Pagina on-line dal 27/04/2012

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Parte seconda.

76 – I filosofi hanno chiamato l’acqua di cui stiamo parlando serpente che si morde la coda. Ma gli invidiosi, dice Parmenide, hanno parlato di diversi modi d’acque, brodi, pietre e metalli, per sviare gli ignoranti, benché in un certo senso sia vero che in tutto ciò vi siano acqua, brodo grasso, pietre e metalli. Chi intende questa dottrina intende ciò che vi è di più sottile nella nostra arte e di più difficile nella nostra opera e nelle nostre materie. Ma lasciate perdere tutto ciò e prendete l’acqua viva; poi congelatela nel suo corpo e nel suo zolfo che non brucia; tutto sarà bianco.

77 – Tutto sarà bianco, dice Parmenide, e voi farete la natura bianca. Sappiate, dice Arisleo, che tutto il segreto è l’arte di imbiancare. Ora, questo imbiancamento è un passo assai difficile, dice Flamel. Non si può fare senza acqua, dice Artefio, perché è questa che lava il lattone; è questa l’acqua che fu mostrata a Sictus, e che questo filosofo assicura essere un aceto purissimo e molto acre che ha il potere di dare il colore bianco e rosso al corpo nero, rivestendolo di tutti i colori che si possano immaginare, e di convertire il corpo in spirito. È l’aceto delle montagne che difende il corpo dalla combustione, poiché esso, sul fuoco, senza questo aceto brucerebbe.

78 – Tale aceto molto acre è la nostra acqua prima ed aceto delle montagne del sole e della luna, o piuttosto, di Mercurio e di Venere. È un’acqua permanente, poiché rimane costantemente unita al nostro corpo o al nostro corpo di sole e luna, quando essa li ha disciolti radicalmente. Il nostro corpo riceve da quest’acqua una tintura di bianchezza così speciale e splendente che essa lascia coloro che la contemplano in ammirazione. Quest’acqua così bianca ha del mercurio e dello zolfo; essa è sole e luna al suo interno, così come è corpo all’esterno. Imbianca il nostro bronzo e discioglie assai amabilmente i corpi.

79 – L’acqua che discioglie i nostri corpi così amabilmente è un’acqua che si può chiamare la prima, benché ve ne siano di più sorti che l’hanno preceduta; tuttavia esse sono eterogenee e non vengono tenute in conto nella nostra opera. Non sono del numero dei nostri mestrui omogenei, come la nostra acqua bianca prima dissolutiva, che è metallica, mercuriale, saturnina ed antimoniale, per come ne parla Artefio. Quest’acqua imbianca l’oro, vale a dire il nostro lattone, e lo riduce nella sua materia prima, che sono lo zolfo ed il mercurio, che brillano come uno specchio.

80 – Questo zolfo e questo mercurio, che restano dopo la dissoluzione del corpo crudo e che brillano come un cristallo ben pulito, sono estratti da questo corpo crudo per mezzo d’un’acqua o di un fumo internamente bianco, che è, all’inizio, coperto dalle tenebre dell’abisso. E queste tenebre sono scacciate dallo spirito del Signore che si muove sulle acque, create prima della sistemazione delle parti del chaos, quando furono fatti il cielo e la terra. Questa prima acqua dissolutiva del corpo è un’acqua chiara e secca, un mercurio di natura che, dissolvendo, estrae il mercurio del corpo.

81 – Questo mercurio estratto dal corpo crudo è grossolano. Mescolato con il mercurio o acqua dissolvente e prima, esso compone e costituisce il mercurio doppio del Trevisano, l’oro composto di Filalete o rebis dei filosofi, o pollo di Ermogene, o mercurio dei corpi, che si dispone, in questo grado, a divenire mercurio dei filosofi per mezzo del fuoco o mercurio comune a tutte le miniere. Ora, questo mercurio doppio è bianco, d’una bianchezza scintillante, estratto dall’acqua prima: diviene rosso se viene semplicemente mescolato con l’acqua seconda, che è bianchissima al di fuori e rossa di dentro.

82 – Quest’acqua seconda precedentemente era nella prima, ma non era impregnata di fuoco celeste, come lo diviene in seguito. Così queste due acque non differiscono che per il fatto che la prima scioglie i corpi crudi, lava il lattone e volatilizza una massa pesante della sua natura la quale, mescolata con quest’acqua prima o fuoco umido, diviene volatile; l’acqua prima, invece, mescolata con un’acqua secca, si riduce in fumo, in acqua limpida ed in una calce viva, la quale è piena di un fuoco e di uno zolfo filosofico; e così, l’acqua seconda viene estratta dalla prima per mezzo del fuoco.

83 – Il fuoco fa si che, nella sublimazione filosofica, il secco salga e si perfezioni attraverso la sua aderenza al vaso. Questa aderenza rende il secco inseparabile dall’umido ed il fuoco inseparabile dall’acqua. Così si forma la nostra acqua seconda delle virtù superiori ed inferiori, ed è quest’acqua che è il mercurio dei saggi, il mercurio animato che l’artista può elevare per gradi e spingere fino alla più alta perfezione. Ed a questo fine, non si ha che da nutrirlo col latte delle mammelle della terra che è sua madre, e far poppare spesso questo figlio di Ermogene, riportandolo a sua madre.

84 – Si riporta anche la madre al figlio quando il corpo, composto dal sole e dalla luna, dal padre e dalla madre, dal gallo e dalla gallina, dallo zolfo e dal mercurio, attraverso la nostra acqua prima è ricondotto al mercurio dei filosofi, che è l’uovo di questo gallo e di questa gallina, il figlio di questo sole e di questa luna, ed il mercurio di questi zolfo e mercurio. Perché, nella loro intima comunicazione, il padre e la madre sono elevati e sublimati in gloria mediante la virtù del loro figlio; il lattone è imbiancato, fissato e reso fondibile, in modo che il figlio genera suo padre e sua madre, essendo di essi più vecchio.

