Certo che quello che non è troppo male e che è meno male, noi diciamo negli huomini essere bene, onde è che il nostro bene nulla altro sia che una minima parte di male. Onde ancora seguita questo, che questo così fatto bene non possa essere separato dal male, imperò che questo ben si macula per lo mescolamento de’ mali, et quando egli è maculato non è più bene; e se non è più bene, diventa male. Adunque in solo Dio è il bene, anzi esso i Dio è esso bene. Per la qual cosa, o Esculapio, negli huomini è solo il nome, ma non la natura del bene, imperò che non può esser ricevuto dal corpo materiale, composto e da ogni parte aggravato da pravità, da fatiche, da dolori, da cupidità, da iracundia, da inganni e da stolte opinioni e da ciance. Non dimeno io giudico, o Esculapio, essere pessimo di tutti questo che e’ si crede essere sommo bene ciascuna di queste cose che dette abbiamo. Et però il male che principalmente si debbe fuggire è la superfluità del ventre, fomite di tutti i mali; di qui viene l’errore e la privazione del bene. Et io certamente rendo grandissime grazie a Dio, che pensando io a la natura del bene, mi infuse questa certa sentenzia, cioè che nel mondo non possa essere il bene. Perché certo il mondo è uno ragunamento di mali, ma Dio del Bene, overo il bene di Dio è soprabbondante plenitudine. Et le soprabbondanze de’ beni, circa la sincera e purissima essenzia, risplendono, e queste cose forse sono l’essenzie di Dio. Certamente, o Esculapio, e’ si debbe ardire di dire l’essenzia di Dio essere esso bene, nondimeno intendendo se Dio ha alcuna essenzia. Ma la bellezza e la bontà non ci è lecito trovare nelle parti del Mondo, imperò che quelle cose che muovono i sensi sono idoli e certe vane adombrazioni: ma quelle cose che non aspettano gli organi de’ sensi s’appartengono alla bellezza e bontà. Et si come lo sguardo dell’occhio non vede Dio, così non conosce né la bellezza, né la bontà. Certamente queste sono interissime parti di Dio, di lui propie cognate inseparabili e spezialmente dilette: e esso Dio o egli ama queste, o veramente egli è da queste amato. Et se tu potrai intendere Dio, ancora intenderai la bellezza e bontà. Quello che è illuminato da Dio è più risplendente di tutti, imperò che egli è bellezza sanza comparazione e bene da non poterlo imitare. Imperò che Dio non riceve alcuna comparazione o imatazione. Adunque si come tu conoscerai Dio, così arai conosciuto la bellezza e bontà. Certamente queste cose non si communicano a gli altri viventi, conciosia che da Dio non possono esser divise. Et cercando tu i Dio, cercherai essa bellezza. Et finalmente la via la quale a questo ci conduce è una, cioè la pietà congiunta alla cognizione, per la qual cagione li mortali ignoranti e usciti della via della pietà non dubitano chiamare buono ancora l’huomo; conciosia che non possa avere alcuna vera notizia del Bene; ma, sendo preso e allacciato da’ mali, giudicando il male essere bene, usa i mali insanabilmente temendo il perdimento e danno di quegli, et finalmente combattendo con suo ingegni e forze per non essere da uno solo male aggravato, ma acciò che i mali accreschino in numero e in grandezza. Et così sono fatte o Esculapio, le cose belle e buone de gli huomini, le quali né fuggire né avere in odio possiamo, imperò che questo è molto più difficile d’ogni altra cosa, principalmente per questa cagione, imperò che ci è necessario quelle usare e usufruttare. Et di quelle privati conducere in alcuno modo la vita nostra non possiamo.

 

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