Pagina on-Line dal 07/04/2012

 

I Secreti nuovi di maravigliosa virtù di Girolamo Ruscelli (Viterbo 1500 circaVenezia 1566) escono a Venezia nel 1567, dopo la morte dell’autore, quando il presunto segreto dell’identità del misterioso Don Alessio Piemontese è ormai dissolto. Le raccolte di Secreti firmate dal Ruscelli sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese sono, a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, probabilmente, le più diffuse in assoluto. Decine di edizioni in italiano, latino, tedesco, inglese e francese testimoniano il sicuro successo di quello che più di uno studioso ha identificato come vero e proprio prototipo di quei “libri di secreti” che tanta fortuna ebbero in questo periodo.

Intellettuale prolifico e dai molteplici interessi il Ruscelli curò l’edizione italiana della Geografia di Tolomeo, curò (assai spesso per l’importante editore veneziano Valgrisi) opere di poeti italiani (Ariosto, Boccaccio, Petrarca), scrisse autorevoli saggi sulla lingua italiana e, seguendo una moda diffusa tra gli intellettuali del tempo, un libro sull’ermeneutica delle Imprese.

Riservò solo ai suoi libri di Secreti (quasi come ad operette marginali nel quadro della sua produzione) lo pseudonimo di Alessio Piemontese. Pure, tra tutte le opere attribuite al geniale poligrafo, sono proprio queste raccolte di ricette e di Secreti ad ottenere un successo ed una diffusione con pochi precedenti.

Il proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtù che trascriviamo di seguito ha un importante valore storico-documentario, poiché rappresenta una organica testimonianza dell’esistenza di una Accademia di carattere precipuamente alchemico nel regno di Napoli in pieno XVI secolo. La descrizione rimanda ad un ambiente intellettuale assai fertile e probabilmente identificabile. Intorno al 1541 il Ruscelli si trasferisce infatti, dalla residenza romana del cardinale Grimani, nella residenza napoletana del marchese Alfonso D’Avalos. Con una ricostruzione puramente indiziaria ma non improbabile l’Eamon collega il Ruscelli all’ambiente intellettuale e scientifico raccolto intorno alla corte del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, alleato politico del D’Avalos contro il comune nemico rappresentato dal viceré spagnolo Pedro da Toledo.

Purtroppo intorno all’accademia descritta dal Ruscelli, non abbiamo altre testimonianze. Nonostante ciò risulta spontaneo l’accostamento analogico con l’Accademia Dei Segreti che, intorno agli anni ’60 del secolo, il giovane Giovan Battista Della Porta fonderà e dirigerà a Napoli .

La trascrizione del brano che segue è stata eseguita con criteri conservativi, essendo rimaneggiata solo la punteggiatura.

Massimo Marra

 

Bibliografia essenziale: W. Eamon, La scienza e i segreti della natura. ECIG, Genova 1998

N. Badaloni, Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, vol V tomo 1 pp.641689, Napoli s.d.

M. Marra, Il Pulicinella Filosofo Chimico – uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del viceregno, MIMESIS, Milano 2000

Girolamo Ruscelli, Secreti nuovi di maravigliosa virtù. Vinegia 1567

 

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PROEMIO DEL SIGNOR IERONIMO RUSCELLI

NELL’OPERA SUA DE’ SECRETI

 

Quando io habitava nel Regno di Napoli, pochi anni innanzi ch’io venissi a Venetia, in una illustre città di quella provincia, trovandomi nella compagnia di XXIIII persone particolari & con esse il Principe & Signor della terra, si diede principio ad una onorata Accademia Filosofica la quale, per molti degni rispetti volsero che fusse & si chiamasse secreta, la quale andò tuttavia procedendo felicemente di bene in meglio con gli ordini & con l’operationi che qui compendiosamente si narreranno.

Primieramente noi fummo XXIIII compagni particolari, tre Signori & capi nostri, cioè il Principe Signor della Terra, un suo parente et un ministro, che tutti insieme eravamo al numero di XXVII, numer perfetto & d’altissimo misterio appresso i più eccellenti Filosofi gentili, ma anche da savi Teologi.

Di tutti XXIIII huomini sette erano Cittadini nativi della città propria, sette di diversi luoghi d’Itali, sette Oltramontani di diverse Province, uno Schiavone, un Greco & uno Ebreo di Salonichi, vecchio & che più volte era andato di Levante in Christianità.