85 – Il mercurio dei filosofi ha generato suo padre e sua madre ed è generato ed estratto dalle cose in cui è, per mezzo di un altro mercurio, elevato in grado, e di un’acqua che è un puro aceto, il quale comunica la sua qualità acetosa a suo figlio; e questo figlio, rientrando nel ventre di sua madre, gli lacera le viscere come una vipera; infine, dopo aver succhiato il suo latte virginale, egli la addolcisce come vediamo che l’aceto comune distillato scioglie l’acciaio ed il piombo, e con questo miscuglio ed aceto esso diviene così dolce che lo si chiama latte virginale.

86 – Tutto il segreto di questo aceto, che Artefio chiama antimoniale e che si può chiamare saturnino a causa della sua origine o mercuriale per il suo spirito congelato, e che, dice il Cosmopolita, è più prezioso di tutto l’oro del mondo, consiste nel saper estrarre per suo mezzo l’argento vivo dolce ed incomburente dal corpo della magnesia; ovvero, attraverso quest’acqua prima, ottenere un’acqua seconda viva ed incombustibile, e saperla congelare in seguito col corpo perfetto del sole che si scioglie in quest’acqua seconda in forma d’una sostanza bianca, densa e congelata come della crema di latte.

87 – Questo mercurio filosofico, o acqua seconda bianca e congelata come crema di latte, è estratta per mezzo di un’acqua prima o aceto acre, e per mezzo dì un’acqua dolce o aceto dolce. La prima è maschile e contiene del fuoco che domina l’acqua; la seconda è femminile e passiva e contiene dell’acqua, oppressa dal fuoco estraneo. Questo maschio è attivo, questa femmina è passiva. Essi si congiungono ed abbracciano tra loro per produrre l’acqua seconda che scioglie l’oro composto che è stato prodotto dall’unione dei due, vale a dire per mezzo della nostra acqua prima, nel senso inteso da Artefio.

88 – Questo corpo che è stato composto con la nostra acqua prima, deve essere risolto o sciolto nell’acqua seconda, composta da questi due così come dal suddetto corpo, che non vi si risolverebbe affatto se non fosse della natura del dissolvente. Ma se, in luogo del composto, non si mette nella nostra acqua dissolutiva seconda che il corpo dell’oro semplice, essa lo riduce in stato di migliorare in qualche maniera i metalli come, dopo l’autore del Duello Chimico, dice anche il Sendivogio. Ma se si congiungono il maschio, la femmina e la nostra acqua, con l’aiuto di Dio si trova tutto il segreto dei saggi.

89 – Tutto il segreto dei saggi consiste in quell’opera che Artefio chiama imbiancare il lattone o oro dei filosofi, e ridurlo alla sua prima materia, vale a dire in zolfo bianco ed incombustibile ed in argento vivo fisso. È così che finisce l’umido (vale a dire che si cambia il nostro corpo, che è l’oro) in quell’acqua prima dissolvente o zolfo ed argento vivo fisso; di modo che quest’oro, che è un corpo perfetto, si cambia reiterando quella liquefazione e, riducendosi in zolfo ed argento vivo fisso, riceve la vita e si moltiplica nella sua specie, come avviene per le altre cose.

90 – Quest’oro si moltiplica dunque per mezzo della nostra acqua, perché il corpo, che è composto da due corpi che sono il sole e al luna, o Apollo e Diana, si gonfia in quest’acqua, si ingrossa, si eleva, cresce e riceve, da quest’acqua prima, la sua tintura d’una bianchezza sorprendente. E colui che conosce la nostra acqua ermetica e la fonte da cui essa scaturisce, conosce la fontana del Trevisano e la pietra da cui Mosé trasse l’acqua che seguiva il suo popolo. Egli sapeva cambiare il corpo in argento bianco medicinale che può perfezionare gli altri metalli imperfetti, perché la nostra acqua porta in sé una grande tintura.

91 – La tintura che è celata nella nostra acqua è bianca e rossa, benché in principio non dia che una tintura bianca. Tuttavia, siccome è un’acqua che scioglie e rompe il corpo. ciò che per prima appare in questa dissoluzione è la nerezza, segno di putrefazione. In effetti bisogna che il corpo si putrefaccia nella nostra acqua e, dopo essere passato per tutti i colori che denotano la sua infermità, prenda il color bianco fisso e poi il rosso porpora, che sono i segni essenziale di una autentica resurrezione nella quale trionfino la virtù ed il germe del nostro lievito.

92 – Il nostro lievito contiene uno spirito igneo come la calce viva, e da ciò deriva che egli possa penetrare il corpo attraverso la sua parte sottile, che lo scaldi col suo calore e che faccia lievitare il germe, che non era nel corpo che in potenza e mai sarebbe passato in atto senza l’addizione del nostro lievito, la virtù di questo si può moltiplicare all’infinito aggiungendogli una nuova materia, che prende la stessa virtù del lievito e diviene altrettanto acre, ed anche di più; alla fine se ne fa una possente medicina, che, cadendo sugli imperfetti che sono della sua natura, li libera da tutte le loro impurità.

93 – La purezza del nostro lievito gli impedisce di mescolarsi ad alcuna cosa che non sia pura e che non sia della sua natura mercuriale; e la sua sottigliezza gli dà la chiave per entrare nell’oscura prigione dei metalli e la forza di liberare i suoi fratelli dall’oscurità e dalla schiavitù. A questo fine, esso si trasforma in precedenza in diverse differenti maniere, come un Proteo; sale al cielo come se lo volesse scalare come un altro Encelade; discende in terra come se volesse penetrare gli abissi, liberarne Proserpina sul suo carro di fuoco ed arricchirsi delle ricchezze di Plutone.

