On Line dal 30/06/2012

La grande paura del sapiente razionalista è di incontrare,
al bivio tra il dubbio ed il sapere, la sola potenza
capace di mettere un termine al suo potere: il «divino»,
che egli non potrebbe né analizzare né controllare
(Isha Schwaller de Lubicz¸ L’ouverture du chemin,
La Table d’émeraude, Paris, 1991, pag 11)


Cessa di parlare di “razionale” e di “irrazionale”: in questo modo
non fai che forgiare le sbarre della tua prigione. Con questo mezzo,
che ti limita ad una dialettica antinomica, tu non puoi nemmeno sapere
se sei o non sei: come vorresti allora giudicare l’Universo?
Tu sei l’Universo come l’universo è nel più piccolo germoglio d’una pianta.
Tu dirai che tra questo germoglio e la sua fioritura in foglia intercorre un tempo,
e che questa foglia cresce, in ogni istante, di una quantità.
Quale tempo e quale quantità?
Compi dunque la tua integrazione con tempi e quantità «infiniti».
La tua logica ti porta all’assurdo, e, comprendilo bene, questo assurdo
è la porta che si apre verso la Verità. Parti da questo “assurdo logico” e fuggi,
al contrario, la scienza che ti ci mena.
(R. A. Schwaller del Lubicz, Verbe nature, Axis Mundi 1988, pag.20)

_______________________________

Prima pubblicazione in Atrium – Centro studi umanistici e tradizionali anno VII n°2 (2005). L’articolo, qui in una versione leggermente corretta, costituisce un semplice e limitato abbozzo di ricerca, massicciamente approfondito ed in larga parte superato dal ns. successivo R. A. Schwaller del Lubicz: la politica l’esoterismo, l’egittologia (Mimesis 2008, 364 pp.), che raccoglie ricerche sull’esoterista alsaziano e sui milieux culturali ed esoterici a lui collegati assai più aggiornate ed attente.


Massimo Marra © – tutti i diritti riservati – riproduzione vietata con qualsiasi mezzo e per qualsiasi scopo.