Li sette cittadini della città erano tutte persone di Studi & di lettere di Filosofia, & tutti accomodati di beni della Fortuna, di modo che fra tutti havevano da nove mila scudi d’entrata. Cinque di loro erano senza mogliere & senza figliuoli. Il sesto la haveva, ma sterile di ventisette anni. Et il settimo haveva una sola figliuola maritata a persona comodissima & conforme al suo grado.

De’ quattordici forestieri nove erano ancora essi accomodati de beni della Fortuna alle patrie loro, et vivevano onoratamente de’ loro denari che si facevano venir da casa per li ministri lavoranti & servitori & per ogni altra cosa che si dirà qui seguente.

Li tre altri erano senza alcuna entrata o facultà, ancora che per se stessi s’essercitassero in alcune onorate operationi da guadagno, & la nostra compagnia non mancava di supplir loro a quanto bisognava.

Li sette Cittadini della città s’erano da loro stessi tassati a contribuire ciascun d’essi settecento scudi l’anno, & delli sette altri d’Italia due di loro non havevano da poter contribuire a spese comuni.

Gli altri quattro s’erano tassati volontariamente a metter l’anno cento scudi per uno, & cinquecento fra tutti loro ne volevano contribuire ogni anno i facoltosi Oltramontani.

Ma la compagnia sì per esser essi forestieri, sì ancora per far tra essi & gl’Italiani il numero di sette, non volle che essi mettessero più che trecento scudi fra tutti insieme.

Il nostro magnanimo Principe contribuiva mille scudi ogni anno, & altri mille ce ne aveva conceduti sopra d’un Datio, che, incantandosi ogni anno, colui a chi restava s’intendeva d’esser obligato a pagar questi mille scudi in più che venivano alla nostra compagnia. Ma perché ella si faceva secreta, si riscuotevano detti mille scudi sotto altro nome per terza mano.

Il ministro di sua eccellenza & il parente, contribuivano cento scudi per uno l’anno.

Onde in tutto la nostra compagnia haveva da spendere ogni anno ordinariamente cinque mila scudi, oltre a qualche migliaro che se ne guadagnava nel modo che si dirà appresso.

Avevamo poi per ministri & serventi due spetiali, due Orefici, due profumieri, un dipintore, Quattro Erbolarij & Simplicisti intendenti i quali tutti, per essere persone bisognose, si tenevano a spese continue della compagnia & aì convenevoli salari, & stavano contentissimi essendo ancor’essi persone di bell’animo & desiderosi d’imparare & d’acquistar virtù.

Erano poi deputati i serventi da fatica in due parti.

L’una che attendeva solamente alla cura della casa ove si mangiava, provvedendo alla cucina, all’apparecchio delle tavole, al far di letti & a tutt’altre cose necessarie per il vivere di tutti i ministri & operarij della Filosofia & di se stessi.

I compagni mangiavano & dormivano tutti alle case loro. Et solamente ogni primo dì di ogni mese si radunavano a ricrearsi tutti insieme la mattina a desinare nella detta casa commune a tutti.

L’altra parte de’ serventi era deputata tutta al servitio & ministerio della Filosofia, come al portare acqua, pestare, macinare, fabricar forni & altre tai cose, attendere ai fuochi, lutar vasi, far luti, crivellar ceneri, far capitelli, nettar i vasi & le stanze, & tutti gli altri servitij di fatica necessari in tal Filosofia. Et a questi tutti stavano sopra intendenti, & comandavano i sopradetti spetiali, orefici & profumieri & dipintori, secondo che erano le cose che si venivano facendo. Cioé se erano cose di spetiarie, l’ordinava gli spetiali, se di profumerie i profumieri, se di colori i dipintori & così l’altre, non mancando ancor’essi soprastanti di metter le mani lietamente & d’adoperarsi dove bisognava.

Il nostro benignissimo Principe si aveva posto da se stesso, generosamente, obligo di volersi trovare ogni prima Domenica di mese ad una general congregatione che noi facevamo, ove si narravano & mostravano tutte le cose che in tutto il mese precedente si erano fatte. Et fin allora per certo non haveva mai in diece anni mancato se non sei volte per giustissimi impedimenti. Ma tuttavia haveva voluto sempre supplire con venirvi poi una dell’altre Domeniche o feste che havevano seguito appresso.