94 – Si potrebbe dire che questo lievito è simile a Vulcano, che avendo sposato Venere, si è avvolto nel fuoco del suo amore e non respira che i suoi abbracci. Ma Giove, trovandolo troppo imperfetto, gli dà un calcio e lo precipita dal cielo in terra. Cadendo, egli si rompe una gamba, ed a partire da questa caduta rimane zoppo. È lui che ha composto questa mirabile rete con la quale Marte e Venere furono acciuffati e sorpresi sul letto d’amore. È questo il Vulcano che Filalete chiama bruciante, senza il quale il dragone igneo e il nostro magnete non possono mai essere ben uniti insieme.

95 – Il fuoco di cui è avvolto il nostro Vulcano fu in precedenza rubato da Prometeo e portato sulla terra, il che fu causa che Prometeo, per questo furto, fosse incatenato dallo stesso Vulcano sul monte Caucaso. E Giove ordinò ad un avvoltoio di mangiargli il fegato ed il cuore, che ricrescevano sempre e pullulavano per virtù dello stesso avvoltoio, il quale gli lasciava la facoltà di germinare e rinascere dopo la loro morte per vivere di nuova vita. In tal modo l’avvoltoio che si cibava del cuore e del fegato di Prometeo, non lo divorava che per moltiplicarlo incessantemente.

96 – Questa rinascita o rivivificazione ci rappresenta quella della fenice, che trova la vita nella sua morte, si vivifica da sé e risorge più gloriosa dalle sue ceneri. L’agente di cui si tratta che è, seguendo il pensiero di Filalete, di meravigliosa origine nel regno metallico, porta ed accende un fuoco di pira simile a quello da cui era precedentemente uscito. La pira e la fenice si abbracciano l’una con l’altra riducendosi in cenere; da queste sorge un uccello simile al primo, della stessa natura, ma più nobile, che cresce di giorno in giorno in virtù fino a che diviene immortale.

97 – Filalete dice che questa Fenice che rinasce dalle sue ceneri è il sale dei saggi e, per questo mezzo, il loro Mercurio. È il sale di gloria di Basilio Valentino, il sale albrot di Artefio, il mercurio doppio del Trevisano, il quale è pure l’embrione filosofico e l’uccello nato da Ermogene; è l’acqua secca, l’acqua ignea e mestruo universale o spirito dell’universo. La pietra dei saggi è saziata da quest’acqua che non bagna; essa ne è formata al fine di produrre il latte di vergine, che scaturisce dal suo seno; è lei stessa il succo della lunaria, lo spirito e l’anima del sole, il bagno Maria in cui il re e la regina devono bagnarsi.

98 – Questo sale è l’agente della natura che riversa il composto, lo distrugge, lo mortifica e lo rigenera molte volte. Contiene in sé il fuoco contro natura, il fuoco umido, il fuoco segreto, occulto ed invisibile; è principio di movimento e causa di putrefazione. È attraverso questo dissolvente che si riduce l’oro alla sua prima materia. Ora, tutti i filosofi sono d’accordo sul fatto che il mestruo che scioglie radicalmente il sole e la luna deve conservare la loro specie e restare con essi dopo la dissoluzione, e, di conseguenza, essere della loro natura e coagularsi con i corpi che sono stati disciolti per mezzo della loro virtù.

99 – In questa dissoluzione del corpo per mezzo dello spirito si compie la congelazione dello spirito per mezzo del corpo; e lo spirito ed il corpo si aiutano l’un l’altro, dice Lucas nella Turba. Lo spirito, egli dice, rompe anzitutto il corpo, affinché lo possa aiutare in seguito. Quando il corpo è morto, abbeveratelo del latte che contiene dentro di sé, e vedrete che il corpo congelerà lo spirito, e che farà uno da due, da tre e da quattro. È allora che il morto è vivificato, che il vivo muore in questa soluzione e congelazione. Così i filosofi comandano di uccidere il vivente e vivificare il morto, e prima di ciò, il corpo e lo spirito marciscono e si corrompono insieme.

100 – Non vi è perfetto lievito o spirito se lo spirito ed il corpo non si fermentano, inacidiscono e non si scaldano insieme per mezzo del fuoco interno e corrompente di un’acqua calda, che aiuti ed animi il calore del lievito. È ciò che avviene al nostro lievito, alla nostra acqua, al nostro corpo ed al nostro spirito. L’acqua di cui si parla è la prima, o anche la seconda. Artefio dice: il lievito è estratto dall’oro, che è il corpo, ed il lievito porta lo spirito corrompente. Così l’acqua, lo spirito ed il corpo compongono o forniscono la materia del lievito.

101 – Come abbiamo diversi lieviti a seconda del grado di perfezione cui sono elevati dalla nostra arte, dal momento che la natura non ce ne dà da sé, così abbiamo diverse acqua, diversi corpi e diversi mercuri. Ciò nonostante non vi è che un lievito perfetto, un solo corpo ed una sola autentica acqua, che è il mercurio dei saggi filosofi, che secondo Artefio è un vero fuoco. Questo fuoco è uno zolfo, ed il mercurio è lo zolfo, l’acqua ed il fuoco. Questo mercurio, dice Sendivogio, è dunque l’acqua estratta dai raggi del sole e della luna.

102 – Tale mercurio non potrebbe essere estratto dai raggi del sole e della luna se non fosse doppio; e non potrebbe essere estratto dalle sue caverne senza avere le funzioni del lievito; non potrebbe avere qualità del fuoco e dell’acqua, del sole e della luna, del corpo e dello spirito senza essere l’anima che congiunge il corpo e lo spirito, il mediatore tra fuoco ed acqua; e sarebbe a torto che i filosofi gli tessessero tante lodi, se questo mercurio nella nostra arte non fosse l’agente ed il dissolvente universale dei corpi.

103 – Abbiamo bisogno di questo lievito o mercurio per le tre dissoluzioni necessarie all’opera dei filosofi. La prima riguarda il corpo crudo, per trarne lo spirito separato dal suo corpo che ci è necessario per dare vita ai morti e per guarire le malattie. La seconda è la soluzione dell’oro e dell’argento che compongono, con la loro unione, la terra minerale. La terza dissoluzione è ciò che si chiama impiego per la moltiplicazione. La prima, che è spirituale, serve per la fermentazione del corpo impuro; la seconda, radicale, di quello puro; la terza, moltiplicativa, del purissimo.