_______________________________


Dalle finestre del laboratorio paterno in cui il piccolo René si recava per compiere i suoi esperimenti chimici, l’imponenza delle bella cattedrale gotica di Strasburgo si stagliava netta contro il cielo (1). La statuaria ricca e attraente della chiesa doveva incantare la fantasia fervida e l’immaginazione del giovinetto; le forme dovevano apparire misteriose, latrici di messaggi inconfessati e di storie e saperi misteriosi. Isha Shwaller ci parla di un bambino che a sette anni è già catapultato in un mondo metafisico, ricco di interrogativi e gravido di misteri.
Il mistero della forma, quello che il gotico nasconde così bene nella bellezza della sua arte, lo stesso nascosto nella grandiosità dell’architettura egizia, si dipana in una complessità di rimandi che giungono alla nuda ed oscura profondità della materia stessa, al mistero delle trasformazioni palpitanti di vita ed energia della chimica, all’armonia inesplicabile e possente promanante dai colori e delle arti figurative.
E’ questa la soglia del mistero che unisce il bambino Schwaller al filosofo esoterista e metafisico, un mistero che occupa un’intera vita, decenni di studio e meditazione, una vita data in pasto ad una fame d’eterno che si interroga senza cessa sull’enigma della creazione, sul passaggio, inesplicabile per mente dialettica, con cui la materia si fissa, si dà forma, identità, vita individuata, e con cui, al contrario, essa può risalire all’origine, riavvicinarsi al divino. La cosmogonia. All’interfaccia tra nulla e creazione – il passaggio che realizza l’atto della volontà superna, in cui si esprime la ricchezza del verbo – lo sguardo indagatore deve procedere su piani diversi, complessi, paralleli.
Aggirare il mistero alluso, la parola criptata, diviene l’obiettivo di un’indagine che, anzitutto, deve compiersi sul piano degli strumenti mentali, interiori ed emozionali. La mente dialettica, cui la modernità ha dato forse un credito esagerato, deve riconoscere la propria insufficienza, la propria ontologica inanità, arretrare lasciando il posto alla memoria dimenticata, all’intelligenza del cuore; quel discernimento spirituale di cui ogni forma di mistica ad ogni latitudine ed in ogni tempo ha cercato di propiziare il risveglio ed invocare l’ausilio. Questa forma di intelligenza si serve di un linguaggio segreto ed esclusivo del sacro, una lingua degli uccelli che spaccia il pensiero dialettico e che si pasce di segni, suoni, segnali, simboli. L’intelligenza del cuore apre un canale diretto tra il mondo dei segni universali, dei simboli, appunto, e quello dei movimenti occulti, sepolti, del paesaggio interiore. In essa si compone e risolve ciò che la legge d’analogia tradizionale promette: la sincronia e l’armonia dell’alto e del basso, la compenetrazione profonda dell’esterno e dell’interno. Il segno si traduce in guida, di volta in volta, della speculazione, dell’ascesi, del rito. E’ abusato il ricorso al motto del Mutus Liber: Ora, Lege, lege, lege, relege, labora et invenies.
Schwaller indica senza intermissione, addita la sua via all’intelligenza del cuore, irta di asperità ed ostacoli, foriera di delizie e di miracoli, secondo ciò che egli stesso comprende.
Il mistero cosmogonico, adombrato dai simboli, è la strada maestra su cui la realizzazione piena del piano umano può lanciare lo sguardo del miste oltre la cortina dell’individuazione, verso la realtà luminosa del sovrasensibile. L’atto moltiplicativo dell’unità verso il molteplice, del potenziale verso l’individuo, dell’invisibile verso il visibile, è un sentiero percorribile immaginalmente, la strada dell’iniziazione.
Schwaller insegna che su questa strada non vi è alcuna volontà di mistero, alcuna ebete celebrazione di segretezza; alcun autocompiacente affermazione di gerarchia intellettuale: ciò che è celato è ciò che non abbiamo occhi per vedere, ciò che si nasconde obbedisce all’assioma eracliteo: la natura ama nascondersi.
Come già per i pitagorici, per Filone d’Alessandria e per una ininterrotta catena di sapienti, le strutture profonde della realtà – a partire dalla loro essenza più riposta, i numeri – possono rivelare la possibilità di una risalita dell’umano verso il mondo delle cause, di una reintegrazione del limitato ed individuato nell’universale. René Schwaller ha esplorato i simboli di questa risalita, di questo viaggio misterioso attraverso la tradizione ermetica così come essa si presentava, in piena rinascita occultistica, ai suoi giorni, fino a risalire, con un lavoro decennale, a rintracciarne i principi nell’architettura e nella simbolica egiziana.
Complessa è la filosofia che esce, potente, dagli scritti di René Schwaller. L’alsaziano svetta sulla intera vicenda occultista del XX secolo, irraggiungibile ed irriducibile, presenza discreta – i suoi scritti non sono tutti di facile approccio – ma fondamentale.
Di volta in volta analitico o lirico, filosofo, egittologo, esoterista, impegnato nella battaglia culturale e politica o ripiegato nella pura speculazione metafisica, al pari di altre grandi figure novecentesche, Renè Schwaller non si lascia decrittare con facilità, non si lascia ingabbiare in rassicuranti griglie ermeneutiche.
La Francia entro cui si forma il suo percorso è quella, vivida e multiforme, dei primi decenni del secolo. Già da qualche tempo si delinea, nella ripresa reviviscenza degli studia ermetici, magici e mistici all’interno dell’élite intellettuale, la reazione all’aridità con cui la grande nazione patria del cartesianesimo, dell’illuminismo voltairiano e del positivismo comtiano, si provava a rispondere all’incoercibile fame di sacro della finalmente trionfante borghesia moderna. Di questa ricerca affannosa, indubbiamente, l’arte porta il segno più evidente. Il decadentismo aveva aperto la porta sull’abisso nascosto dell’interiorità, riportando in auge dèi dimenticati, potenze latenti. Il simbolismo ne aveva recuperato i linguaggi, aveva rispolverato il mondo di segni ed incantesimi dei magi, le invocazioni sacerdotali. Il fallimento del positivismo lasciava intatto, allo sguardo attonito e stupito della moderna borghesia mercantile, la foresta nera e misteriosa dell’interiorità, con le sue ombre impenetrabili, le sue sagome oscure, l’inquieto mistero dei suoi suoni e delle sue voci.
La luce accecante della ragione si era rivelata menzogna, i suoi vati abili imbonitori, la natura aveva rivelato, per sprazzi rari ed improvvisi di luce, il reticolo tenace ed invisibile che univa il tormento della anime ai cieli stellati ed alle danze della terra. Il romanticismo aveva già da qualche decennio preparato il terreno. Baudelaire l’aveva già segnalato alle anime in grado di ascoltarlo:

La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles ;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiers.

Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.

Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants,
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies,
– Et d’autres, corrompus, riches et triomphants,

Ayant l’expansion des choses infinies,
Comme l’ambre, le musc, le benjoin et l’encens,
Qui chantent les transports de l’esprit et des sens (2).

Le tele di Gustave Moreau avevano ridato immagine a quelle foreste di simboli. Alla sua scuola, Henri Matisse studia, elaborando il suo impressionismo, alla ricerca di una nuova definizione dell’apparenza. La società teosofica propugna da più di un ventennio con successo il suo sincretismo eclettico; i maghi parigini, allievi di Stanislas de Guaita e Saint Yves D’Alveydre fondavano società ermetiche in cui si ristudiavano la cabala e l’alchimia; lo spirito, in un modo forse disordinato ma non per questo meno fecondo, è l’orizzonte del nuovo e necessario viaggio intellettuale della Francia del nuovo secolo a venire. E’ il periodo d’oro del simbolismo, di riviste come La plume; il Sar Péladan stupisce con i suoi atteggiamenti esotici, disegnando nei suoi romanzi e nel suo teatro complesse figure di magi e di fate. I maghi alla Papus ed alla Jollivet-Castellot, invece, meno audaci degli artisti, si preoccupano di far propaganda di ermetismo senza urtare la suscettibilità della recente cultura positivista: la magia come scienza, si, ma di un’invisibile ponderabile, positivo, per troppo tempo appannaggio esclusivo di religione e superstizione.
E’ questa l’eredità e il programma che i primi decenni del nuovo secolo recano impressi in sé.