Il parente & il ministro di sua Eccellenza havevano obligo volontario di venir alla filosofia (che così fra noi chiamavamo la detta nostra casa comune) una volta la settimana. Ma perché erano signori che si dilettavano, vi venivano molte volte più delle lor’obligationi & erano quasi così continui come ciascuno di noi. I quali per volontà & per obligation non lasciavamo mai giorno che non vi andassimo. Ben’è vero che all’andar nostro non era prefissa ora particolare, & potevamo andare a qual’ora ci piaceva & starvi quanto volevamo, Vedendo & intendendo da quei soprastanti quello che si era fatto & che si faceva, & ordinando noi o di commune consultatione fra tutti o fra alcuni di noi, o ancora ciascuno di noi quello che particolarmente ci pareva di voler provare & mettere in opera. Ma dovendosi qui per satisfattione de’ Lettori soggiungere gli ordini et l’operationi della detta nostra compagnia, sarà bene che primieramente si narri qual sia stata l’intentione del generosissimo nostro Principe & nostra, in fondare & continuare questa nostra onestissima & felicissima compagnia.

L’intention nostra era stata primieramente di studiare & imparare noi stessi, non essendo studio né altro essercitio alcuno che più sia vero della Filosofia naturale, che questo di far diligentissima inquisitione & come una vera anatomia delle cose & dell’operationi della Natura in se stessa. Et aiutata dall’arte si vede aver’avuto origine & accrescimento la Medicina & tante altre arti importantissime alla vita Umana & all’ornamento del mondo. Et insieme con questa dilettatione & utilità nostra noi avevamo parimente caro di far beneficio al mondo in generale & in particolare, con ridurre a certezza & a notizia vera tanti utilissimi & importantissimi secreti d’ogni sorte & per ogni qualità di persona, così ricca & povera, Dotta & indotta, & maschio & femina, gioveni o vecchi che essi sieno.

Et però primieramente in tutti questi anni attendemmo di continuo a fare esperienze di tutte le sorti di secreti che in libri a stampa o a penna, così antichi come moderni potessimo ritrovare.

Et nel far tale esperienze abbiamo tenuto & tenemmo un’ordine & un modo che non si può forse trovare né imaginare il migliore, come appresso si narrerà.

Et di tutti quei secreti & esperimenti che abbiamo trovati esser veri con farne di ciascuno tre esperienze, nel modo che si dirà più basso, noi, per comandamento del nostro Principe et Signore, facemmo scelta d’una parte, cioè di quelli che sono più facili da farsi da ciascheduno, di minore spesa & più da esser cari ad ogni sorte di persone generalmente, & così li mando hora in luce a beneficio et dilettatione commune d’ogni bello ingegno che se ne diletti & che stia per avergli cari.

 

Descrittione della casa o lavoratorio chiamato da noi per suo nome proprio la FILOSOFIA

Il Nostro benignissimo Principe fin dal primo giorno fece dono alla nostra compagnia d’uno spatio di terreno ove erano alcune case diverse in uno di migliori luoghi della Città sua, che è non in tutto in piazza & nella strada principale, né ancora molto lontana dalla piazza & dal palazzo di sua Eccellentia.

Tira questo spatio di terreno per lunghezza, cioè, per quella parte che vien secondando la strada ove egli è, cinquanta braccia ordinarie come quelle da panni o tele, che quasi per tutta Italia sono ad un modo o con poca differenza fra loro. Per larghezza poi tira vent’otto, onde viene ad essere di forma più lunga un terzo che larga, & è poi in isola, cioè distaccato & discosto da ogn’altra casa, & per ogni suo lato ha una strada.

Questo spatio, buttandosene in tutto a terra le case vecchie che vi eran prima, fu da noi, con i tre quarti della spesa o denari del nostro Principe, & un quarto de’ nostri, fabricato in questa guisa.

Primieramente si hebbero tutte queste considerationi & intentioni.

La prima, che la fabrica fosse bellissima così di dentro come di fuori quanto più sia stato possibile.

La seconda che fosse comodissima per quattro sorti di genti, cioè per quei che servono di continuo alla Filosofia o lavoratorio, per quei che servono poi a detti serventi & a se stessi nel mangiare & nell’altre cose. Per li compagni che venendovi stiano in luoghi allegri & comodi così di verno come di State. Et per essi compagni o qualche altra persona & in buon numero che per giorni o settimane o mesi volessero abitare in quella casa per trovarsi più continui all’operationi.

La terza che il lavoratorio stesse in parte di detta casa che fosse accomodatissima per ogni suo bisogno, fosse allegra, fosse sana & sopra tutto fosse remota & quieta in modo che né da coloro che passano per le strade, né ancora da quelli che venissero a diporto o spasso nel giardino & nell’altre stanze, Né da alcuni altri potessero esser veduti o uditi quei che lavoravano, se non dai compagni o da quelli soli che essi compagni & il Principe volesser menarvi,

Et qui si dichiara, gentilissimi Lettori, che se ben tal nostra compagnia si chiamava & si teneva Secreta, questo non si faceva però perché Né il nostro prudentissimo Principe né alcun di noi si curasse che ella non fosse parimente pubblica. Anzi l’intentione di sua Eccellenza & nostra era che fra pochi anni ella si manifestasse, & si pubblicasse a ciascheduno come cosa virtuosissima & onoratissima & degna di muovere a nobilissima sua concorrenza ogni vero Signore o Principe nello Stato suo, & ogni bello & sublime ingegno.