104 – Si scioglie il corpo impuro per avere lo spirito nascosto in esso, ed il mercurio che lo dissolve è la prima chiave che apre la porta alla pietra. È questo mercurio che è preparato dalla nostra arte e che è composto da materia vile e di poco prezzo. Essa è solforosa e mercuriale, calda e fredda, secca e umida, contiene la virtù stitica ed astringente dei metalli di cui parla Basilio Valentino, ed è due volte nata dal mercurio. Questo mercurio contiene un gran tesoro, ossia lo spirito di mercurio e di zolfo, il fiore e lo spirito dell’oro. Esso apre la porta della casa di suo padre e di sua madre ed apre l’entrata del palazzo del re.

105 – Dalla materia di questa prima chiave, l’arte ne forma una seconda per adattamento. La prima è di tutti i colori, ma la seconda è bianca come la luna e pesa molto più della prima. È quest’ultima che apre la seconda porta e scioglie la terra minerale nella quale è nascosto l’oro dei filosofi, l’autentico sole. Essa lo fa apparire di giorno sotto diverse forme differenti, tanto in terra quanto in acqua, ed apre a tal punto le serrature di questo palazzo reale che, dopo averle aperte e chiuse a più riprese trova la pietra e l’elisir dei filosofi.

106 – La terza chiave si forma dalla materia della prima e della seconda. È questa la chiave d’oro che apre non solo il gabinetto in cui si trova la pietra, ma anche la cassetta della pietra e la pietra stessa, affinché cresca e si moltiplichi in qualità e quantità. Tuttavia, ogni volta che la pietra è aperta da questa chiave rossa, avviene una nuova dissoluzione; la terra diviene acqua o brodo grasso e poroso, e l’acqua diviene terra; si compie la corruzione, ed ogni volta una nuova generazione; la pietra moltiplica di dieci gradi di qualità ogni volta, e ciò fino a sette volte.

107 – Questa moltiplicazione è l’ultima parola dei saggi, così come la dissoluzione è la prima, dice Flamel. La dissoluzione è il primo fondamento o primo passo della filosofia, e la moltiplicazione ne è la fine, se si eccettua la proiezione, nella quale avviene ancora una dissoluzione radicale mediante la separazione e l’esclusione dell’impuro e la congelazione del seme puro. In tal modo, la dissoluzione è necessaria all’inizio dell’opera, nel mezzo ed alla fine. E dopo il completamento dell’opera, attraverso la prima, dice Morieno, i corpi duri divengono molli come crema o come gomma pesante.

108 – Gli altri dicono che, attraverso la dissoluzione i corpi secchi sono ridotti in acqua secca che non bagna le mani, vale a dire in mercurio, poi in semenza, in seguito in spirito fisso ed infine in terra; quest’ultima è sovente ridotta in acqua per dissoluzione e ritorna in terra per congelamento, sale e discende, e, di chiarezza in chiarezza, è elevata all’ultimo grado di fissità e fondibilità. E siccome bisogna, per ogni operazione, avere un’acqua secca e dissolvente come chiave necessaria, presentata e preparata dalle mani della natura all’artista, molti hanno creduto che questo dissolvente o questa chiave fossero il mercurio volgare.

109 – Tutti gli autori si accordano su questo punto, che il mercurio volgare non è affatto la nostra acqua dissolvente né il nostro vero mercurio. La ragione è legata alla sua impurità, che non gli permette di mescolarsi, intimamente e per le parti più piccole, con i corpi puri che devono essere dissolti, né, di conseguenza, di rimanervi inseparabilmente unito. Dopo la loro dissoluzione questa stessa impurità, che gli è connaturata, non gli dà il potere di purificare gli impuri, che dovremo purificare per dissoluzione, perché, dice Filalete, ciò che deve purificare gli altri deve essere puro.

110 – Oltre alla purezza al mercurio manca, per essere il mercurio dei filosofi che dissolve radicalmente l’oro e che si cambia in oro dopo aver cambiato l’oro in sé per dissoluzione, anche un calore naturale, che egli non possiede. Questa mancanza di calore viene dal fatto che è un frutto crudo, caduto dal suo albero prima del tempo, ed al quale la natura non ha potuto aggiungere il suo agente appropriato. Siccome è rimasto impuro, freddo ed indigesto, esso ha bisogno di uno zolfo lavato ed incombustibile, che l’arte gli aggiunge per maturarlo, scaldarlo e purgarlo; senza questo zolfo, l’arte non saprebbe perfezionare il mercurio.

111 – Questo zolfo puro e fisso che perfeziona il mercurio volgare, nella proiezione in cui è trasmutato in oro, deve essere estratto da cose che sono della natura del mercurio; diversamente, non avrebbe il potere di penetrare ed unirsi ad esso intimamente. Perché la natura non si unisce che alla sua natura e respinge tutto ciò che è estraneo. Ora, il mercurio dei filosofi contiene questo zolfo lavato ed incombustibile, attraverso il quale esso è a poco a poco digerito e cambiato in oro e poi, attraverso una nuova rigenerazione, cambiato ed elevato in pietra fissa e fondente, che muta il mercurio volgare in oro in un momento.

112 – Si può vedere, in ciò che abbiamo appena detto, che Filalete ha detto la verità quando ci assicura, nella sua metamorfosi, che il mercurio volgare e quello dei saggi non sono punto differenti, materialmente e fondamentalmente, l’uno dall’altro. Infatti l’uno e l’altro sono un’acqua secca e minerale. Che i figli della scienza sappiano dunque, dice questo filosofo, che la materia del mercurio volgare può e deve entrare, in parte nella materia del mercurio dei filosofi, in modo che la loro materia sia omogenea e che esse non differiscano che per la minore o maggiore purezza e calore.