Alla scuola parigina di Matisse approda, intorno al 1910, il giovane René Adolphe Schwaller.

Non è originario della capitale (3). Era nato il 30 dicembre del 1887, probabilmente a Strasburgo, figlio d’uno svizzero di lingua tedesca, Joseph Schwaller, farmacista, e della francese Marie Bernard. Aveva vissuto per tutta l’infanzia e l’adolescenza in Alsazia. L’Alsazia era allora sotto l’occupazione tedesca, e René, come molti giovani della regione, a diciassette anni, marciando di notte e dormendo fra i rami di giorno, oltrepassa la frontiera. Non reca con sé grandi cifre di denaro né documenti: se fosse stato fermato dalle guardie di frontiera la sua sarebbe dovuta passare per una innocua passeggiata notturna nella foresta.

Giunge così presso la sua zia materna ad Asnières, dove ottiene nuovi documenti e comincia studi di chimica. Questa sarà poi la professione ufficiale che figurerà sui suoi documenti ufficiali: ingegnere chimico. Nel frattempo, assecondando una già antica passione, egli studia pittura. E’ il periodo in cui studia con Matisse. Nell’atelier del pittore egli incontra la donna che diverrà la sua prima moglie, Marie Marthe Essig, dalla quale avrà, in seguito, un figlio. René ha poco più di vent’anni e vive la Parigi culturale del suo tempo. E’ il periodo delle jazz band, e, nel contempo del primo cinema d’avanguardia, dei circoli e dei caffè letterari, dei cabaret. Schwaller frequenta la Librairie de L’art indépendant, dove era possibile incontrare Debussy, il rose-croix Satie ed altri personaggi di spicco della cultura parigina. Alla Closerie des Lilas – una celebre birreria di Montparnasse, luogo d’incontro di artisti ed intellettuali – egli incontra, probabilmente in questo periodo, il giovane Jean-Julien Champagne, che tanta parte avrà nell’affaire Fulcanelli (4). A partire dal 1913, Schwaller milita nella Società Teosofica; militanza che proseguirà ufficialmente per tre anni, fino al 1916. Non è necessario sottolineare come la Società Teosofica fosse il luogo elettivo all’interno del quale si intrecciavano i contatti tra diverse correnti esoteriche e le iniziazioni più differenti. Geneviève Dubois, recentemente, ricorda giustamente le diverse affiliazioni che gli stessi fondatori della società teosofica avevano, nel corso degli anni, collezionato (5).

In piena maturità, Schwaller manifesterà la propria gratitudine verso la teosofia, attribuendogli la sua formazione nel campo delle filosofie orientali. Nel 1915 (ha 28 anni) egli pubblica, per i tipi de L’Art indépendant, il suo primo saggio l’Etude sur les nombres. Nel frattempo Le théosophe diretta da Gaston Revel, annuncia e pubblica una serie di articoli di Schwaller (16 in tutto, pubblicati lungo tutto il periodo in cui René aderisce alla Società Teosofica). La tematica principale di questi articoli è la determinazione di un punto di vista teosofico sulla scienza, punto di vista che oscilla tra l’ammirazione per la scienza contemporanea, che sembra aprire all’uomo la strada verso un avvenire lontano dal materialismo positivista, e la considerazione dell’evidente fraudolenza di una scienza che si atteggia a regina del mondo, reggitrice delle sorti umane, che avviluppa le coscienze e le domina a guisa di nuova religione. Si delinea già la necessità, per Schwaller, di un mutamento della coscienza umana, un oltrepassamento dei limiti del cerebrale, il desiderio del risveglio di una coscienza innata che dominerà la sua attività futura.

Il saggio sui numeri esce in piena guerra.

I giovani alsaziani non vengono mandati al fronte, poiché, se venissero catturati, essi non sarebbero trattati da soldati francesi, ma piuttosto da traditori tedeschi, e quindi fucilati. René viene mobilitato presso un laboratorio dell’esercito francese ad eseguire analisi chimiche sulle derrate destinate ai soldati al fronte. La guerra trascorre, e, nel frattempo, gli articoli di Le Theosophe ed il saggio sui numeri cominciano a far circolare il nome e le idee di Schwaller negli ambienti parigini.