Ma noi l’abbiamo voluta così secreta per qualche tempo per alcuni nostri degni rispetti, & ancora perché mentre ella si è venuta riducendo a perfettione potessimo farlo più quietamente, senza essere ad ogni ora disturbati & impediti o inquietati da questo & quello che corresse a voler vederla. Et sopratutto ci parve cosa degna di persone di studij il voler che prima il mondo vedesse & sentisse i frutti delle nostre operationi, che i romori & le promesse stravaganti come molti fanno. Nella nostra compagnia era ordine & giuramento che niuno potesse nominarla né farne motto con alcuna persona se prima non se ne avesse licenza dalla Compagnia, ove però non usavamo ballottationi, che si convengono solamente a Repubbliche o a Principi, ma così a bocca piacevolmente dicendosi da ciascuno il parer suo si conchiudeva quasi sempre conforme all’intentione di chi l’aveva proposta. Et era questo nostro ordine così ben osservato con ogni tranquillità d’animo di ciascuno, che il nostro clementissimo Principe & Signore della casa in tutti quei diece anni non ha voluto menarvi se non tre sole persone, fra le quali furono l’illustrissima Signora sua Consorte & una illustrissima sua sorella. Et l’altro fu un signore francese dottissimo & che sommamente si dilettava di generosamente filosofare. Et a tutti si dava il giuramento, non però sopra nome di Dio né di cose sacre, ma sopra l’amore e la gratia del nostro Principe & sopra la persona che essi più amavano, di non manifestare mai ad alcuno tal nostra compagnia senza haverne prima licenza a bocca o per lettere dal nostro Principe.

I medici tutti della città ne havevano notitia, ma non potevano né essi né altri venirvi mai se non vi erano condotti da alcuni dei nostri, con averne licenza in prima da tutta la compagnia come s’è detto. Et havevano il medesimo giuramento sopra l’amore & la gratia del nostro Principe di non farne motto ad alcuno senza la licenza nostra, come tutti gli altri.

Ora, la detta casa o Filosofia nostra, per aver tutte le sopradette qualità & comodità, fu fabricata in questa maniera. Primieramente dalla parte davanti che era nella strada più larga, & si è detto che tira cinquanta piedi, vi erano tre porte. L’una in mezo più grande di tutte & due dalle teste, minori che quella di mezo ma equali fra loro, & erano fatte tutte con bellissima forma et fattura come è ancor fatta tutta la facciata. Tutte tre queste porte havevano dentro di loro alcuni volti che facevano lo spatio dell’entrata di dentro et erano in altezza venti braccia, in larghezza, cioè da man manca & da man dritta, braccia quindeci, et in lungo, cioè procedendo oltre secondo la faccia di chi entra & camina dritto, è lo spatio di dodici braccia. Et in ciascuna d’esse nel mezo era la scala a lumaca quadra, larga & lustrissima, che conduceva nelle stanze di sopra. A terra piana fra dette porte erano stanze belle & ben fatte per abitatione onoratissima & comodissima la State & anco il verno, le quai stanze hanno finestre serrate sopra la strada & altr incontro a quelle, cioè dall’altra parte loro, che escivano sopra il cortil scoperto che diremo appresso, & ciascuna d’esse haveva l’entrata o l’uscita per una porta in detto cortile o chiostro scoperto, & un’altra porta era nell’anditello o spatio sopradetto che era sotto i volti delle porte della casa. & di queste porte interiori di dette camere a terreno, una serviva a tre stanze, entrando poi quelle d’una in altra per quella via, ma havendo ciascuna l’altra porta sua che esce nel già detto cortil o chiostro. Et il solaro di sopra era tutto corrispondente a quello di sotto in quanto all’haver fenestre da due bande ancor quelle stanze come quelle di sotto.

Ma perché questo disopra avanzava i tre spatij degli anditelli coi volti alle tre porte della casa, era diviso altramente, havendo in mezo una molto gran Sala, & benissimo proportionata, & un’altra sala minore havendo per ciascuna testa, però con camini da fuoco da poter anco servir per camere in ogni tempo. Et dalle bande di queste tre scale & fra l’una & l’altra erano poi camere bellissime, grandi & ottimamente proporzionate d’ogni ornamento & comodità possibile.