113 – È dunque certo, per parlare in buona fede e secondo la dottrina di questo grande filosofo, che se si potesse togliere al mercurio volgare ciò che esso ha di superfluità solforose, combustibili, di acquosità e di terrestrità corrompenti, e se gli si potesse dare il calore dello zolfo incombustibile, vale a dire una virtù spirituale ed ignea, una volta dissipate le tenebre di Saturno, si vedrebbe uscire il mercurio tutto brillante di luce, e questo mercurio non sarebbe più volgare; sarebbe piuttosto quello dei filosofi, i quali tutti dicono che, determinato com’è, esso non può essere il nostro mercurio a meno di perdere la sua forma.

114 – Il mercurio volgare è un corpo; quello dei filosofi è uno spirito. O, almeno, il mercurio corporale è corporale e morto e quello dei saggi è spirituale e vivente. Il volgare è maschio, il nostro è femmina, o almeno ermafrodito; è un’acqua, ed è contenuta nel mercurio volgare, ma è troppo avviluppata nel suo corpo. Il mercurio dei filosofi è il nostro seme benedetto; il volgare non è che lo sperma che lo contiene, da cui non lo si può estrarre che attraverso la dissoluzione, che si attua col nostro mercurio; in questa esso perde la sua forma prima, per assumerne una più nobile ed eccellente.

115 – So bene che il mercurio volgare, conservando la forma in cui si è specificato, non è la materia immediata della pietra. E quand’anche fosse spogliato della sua forma, non potrebbe essere cambiato in pietra a meno che non fosse ridotto in mercurio dei saggi; né tantomeno potrebbe divenire mercurio dei saggi senza essere stato mortificato, rivivificato, o generato. Allo stesso modo esso non potrà essere il dissolvente dell’oro e degli altri metalli, laddove non sia spoglio da ogni cosa estranea non metallica e corporale. Ma, in verità, si può dire che esso è la più semplice e la più prossima materia o soggetto della proiezione filosofica.

116 – Si può anche dire, in favore del mercurio volgare, che esso è la molle montagna di cui parla Sendivogio, nella quale si può facilmente scavare con l’agente dei filosofi per trovarvi l’acqua viva ed ignea, o il fuoco umido che noi cerchiamo e col quale, avendolo trovato, compiere meraviglie. Ancora si può dire in suo favore che esso può essere utile all’opera, che gli si può togliere ciò che ha di impuro e supplire a ciò che gli manca in virtù ignea. In un dialogo dice di essere Mercurio, ma afferma che ve ne è un altro che aprirà le porte della giustizia, di cui lui è il precursore; il che è simbolo ammirevole di un grande mistero.

117 – È un gran privilegio per il mercurio volgare essere la via del suo maestro ed il precursore del mercurio dei saggi che, secondo il grande Filalete, viene a liberare i suoi fratelli minerali, i metalli, i vegetali, gli animali e tutti i corpi naturali da tutte le loro lordure originali. Parliamo sempre per parabola e comparazione, perché la natura e la sua scienza sono il pentacolo di tutti i misteri ed il simbolo delle più alte verità. Con queste si si trova la spiegazione, la predizione e la manifestazione di tutto ciò che è occulto. Tale è l’effetto della sapiente saggezza, artista d’ogni cosa che insegna perfettamente la radice segreta delle operazioni meravigliose. Secondo l’espressione di re Salomone. Egli stesso, dice, ha descritto la saggezza in maniera triplice, perché essa comprende tre sensi, mutuamente ed in egual proporzione rappresentativi l’uno dell’altro. E noi scriveremo come ha scritto questo saggio.

118 – I filosofi hanno senza dubbio condiviso questo pensiero, allorquando hanno detto che bisogna estrarre un’aria attraverso un’altra aria, uno spirito con uno spirito, prendere e catturare un uccello con un uccello, come dice Aristeo. Altri hanno detto che, attraverso uno spirito crudo, se ne deve estrarre uno che sia digesto e cotto. Altri ancora hanno detto che un mestruo vegetale unito ad uno minerale ed ad un terzo mestruo essenziale, sono necessari per ottenere il dissolvente universale o mercurio dei filosofi; vale a dire che questo famoso mercurio ha bisogno di un precursore, come un Elia.

119 – Questo famoso mercurio, al quale i filosofi hanno tributato tante lodi, merita d’avere simbolicamente un precursore che abbia lo spirito di Elia e che prepari le vie del suo Signore. Il precursore è della stessa natura del Signore, ma quest’ultimo è infinitamente più nobile, poiché è nato da una terra vergine e concepito da uno spirito celeste, mentre il precursore è stato concepito in iniquità come gli altri corpi metallici, benché sia stato purificato in seguito e lavato nel ventre di sua madre per esser reso degno di preparare le vie del re filosofico.

120 – Questo discorso allegorico è stato tratto dalla dottrina del sapiente Filalete, nostro contemporaneo, e del famoso Sendivogio; costoro insegnano che i corpi metallici sono stati concepiti tutti in iniquità e maledizione nel seno di una terra corrotta, e che lo stesso oro, per quanto puro sia, così come il precursore di cui stiamo parlando, ha bisogno del mercurio dei filosofi, che è concepito da una terra vergine e formato dal suo purissimo sangue per mezzo di uno spirito celeste, fonte di beltà, purezza e di luce; e così, per quanto sia, secondo natura, corporale e della natura degli altri, esso li purifica con la sua virtù.

121 – In verità, il mercurio dei saggi è composto di corpo, anima e spirito; ma il suo corpo, dopo essere passato per tutte le operazioni dell’arte come attraverso torture e sofferenze, il suo corpo materiale, dicevo, è tutto spirituale ed, essendo stato elevato in gloria, è di una virtù così grande di una tale sublimità, luce e fissità che può essere tutto; fisso, esso illumina e trionfa di tutto ciò che è nel regno metallico; separa la luce dalle tenebre che oscurano i suoi fratelli, schiavi dell’impurità, ed infine, è un puro spirito che attira a sé tutto ciò che è puro.