Terminata la guerra, René inizia a lavorare con Louis Alanguillame, suo amico, proprietario di un’impresa di import-export di carbone. A quanto pare, egli contribuisce ad una forte espansione degli affari dell’impresa, e l’Alanguillame – che sarà in futuro il principale finanziatore di alcune delle iniziative di Schwaller – sarà probabilmente il tramite che lo porrà in contatto con Marie Charlotte Jeanne Germain, che in seguito sarà conosciuta come Isha, già coniugata col ricco armatore di Caen, Georges Lamy, con il quale aveva messo alla luce quattro figli, e, stando ad alcune testimonianze, per un periodo compagna dello stesso Alanguillame. Alanguillame chiede a Schwaller di trovare una casa in montagna per curare Isha da un principio di tubercolosi, ed è così che René acquista a Saint-Moritz la casa che sarà, come vedremo, la futura sede di importanti iniziative. La profonda amicizia con Alanguillame e la sua famiglia durerà per tutta la vita, al punto che, quando Louis morirà nel 1946, la sua seconda moglie, sposata nel 1924, Madeleine Jolly, andrà a vivere a casa Schwaller.

E’ questo un periodo cruciale per René. Ormai egli diviene il riferimento di un piccolo gruppo di cercatori, ed i tempi sono maturi per formare un gruppo, per attuare un programma collettivo. Nasce così l’esperienza del Centre Apostolique, un’esperienza, come vedremo, tutt’altro che secondaria, che non mancherà di catalizzare nelle sue varie espressioni l’attenzione della cultura francese (6). Il nucleo principale, indubbiamente, doveva provenire dalla medesima esperienza teosofica di Schwaller. Tale era ad esempio il caso di Gaston Revel, direttore di Le Theosophe, testata che diverrà poi organo dell’iniziativa col nuovo titolo di L’Affranchi. Vi erano poi il giornalista e scrittore Carlos Larronde, l’esoterista e studioso di astrologia Gabriel Trarieux d’Egmont, Louis Alanguillame, principale finanziatore del gruppo, e René Bruyez, genio multiforme che fu pittore, scultore, poeta, giornalista, scrittore, e che assunse la carica di presidente del gruppo. Ma vi compaiono anche l’armatore Georges Lamy, il pittore Elmiro Celli con sua moglie Rose, lo scrittore Nicolas Beauduin e vari altri intellettuali. Sopra tutti, una figura importante nella storia di René Schwaller, è il poeta e metafisico lituano – naturalizzato francese – Oscar Vladislas De Lubicz Milosz (7), che Schwaller incontra probabilmente poco dopo la pubblicazione del saggio sui numeri, al tempo in cui egli inizia a guidare il manipolo di ricercatori che si incontravano alla sala Adyar della società Teosofica (8). L’amicizia tra Milosz e Schwaller sarà profonda e duratura, ed avrà l’epilogo in una rottura, o in un progressivo allontanamento, che si consumerà intorno al 1924. Milosz diviene immediatamente figura chiave del Centre Apostolique, insieme ad un’altra figura, rimasta molto più in ombra e per lungo tempo dimenticata, l’ingegnere ed alchimista Henri Coton (9), che assumerà la vicepresidenza del Centre Apostolique e ne costituirà in un certo qual modo, insieme a Schwaller e Milosz, l’anima esoterica.

L’associazione si configura, in effetti, specie all’inizio, come un prolungamento della Società Teosofica. Milosz e Larronde considerano, nelle testimonianze lasciateci da Nicolas Beauduin (10), la nuova iniziativa una continuazione naturale della Società teosofica, e l’opinione dovette essere largamente condivisa se anche René Guénon, anni dopo, considera l’attività del Centre apostolique come emanazione diretta della Società teosofica, nonostante che sull’Affranchi mai fosse riportato «neanche il termine “teosofia”» (11).

L’Affranchi nel 1918.


E’ un progetto globale, quello che viene presentato al pubblico in una conferenza il 23 febbraio 1919; un tentativo di riforma della politica, della cultura, delle arti, dell’artigianato. La società, in obbedienza alle leggi evolutive universali (12) deve uniformarsi alle tre direttive di Gerarchia, Fraternità e Libertà, che gli adepti del Centre riuniscono in un’unica divisa.


E’ superfluo notare che il triangolo massonico, in questo caso, si vede portatore di una variante rilevante del motto della rivoluzione francese. L’eguaglianza è sostituita dai valori gerarchici. Ma la gerarchia rievocata non ha nulla di puramente umano, di coercitivo, essa è di natura spirituale. La diseguaglianza si misura in un’aristocrazia dell’anima, in una gerarchia che si determina su di un piano di perfezione individuale e di armonia con l’universale. Un gerarchia che, anzitutto, si misura per mezzo delle opere, attraverso una valutazione essenzialmente meritocratica, e non certo di censo o potere.