Et sopra questo secondo solaro ne era un terzo, tutto corrispondente a esso secondo o di mezo, se non che era alquanto più basso.

Onde questo primo quarto di tal nostra casa, oltre all’esser bellissimo, era poi comodissimo & da potervi abitare a i bisogni Principe con molta gente, & similmente da potersene accomodare in qualche parte alcune persone forestiere che o il Principe o la Compagnia volesse onorarne, essendo però egli persona che si dilettasse di Filosofia et havesse cara la conversatione della nostra Compagnia per qualche giorno. Oltre che l’havevamo fatto perché il nostro Principe havesse cagione di venirvi alcune volte a tenerci tutti ricreati et condurvi tutte quelle persone che a Sua Eccellenza erano in grado, & anco per farvi spesso tutti noi, o la maggior parte, alcune filosofiche recreationi, & perché quando pur la nostra compagnia & Filosofia si manifestasse si vedesse una stanza che da ogni parte dilettasse & si facesse conoscere per degna di persone di non basso ingegno.

Questo già detto adunque era u quarto giusto di tutto lo spatio della nostra Filosofia tirato in lungo, cioè dalle mani destra & sinistra di chi entra dalla facciata principale.

L’altra quarto, giustamente tanto lungo & largo quanto tutto il già detto palazzo primo, era conceduto ad un cortile o chiostro scoperto, ove da una banda erano tre scale benissimo collocate che ancor quindi conducono al detto palazzo, cioè al solaro di mezo, accioché quei che stavano in detto cortile & quei che stavano in detto solaro potessero comodamente salire et scendere a talento loro.

Oltre che quelle porte, onde poi s’entrava dalle scale nelle lor Sale, davano loro gratia et bellezza maggiore.

In questo cortile all’altra facciata del muro che era incontra o dirimpetto a quello del palazzo, erano tre porte, l’una maggiore e l’altre minori, che dirittamente rispondevano alle tre porte che il palazzo haveva nella strada come s’è detto. Ma erano fatte d’altra guisa per variare, & bellissime ancor’esse con haver quel muro facciata bellissima di cornice, di fenestre & d’altri ornamenti, che anco a chi stava nella strada quando le porte del palazzo s’aprono, si potessero vedere. Et fra mezo ad esse porte, di tal seconda facciata nel cortile erano murelli o pozzetti & seggi di pietra bellissimi, sopra i quali erano fatti alcuni orticelli d’erbe gentili, & nella parete a certi luoghi convenevoli erano fenestre a gabbia d’uccelli con altre cose molto vaghe, & in mezzo vi era una maravigliosamente bella tavola di marmo lunga otto braccia & larga tre & mezo.

Et in capo & in piede di detto cortile erano poi due altre tavole ad otto facce, di noce l’una & l’altra d’Ebeno, rimesse dalle bando con Avorio & legni di diversi colori, & queste dai serventi si rimettevano dentro al coperto per non lasciarle guastar dall’acqua & dal Sole, & solamente si mettevano fuori a certi giorni solenni fra noi, o quando vi veniva qualche personaggio che si voglia onorare & dargli dilettatione & spasso, & così vi erano di continuo sedie per ogni qualità di persone. In questo luogo adunque così fatto, radunandoci noi spesso et preponendo diverse cose che si facevano alla giornata, io raccolsi tutti i secreti seguenti & gli anteriori ancora, ch’io publicai pochi anni [or] sono di Donno Alessio Piemontese, li quali nel vero tutti furono raccolti nella predetta Academia, & provati & trovati dalla nostra felice Compagnia. Et perché sono stati più volte provati et riprovati gli ho sempre tenuti cari & stimati grandemente, & massime che vedendo io quanto il mondo sia curioso di queste cose, non ho voluto mai darle fuori se io non ho prima havutane la licenza da quel mio Principe & da quei nostri compagni, li quali ancora vanno operando di continuo cose nuove & maravigliose a pro de’ mortali che si dilettano delle virtù che produce la natura ne’ minerali, nelle erbe & nelle pietre.

Et perché s’altro avvenisse di me in questa mia crudel malattia la quale mi ha tolto le forze & mi tiene continuamente oppresso nel letto, li presenti secreti non vadano a male et si sappia come mi sono pervenuti alle mani, ho voluto raccontar come passa la cosa interamente & senza alcuna fraude, accioché se mai verranno a luce, i lettori stiano di buon animo che non troveranno in questo libro cosa che non sia più vera et sperimentata più volte. Et li secreti sono l’infrascritti.