122 – Qualunque sia la nobiltà che troviamo nel nostro mercurio, il cui seme è fatto e composto dalla nostra arte, non è differente da quella di cui sono composti tutti i metalli; questi corpi metallici non differiscono l’uno dall’altro che per la maggiore o minore decozione e purezza, perché il loro seme è il medesimo e quelle superfluità, introdotte o rimaste nella loro congelazione, non sono connaturate ai metalli e non hanno corrotto la loro semenza, che è una porzione di luce celeste ed incorruttibile, pura nelle immondizie e rilucente nelle tenebre.

123 – L’oro ha lo splendore, il seme, ed è tutto semenza metallica. Ma non è né il mercurio dei saggi né la pietra. Perché pur essendo tanto puro quanto l’uno e l’altra, non ha la loro sottigliezza. L’oro è morto e non può resuscitare che per virtù del mercurio dei saggi, che è il suo adatto dissolvente e l’autore della sua morte e della sua vita, che lo fa discendere negli inferi e poi lo libera per farlo risalire fino al cielo e procurargli quella sottile fissità che di sua propria natura non possiede.

124 – Tra l’oro ed il mercurio dei saggi c’è questa differenza, che il primo è un’opera di natura che si compie nelle miniere senza soccorso dell’arte, mentre il secondo è opera dell’arte e della natura, poiché non si trova né sopra la terra né al di sotto. È un bambino che possiamo produrre per estrazione, ovvero traendolo dalle cose in cui è. Oppure si estrae per artificio dello zolfo e del mercurio di natura, congiunti insieme per mezzo di un terzo della medesima natura; ed una volta estratto esso costituisce la materia prossima della nostra pietra.

125 – In una settimana, dice Filalete, questo mercurio, per semplice digestione, diviene oro filosofico che è la materia più prossima della pietra. È questo solo mercurio che basta, insieme al fuoco, e addirittura è lui stesso il fuoco. Se c’è qualcuno, dice nel suo dialogo, che abbia visto il fuoco nascosto nel mio cuore, ha compreso che il fuoco è il mio vero nutrimento; e più lo spirito del mio cuore mangia a lungo del fuoco, più diviene grasso. Così il serpente divora la sua coda e si mangia da solo, e lui ed il fuoco sono due ed uno solo.

126 – La miniera del nostro mercurio non è dunque altro che lo zolfo ed il mercurio congiunti insieme, dice il Cosmopolita. Perché da due si fa uno, che è il latte virginale, dice Arnaldo da Villanova. Questo latte è il nostro mercurio o aquila bianca, composto del composto, aria dell’aria, argento vivo dell’argento vivo, acqua estratta dalla roccia, dove si vede una miniera di oro e acciaio. Si notano dunque qui i due principi del mercurio dei filosofi; suo padre è il sole, elevato per gradi dalla nostra arte, e sua madre la luna bianca, che si eclissa col sole al concepimento di questo figlio.

127 – L’oro ed il mercurio fluido sono la materia della nostra opera, dice Filalete. Se questo filosofo parlasse diversamente, tradirebbe il suo pensiero ed il suo nome (6). Ma al suo pensiero si può aggiungere che la materia dell’opera è il solo mercurio e che questo capolavoro della natura e dell’arte, con tutti i miracoli che lo accompagnano, si fa da una sola cosa, come dice Hermes, vale a dire dal mercurio dei filosofi, che è l’oro vivo o oro embrionale e volatile, che si muta in oro mediante un piccolo calore, ma non immediatamente in pietra. Ma, in definitiva, tutto ciò che lo compone trae la sua origine dal nostro mercurio.

128 – L’oro che esce dal nostro mercurio come il sole dal seno di Thetis, tutto splendente di luce, è chiamato oro vivo, fino a quando non è passato nel fuoco di fusione che è la morte dei nostri metalli, dice Basilio Valentino. Quest’oro vivo è tutto fuoco, ovvero è il vero fuoco dell’oro, assai fisso e purissimo oro balsamico, nemico della corruzione. Esso contiene in sé il sale, lo zolfo ed il mercurio o, piuttosto, è tutto sale, tutto zolfo e tutto mercurio. Ma, in questi tre principi, esso è talmente in unità ed omogeneità che è inalterabile ed incorruttibile, e non può essere decomposto che dai raggi del sole, che è suo padre.

129 – L’oro vivo è spesso chiamato zolfo vivo. È questo zolfo, dice Sendivogio, a cui i filosofi hanno dato il più alto rango come al primo dei principi. È questo primo agente che è tenuto tanto nascosto. Esso, ciò nonostante è assai comune; è dappertutto, dicono, ed in tutte le cose; è vegetale, animale e minerale; è la vita di ogni cosa ed è una porzione di quella luce che fu creata all’inizio del mondo; è il principio di tutti i colori, di tutte le congelazioni e di ogni maturità; e senza questo zolfo vivo l’umido radicale nei vegetali, animali e minerali sarebbe del tutto inutile.

130 – Questo zolfo o oro vivo può essere considerato in tre stati. Nel primo è un puro spirito che si trova in ogni cosa, che è loro anima, vita e luce; è come un cielo reso terra ed avviluppato in tutti i corpi. Nel secondo stato esso è minerale, di conseguenza specificato nei minerali e racchiuso nel loro umido radicale; e poiché è un fuoco, esso, quando è libero di agire, agisce senza tregua su questo umido; e siccome questo umido è un’aria, questo fuoco se ne nutre. Nel terzo stato esso è folgorante, vittorioso e trionfante di tutto ciò che gli resiste.

131 – In accordo coi filosofi, si può ancora dire che l’oro vivo dei saggi può essere considerato come agente e come paziente. Come agente, è uno spirito che è sempre in azione, che dà il movimento ad ogni cosa e che è il principio e promotore della corruzione e della generazione dei composti. È uno spirito di luce sempre occupato a scacciare le tenebre ed a separare il puro dall’impuro. In questo stato esso sta nel mercurio dei saggi come nel luogo del suo dominio, in cui comincia ad esercitare atti da re.