“ … La società che prende il nome di Centro Apostolico ha per oggetto:
– il creare un centro di unione universale basato sul principio della fraternità e del mutuo aiuto;
– l’estendere alla società umana il principio di gerarchia naturale, ovvero il principio di selezione secondo qualità;
– aiutare l’evoluzione affermando la sua legge, e precisando la sua direzione attuale;
– affermare l’identità dello Spirito e della sua manifestazione materiale;
– preparare le coscienze alla prossima manifestazione del principio della Nuova Vita” (13)

La società si dichiarava contro ogni forma di produzione seriale ed industriale; si voleva favorire la ricerca della perfezione nel lavoro umano. La ricerca della pace assoluta, contro ogni forma di imperialismo e di guerra, era un punto fermo, così come la lotta senza quartiere all’inerzia materialista della società tecnologica, all’utilitarismo economicista. In campo educativo, si volevano propiziare modelli nuovi, che si avvicinassero ad una formazione globale dell’individuo, e che non si rivolgessero solo alla sfera mentale, ma anche agli aspetti sottili, evidentemente propiziando, per quanto possibile, quell’intelligenza del cuore che rimarrà poi centrale nell’opera di Schwaller.
L’articolo XII dello statuto divide la società in quattro sezioni, a seconda del campo d’azione proprio ai suoi adepti: la prima riguarda i lavoratori della materia bruta, la seconda gli artigiani e i trasformatori della materia, la terza i lavoratori dell’organizzazione sociale, la quarta gli intellettuali ed artisti.

Gli statuti ed i discorsi inaugurali del Centre Apostolique.


Nell’ambito di tale programma a L’Affranchi si affiancano altri effimeri progetti di pubblicazioni: Le Drapeau Bleu, cui è affidata la voce più specificamente politica del gruppo (l’unica delle testate, insieme a L’Affranchi, ad uscire con una certa continuità), L’art e Le travail, cui si aggiunge dopo poco anche la Revue Baltique, che si consacra alla questione baltica, vista come elemento fondante per l’affermazione rapida della pace mondiale. La rivista, naturalmente, vede in Milosz l’animatore principale, ma l’organizzazione fu affidata in gran parte – come, del resto, per L’Art – a René Schwaller.

Si crea una corporazione degli artisti, con l’intento di ridefinire il ruolo dell’artista nella società, per creare un punto di collegamento, per difendere gli interessi degli artisti e favorire il libero dispiegamento delle energie creative, per affermare il diritto d’autore. Nel 1918, l’associazione salva dalla demolizione la casa di Balzac, che era stata, nelle mani del suo conservatore de Royaumont, un centro culturale aperto ed attivo. Alla morte del conservatore, tuttavia, la destinazione ed il futuro dell’immobile sembrano incerti. Il Centre Apostolique interviene affittandolo per farne «un centro di rinascita intellettuale ed artistica» consacrato alla memoria del grande scrittore de La recherche de l’absolu e di Papà Goriot.

Il Centre Apostolique, sembra acquisire subito una certa rinomanza, gli affiliati crescono e l’associazione si dota di templi, laboratori, scuole, strutture. Una grande energia anima i promotori del Centre Apostolique, il cui programma si svolge, fin dall’inizio, su tre piani distinti ma armonici: quello culturale e artistico, quello politico, quello esoterico.
Nel 1919 L’Affranchi cessa bruscamente le pubblicazioni, in vista di una trasformazione del gruppo. Non si conoscono bene i motivi di tale trasformazione. Fatto sta che l’associazione cambia nome: da oggi saranno i Veilleurs a continuare nel programma di rifondazione del sacro e della società, con rinnovato vigore.

Dal punto di vista esoterico, i Veilleurs hanno, da subito, un circolo più interno, di evidente impostazione puramente esoterica. Sono i Frères de l’Ordre Mystique de la résurrection, o Frères d’Élie. Essi sono in numero di dodici, e si danno dei nomi iniziatici che alcuni conserveranno ben oltre la fine dell’esperienza del Centre Apostolique. In questo circolo interno abbiamo: O. W. Milosz (con il nome iniziatico di Pierre d’Élie), Gaston Revel (con il nome inziatico di Paul d’Élie), René Schwaller (con il nome d’Aor), Carlos Larronde (Jacques d’Élie), René Bruyez, Elmiro Celli, Henri Coton (Alvart), Luis de La Rocha, Fourcine (futuro suocero di C. Larronde), Louis Allainguillaume, le Carpentier (notaio, già appartenente, a quanto pare, al gruppo che seguiva Schwaller nella sala Adyar della Società Teosofica), André Chancerel o Marcel Cauwell (che probabilmente si successero). All’atto dell’iniziazione gli adepti ricevevano un anello simbolico (pare lo disegnasse Schwaller). L’insieme fa pensare ad un tentativo di rifondazione degli ordini cavallereschi medievali. Essi si servono di un alfabeto segreto, iniziatico, preso dai caratteri di Onorio da Tebe che descrive Agrippa nel De Occulta Philosophia. Troppo complicata da tracciare, comunque, la scrittura iniziatica non ebbe un uso lungo, tra i Veilleurs. La veste rituale era di colore diverso a seconda del segno astrologico di chi doveva portarla, e questa veste adornata da una ampia cappa, non doveva mancare di suscitare la curiosità dei francesi del tempo.

Vediamo, ancora, le notizie che la Charbonnier ci espone al riguardo sia dell’attività pubblica dei Veilleurs che di quella, di stampo rituale, dei Frères d’Élie:

«Viene fondato un istituto di elettroterapia. Vi si curano le deviazioni e le debolezze dei bambini attraverso la sintesi di vibrazioni: elettricità, massaggi, luce solare, cromoterapia etc.. Parallelamente, funziona la scuola di euritmia diretta da Madeleine Lefèvre e dal dottor Thiers. Queste opere mediche e di educazione sono poste sotto l’egida di Madame Lamy.
Gruppi simili si formano a Bordeaux, Marsiglia, Lione….
Diverse cappelle sono aperte al pubblico, sia a Parigi e dintorni, sia in provincia. L’associazione, fin dall’inizio, si raccoglie intorno a cerimonie sempre sontuose, di cui non conosciamo il rituale. Ciò nonostante, un pamphlet di René-Louis Doyon ne dà una sommaria ed ironica descrizione. N. Beauduin, in quanto spettatore diretto, sembra più serio nel suo approccio: Egli descrive i dodici fratelli d’Elia in veste bianca e coronati d’oro. Milosz in veste di pontefice con una spada in mano (quella da Rosa-Croce?). Durante le preghiere si passa per l’assemblea una coppa contenente una fiamma….Tutto ciò sembra nascere da un desiderio profondo di vivere una liturgia efficace, in accordo col culto del fuoco praticato nei tempi antichi in Lituania.
Ma a villa Hiéra (pensiamo a Hiéron, il tempio) a Saint-Remy-de- Chevreuse, domicilio di René Schwaller, si organizzano altre “esperienze”. Questi riuniva infatti i ferventi della sua cerchia avidi d’occulto. Si opta per una ricerca spirituale alla maniera di Martinez de Pasqually, avente per fine di gettare un ponte tra il mondo angelico ed il nostro che è decaduto…» (14).

Le linee direttrici dei Veilleurs sono tracciate da René Schwaller in un opuscolo ad uso interno, dal titolo Necessité e firmato Ahor Mahmut Ahliah (15). La Necessità è la legge universale che l’universo impone per il compimento ciclico dell’umanità e della storia. Questa legge, che si sostanzia in nomi diversi, nel bene e nel male, è precisamente ciò che la società moderna cerca di eludere, precludendosi la via della verità. L’utilitarismo, base della vita sociale contemporanea, riduce ogni atto umano alla menzogna. La legge cosmica della verità, in questo momento, ha il nome di Resurrezione «ovvero discesa vivente dell’Eterno nel relativo, del corpo nello Spirito». L’Ordine di Elia esiste in modo necessitante, è al di là della ragione, poiché incarna «il principio stesso di resurrezione, che lega l’Essere reale ad ogni uomo, alla Realtà dove tutti si congiungono». I Fratelli d’Elia «si faranno conoscere attraverso le loro opere, che essi chiameranno “di resurrezione”».

Il ruolo di Gran Maestro, probabilmente, in questo periodo, appartiene a Milosz, ma un ruolo centrale, sicuramente, doveva essere affidato anche a Schwaller e a Coton. Se abbiamo notizia della presenza di Milosz nel circolo interno, sappiamo che in questo periodo la sua attività nei Veilleurs è assai ridotta, a causa degli impegni diplomatici.

L’esoterismo dei Veilleurs è di stampo cabalistico – specie per Milosz – ed alchemico. L’alchimia professata dai Frères è sia puramente spirituale (la “divina alchimia”, dirà Milosz), sia analogicamente legata ad operazioni di laboratorio, pratiche (è il caso di Coton, Schwaller, Celli, che avevano attrezzato nelle rispettive residenze altrettanti laboratori). Nei circoli esterni dei Veilleurs, si aggira, probabilmente, il pittore ed alchimista Jean-Julien Champagne.
Sul piano politico, una vulgata, affermata principalmente in una recente opera uscita in America (16), avvicina le idee dei Veilleurs ad una sorta di proto-fascismo. In realtà, come notano all’unisono sia la Charbonnier che Erik Sablé, dagli scritti sociologici e politici apparsi sulle pubblicazioni del Centre Apostolique, e come si desume dall’organizzazione e dalle iniziative promosse, l’intera iniziativa sembra piuttosto ispirata ad un socialismo utopico alla Fourier, in cui la base è un’ideale armonico tra natura e società. La Legge d’attrazione di Fourier, che regola le basi del suo progetto utopico, è figlia dell’attrazione universale di Newton – la grande scoperta del XVIII secolo – così come l’evoluzione cosmica del Centre e dei Veilleurs è figlia dell’evoluzionismo darwiniano del XIX secolo.