132 – Questo fuoco o questo zolfo cessa d’agire quando ha consumato il suo proprio umido, se non gliene si fornisce di nuovo. Ma se gliene si dà, ricomincia il suo movimento e converte ancora quell’umido nella sua sostanza, tanto quanto può. La prima volta, nel compiere il suo movimento nell’uovo e sull’uovo dei saggi, esso converte tutto il suo umido radicale in puro oro che è oro vivo ma paziente. Così l’agente diviene paziente, la prima materia diviene seconda, ma la seconda diviene prima. Questo mercurio che era paziente diviene agente e ridà il suo movimento al nostro oro vivo.

133 – Se l’oro vivo ricomincia il suo movimento, lavora con maggior vigore che la prima volta ed al termine si trova più nobile. Perché, questa seconda volta, l’opera termina con un oro più eccellente di quanto non lo sia suo nonno, e che non è suo padre e sua madre. Perché l’elixir, che è il cielo in terra e lo zolfo incombustibile e tingente a tutta prova, alla fine di questo movimento si trova perfetto. Così l’oro produce oro dal mercurio; e l’oro ed il mercurio, il sole e la luna, producono la pietra e ne sono prodotti. E si vede che le cose finiscono dove sono cominciate.

134 – I filosofi, di comune accordo, hanno detto con ragione che il loro oro vivo non è altro che il puro fuoco del mercurio, vale a dire la porzione più perfetta del puro e nobile vapore degli elementi, ovvero quel fuoco innato ed intrinseco al mercurio, ovvero quello passivamente ed in potenza presente nel mercurio volgare ed attivamente ed in atto in quello dei saggi. Quest’oro vivo è come un’esalazione, ed il mercurio è il vapore che contiene questa esalazione. Ora, il vapore, essendo consumato dal calore dell’esalazione, si muta in una polvere che imita il fulmine, cadendo sui metalli imperfetti.

135 – Questo nobile vapore degli elementi è l’umido radicale della natura, che è ovunque ed in ogni cosa, che si trova specificato in ciascuna, e particolarmente nel mercurio volgare da cui questo umido radicale, specificato e determinato in natura metallica, esce assai abbondante; senza dubbio, se la natura, da sola o con l’ausilio dell’arte, gli avesse aggiunto il fuoco innato o l’agente intrinseco, o quell’esalazione che fa le funzioni del maschio, il mercurio volgare sarebbe mercurio dei filosofi e potrebbe così divenire oro e, per gradi, medicina aurifera.

136 – Questo zolfo fisso o fuoco metallico, che è in potenza nel mercurio volgare, è effettivamente nell’oro, ma non in atto o in azione, poiché è situato sotto forti barriere che lo mettono al riparo dalla violenza del fuoco elementare; e nulla può rompere queste barriere eccetto il nostro fuoco umido. Ma, per trovare questo oro vivo, bisogna trovarlo nella sua propria casa, che è il ventre di Aries. Questo zolfo o oro vivo è il solo agente capace di spogliare il mercurio volgare da tutte le sue impurità, di digerire ciò che è indigesto ed unire a sé ciò che ha di puro.

137 – Quando il mercurio, vale a dire l’umidità e la freddezza, dominano il calore e la secchezza che sono lo zolfo, abbiamo ciò che si chiama il mercurio dei saggi; esso è freddo ed umido di fuori e porta il caldo ed il secco, cioè lo zolfo, nel suo ventre; quando il caldo ed il secco dominano sul freddo e l’umido, è l’oro che tiene il mercurio nei suoi legami sotto la dominazione dello zolfo, il quale, dopo aver consumato tutto il suo umido radicale, lo cambia in sé stesso, ovvero in oro. Così, l’oro è tutto zolfo e tutto spirito; ed è anche tutto corpo e tutto mercurio.

138 – I filosofi hanno tutti riconosciuto due sorte di zolfi o agenti naturali. L’uno è esterno e serve da causa efficiente e movente al di fuori, l’altro è causa interna e come forma informante. Il primo, avendo compiuto la sua operazione, si ritira, dicono Bonus e Zachaire; ed in quel momento si ha la perfezione del metallo; il secondo è una porzione ineffabile di quello spirito luminoso contenuto nel seme che è l’umido radicale metallico, e tale zolfo è inseparabile dal suo soggetto, che è quello stesso seme o umido radicale che ha lo sperma per involucro.

139 – Questo spirito luminoso contenuto nel seme metallico, che è l’umido radicale dei metalli, non è altro che ciò che si chiama, nella Nuova Luce, l’aria dei filosofi. È la stessa aria di cui parla Aristeo scrivendo a suo figlio. Quest’aria, egli dice, è il principio di ogni cosa nel suo regno; e per questo quest’aria è la vita ed il nutrimento delle cose di cui è principio. Il che ha fatto dire a tutti i filosofi che l’aria nutre il fuoco innato. Così l’aria metallica inspira la vita nel fuoco metallico e gli fornisce l’alimento, poiché essa ne è il principio.

140 – L’aria dei saggi non è l’aria comune, che è il nutrimento del fuoco innato in tutti i tipi di esseri; è piuttosto un’aria metallica che è nutrimento del fuoco o zolfo minerale, il quale fuoco o zolfo è contenuto nel mercurio dei saggi. Quest’aria metallica è un’essenza sottilissima che prende il corpo d’un vapore e si condensa con l’umido metallico per servire da nutrimento al fuoco minerale contenuto in questo vapore grasso, il quale è un’essenza aerea che si può chiamare spirito o aria, che è la vita di ciascuna cosa ed è necessario all’opera.

141 – Questo vapore così necessario all’opera dei saggi, si deve cercare in quei corpi metallici, ma occorre una chiave d’oro, dice Aristeo, per aprire le porte della giustizia. Quest’aria di cui abbiamo bisogno è rinchiusa; non la si può liberare dalla prigione che attraverso un’altra aria omogenea che serve da chiave. Sul che si può dire, con Filalete, che questa chiave dorata che apre la porta del palazzo chiuso del re è il nostro acciaio che è, dice questo filosofo, la vera chiave dell’opera senza la quale il fuoco della lampada non può essere acceso.