Comunque sia, l’esperienza dei Veilleurs non dura a lungo, e già alla fine del 1921 il sodalizio appare disgregarsi. Che la ragione di fondo sia l’intolleranza sostanziale degli aderenti verso un piano tanto ardito e complesso e verso i sacrifici personali che la sua attuazione richiedeva, o piuttosto un venir meno del sostegno della Società Teosofica (un sostegno della cui natura ed entità, però, non siamo sicuri) (17) con la quale già da tempo si stava probabilmente consumando una frattura, o che siano piuttosto altre ragioni al momento non decifrabili (18), poco importa. Sta di fatto che i Veilleurs, intorno al 1920, di comune accordo, cedono la casa di Balzac ad uno di loro che ne assume l’onere (André Chancerel), abbandonano le varie attività culturali e chiudono tutte le testate, cessando ogni pubblicazione. Solo le cappelle rimarranno attive ancora per qualche tempo.

Ma l’esperienza, in realtà, non si conclude del tutto. Un manipolo di Veilleurs, nel 1923, si installa a Saint-Moritz, nella casa che Schwaller aveva comprato anni addietro per conto di Alainguillaume, fondando Suhalia (terra d’Elia), un circolo ristretto dedicato alla ricerca spirituale ed alla riscoperta del senso sacro dell’artigianato. Sono due delle parti fondanti del programma dei Veilleurs, che, in qualche modo, fa ancora da sfondo all’iniziativa. Una dependance di Suhalia viene installata nel castello abbandonato di Théoule, dove il maestro vetraio Burghstal installa un laboratorio in cui riscopre antichi procedimenti alchemici. I protagonisti principali della nuova esperienza, sono, a parte qualche nuovo arrivato, tutti vecchie conoscenze: Isha Lamy, Carlos Larronde e sua moglie, Elmiro e Rose Celli, la famiglia Fourcine.

I rimanenti Fratelli d’Elia, rimasti a Parigi o nelle loro residenze, poco a poco si disperdono, malgrado il fatto che madame Lamy firmi in questo periodo i propri scritti come Jeanne le Veilleur F. O. E. (Frère de l’Ordre d’Élie). Si mantengono solo legami personali, vecchie amicizie, come ad esempio quella che lega Milosz a René Bruyez, o Milosz e Schwaller.

Quest’ultimo legame, tuttavia, intorno al 1924, sembra incrinarsi. Milosz, ci risulta dalla sua corrispondenza, era rimasto in rapporti di viva amicizia con Schwaller (19), e gli scrive per pregarlo di accoglierlo per un periodo di vacanza nelle sedi di Suhalia e Théoule. Nulla sappiamo degli incontri o di eventuali corrispondenze che possano indicarci la vera radice della separazione. Appare probabile che la pubblicazione di Ars Magna (1924) da parte del poeta lituano, possa aver fornito a Schwaller gli elementi per un allontanamento dal suo amico. Ars Magna (20) sintetizza in chiave lirica l’esperienza illuminativa di Milosz, permeata di motivi gnostici, esoterici ed ermetici. Il libro non riscuote l’approvazione di Schwaller, che ritiene la prova immatura. Milosz, che egli, da un punto di vista ermetico, considera suo allievo, lo delude. In una lettera risalente al 1960, indirizzata ad un americano impegnato in una tesi su Milosz, egli scrive:

«Certo, sono io che ho rivelato a Milosz il senso profondo che bisogna attribuire alla scienza ermetica, il che ha radicalmente cambiato il suo modo di vedere il mondo, e Dio sa che io avevo ancora molto, molto da apprendere. Ma il poeta non ha mai timore di esaltarsi ed è venuta fuori Ars Magna che non mi è mai piaciuta. Ma O. W- de L-M. era come un cavallo focoso, impossibile a trattenersi una volta risvegliato dal suo avvolgente sogno olimpico. Se posso permettermi un consiglio, non fatevi mai sedurre dagli scritti moderni sedicenti alchemici. Essi non possono che ingannarvi. E’ un problema assai grave… » (21).

Difficile entrare nel merito di un eventuale giudizio negativo di Schwaller sull’opera di Milosz, difficile immaginare i tempi, le fasi e le modalità con cui la divergenza e la distanza andò demarcandosi ed amplificandosi. Sena entrare nello specifico di una analisi approfondita dell’opera di Milosz (22), ci limiteremo, per forza di cose, a fare qualche semplice ipotesi. La rivelazione di Milosz ha il carattere subitaneo della illuminazione mistica. Il linguaggio è sostenuto da un accento estatico, un’attitudine messianica percorre l’intera struttura dell’opera. Milosz, nella Epître a Storge che apre Ars Magna, presenta la sua esperienza illuminativa nei termini di una manifestazione subitanea e inaspettata, al termine della quotidiana esperienza di preghiera e di meditazione di un versetto biblico. Il linguaggio è denso di simbolismi gnostici dal colorito onirico, una ricchezza debordante di riferimenti che non manca di sorprendere il lettore avvezzo al linguaggio sacro. E’ una visione.