142 – Il nostro acciaio è la miniera dell’oro, uno spirito purissimo, un fuoco infernale e segreto, il miracolo del mondo, il sistema delle virtù superiori in quelle inferiori, dice Filalete; quest’acciaio è la luce dell’oro ed il magnete da cui viene è la luce dell’acciaio. Ma è certo che, dice il Cosmopolita, la nostra aria genera il nostro magnete, o, almeno, contribuisce alla sua generazione, e che il nostro magnete genera o fa apparire il nostro acciaio; oppure diciamo, con minore invidia, che la nostra aria ed il nostro magnete sono i due principi del nostro acciaio, della nostra miniera, dell’oro e delle loro luci.

143 – Questo magnete e quest’aria sono i due primi agenti ed i due dragoni a guardia del vello d’oro e dell’entrata del giardino delle vergini Esperidi di cui parla Flamel. Egli le chiama sole e luna di fonte mercuriale e d’origine solforosa; i quali, per fuoco continuo, quando saranno uniti insieme, si ornano di abbigliamento regale per vincere ogni cosa metallica, solida, compatta, dura e forte; in seguito, sono mutati in quintessenza, che è un estratto d’acqua, di terra e di fuoco, e questo è il nostro acciaio, o il nostro mercurio doppio del buon Trevisano.

144 – Questa quintessenza è col fuoco dello zolfo minerale, il succo della saturnia ed il legame del mercurio. E per produrla bisogna, all’inizio, prendere due serpenti, ucciderli, corrompere e generare, dice Flamel. È questa l’acqua secca che non bagna le mani; oppure è il latte virginale di Arnaldo da Villanova, che contiene in sé i due spermi, il maschile e il femminile, preparati nelle reni dei nostri elementi. È l’umido radicale dei metalli, lo zolfo e l’argento vivo dei filosofi, il doppio mercurio estratto dalla corruzione del sole e della luna.

145 – Questo mirabile composto racchiude in sé l’cqua ed il mercurio dei filosofi, ovvero i quattro elementi. Esso non è latte né mercurio, dice l’bate Sinesio; è una cosa imperfetta, dice Filalete; è il sole e la luna dei saggi, dice il Cosmopolita; il figlio del nostro magnete e del dragone igneo che ha divorato il serpente, il fuoco segreto, forno invisibile, prima umidità dei saggi che è risultato della distruzione dei corpi. Perché, in effetti, l’acqua seconda e dorata di Artefio si fa dalla distruzione del composto, come il composto si fa dalla distruzione dei preziosissimi corpi.

146 – La distruzione di questo composto, dice l’anonimo, è la seconda chiave dell’opera, il mistero dei misteri ed il punto essenziale della nostra scienza; è ciò che apre le porte della giustizia e le prigioni dell’nferno, dice il Cosmopolita. È allora che si vede scorrere, dai piedi del rosaio fiorito, quell’acqua così famosa presso i filosofi, la quale si produce, dice Basilio Valentino, dal combattimento di due campioni che si lanciano sfida. Perché l’aquila non può farsi da sola il nido sulla cima delle Alpi, ma gli si deve aggiungere un dragone freddo, il cui spirito volatile brucia le ali dell’aquila.

147 – Il calore igneo dello spirito del dragone, facendo fondere la neve delle montagne, ci dà l’acqua celeste di cui si sta parlando, nella quale, dice Artefio, vogliono bagnarsi il re e la regina. Ma bisogna che la terra riceva la sua umidità perduta, di cui si nutre. È dunque necessario reiterare queste preparazioni d’acqua con innumerevoli distillazioni, affinché la terra sia imbevuta di sovente del suo umore, e questo umore altrettante volte estratto, ad imitazione dell’Euripe, con un mirabile flusso e riflusso. Ma senza fuoco non si ottiene alcuna acqua.

148 – Siccome non si potrebbe estrarre la nostra acqua aerea o aria acquatica senza fuoco, così non si potrebbe digerirla o perfezionarla senza fuoco; il che ha fatto dire ad Hermes che il fuoco è il pilota della grande opera, ed ad Artefio che il fuoco è necessario all’inizio, nel mezzo ed alla fine della nostra opera; il che è da intendere che il fuoco di putrefazione, come dice Morieno, è necessario per la generazione. È questo fuoco putrefattivo che il conte Bernardo chiama calore di letame, e chi conosce bene questo fuoco, egli dice, arriva all’ottenimento del nostro Saturno, che è la bianchezza.

149 – Questa conclusione del nostro Saturno, che si compie per gradi, è la luce che esce dalle tenebre; e questa luce o bianchezza non esce che grazie a questo fuoco che causa putrefazione e che è il fuoco contro natura come l’insegna Artefio così necessario, dice Parmenide, alla composizione del magistero dal momento che bisogna rompere e corrompere questo corpo per estrarne l’anima e lo spirito; ed in questa maniera la mondificazione ed abluzione della materia, dice Calid, si compie per mezzo del fuoco; per questo stesso fuoco si effettua l’eiezione delle impurità del composto.

150 – Il magistero dei saggi comincia col fuoco, si continua col fuoco e si completa col fuoco. Questo fuoco talvolta è umido, ed è il fuoco del bagno o del letame caldo; qualche altra volta è un fuoco caldo, umido e freddo ed è fuoco di lampada; infine esso può essere secco, caldo ed umido, ed è il fuoco di cenere bianca o di sabbia rossa. Il nostro fuoco scalda la fontana dei saggi. In conclusione questo fuoco è caldo, freddo, umido e secco, o, piuttosto, è uno spirito o una quintessenza che non è né calda, né secca, né fredda, né umida in sé. Dio la dona ai saggi. Che ne sia lodato in eterno.

Fine del Salterio d’Ermofilo

NOTE AL TESTO:

(6) Ireneo Filalete significa appunto “pacifico amante della verità”.

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