L’ascesa della montagna, il sole-uovo, la nube (23), sono tutti elementi cari ad un immaginario simbolico e mistico che apparenta – tra le altre cose – la visione del poeta lituano all’immaginario swedemborghiano (24).
Nel 1925, mentre si concretizza l’esperienza di Suhalia, esce L’Appel du Feu (1927, Éditions Montalia, St. Moritz) di René Schwaller. Nell’opera anche Schwaller si delinea quale illuminato. Seguiamo ancora quanto sottolinea la Charbonnier.

«Tutti e due sono stati illuminati. Aor racconta nella sua opera che anche lui è stato gratificato di una conoscenza angelica a condizione di trasmettere ciò che avrebbe appreso. R. Schwaller analizza due temperamenti differenti che scoprono le medesime realtà. Ma allorquando si tratta di cogliere un fiore, ciascuno vuole averlo per sé.

“Me, te: due mondi; due universi che non possono incontrarsi, non possono unirsi, saranno eternamente lontani l’uno dall’altro”.

Il capitolo intitolato la première nuit, esprime la posizione di R. Schwaller in rapporto al linguaggio, ricerca esistenziale per Milosz: ecco ciò che dice l’autore:

“io non sono poeta, ma parlo dalla fonte della vera poesia. Cerca in questo spirito e comprenderai l’origine di questa incredibile realtà: – che la natura unisce i poli del mondo e che all’origine del linguaggio sacro vi è l’espressione vivente, crescente, trasmutante di ogni cosa della natura, mentre il tuo linguaggio, fatto di parole, non è che un miserabile balbettio di bimbo rachitico – (pag. 24)

René Schwaller accusa il suo interlocutore di acquisire un «sapere» a detrimento della coscienza, di accumulare conoscenze nella propria memoria. Poi arriva la sentenza:

“Il simbolo è un libro per colui che cerca in sé la verità, un libro che parla al cervello, mentre la verità meditata dai saggi parla a ciascuna fibra del tuo essere e a ciascuna cellula del proprio sistema nervoso, e ciò, mediante il linguaggio di ogni cosa” (pag. 28).

E’ evidente che qui Schwaller se la prende con la funzione stessa del poeta. Si può applicare questo testo al conflitto che ha separato i due amici? Sicuramente… » (25).

A conferma di quanto intuisce la Charbonnier ci sembra utile riferimento un altro dei testi di Aor usciti in questo stesso periodo, La Doctrine (26), che viene pubblicato nel 1927, e che raccoglie tre conferenze fatte a Suhalia nel Natale del 1926. Nell’introduzione Schwaller descrive sinteticamente il cammino dell’illuminazione. Esso si dipana in un processo che, per presupposti e carattere, ci sembra profondamente differente dall’illuminazione visionaria ed estatica del poeta lituano. In essa ci sembra piuttosto di scorgere un’attitudine gnostica alla consapevolezza di un percorso cosciente, graduale, un’idea di umiltà del miste nel rifiutare i frutti troppo facili e sospetti di una scorciatoia visionaria. Vediamo cosa dice Aor parlando della Rivelazione:

«Spesso avete usato questa parola senza conoscerne veramente la portata. La rivelazione non è una ispirazione, un abbagliamento improvviso. Essa costituisce un vero parto. Come per la madre, il termine naturale indica il momento in cui l’evento deve prodursi, ed esso si produce in seguito con tutto il dolore di uno sforzo preteso dalla necessità, ma che, per inerzia, è rifiutato dal corpo, così si compie la venuta al mondo, vale a dire la luce della «rivelazione».
La rivelazione la si sente venire, si sa che il tempo è venuto in cui un oscuro ma potente desiderio si va realizzando, e la si sente venire attraverso gli incredibili ostacoli che la vita, che tutte le forze occulte sanno allora mettere sul cammino.
….
Allora, vengono i dolori, cioè le ore della rinuncia, della frammentazione dell’Io, di abnegazione di tutte le sue voglie, l’offerta stessa della propria vita per raggiungere l’istante in cui nasce questo frutto spirituale.
…..
E’ la rivelazione? Non ancora. Ora, bisogna nutrire il bambino, apprendere a conoscerlo, studiarlo sotto tutti gli aspetti, vedere dove e come egli è malato. Si è tanto imperfetti per mettere al mondo lo spirito che il prodotto rischia di essere assai gracile. Si è tanto voluto qualcosa, ci si è tanto rivoltati contro l’ordine spirituale, si è tanto desiderato essere se stessi, che la rivelazione ha molte possibilità di portare, nella propria costituzione, delle debolezze fisiologiche. Dunque bisogna in questa fase cominciare un autentico lavoro che è una vera e propria maternità. Ecco, amici miei, cos’è una rivelazione; non credete sia altro…. » (27).

Ci sembra, questo passo, abbastanza chiaro nel merito di quella immaturità spirituale che Aor attribuiva all’ermetismo del Milosz di Ars Magna nel citato frammento di lettera del 1960.
Suhalia, comunque, andò avanti. Si è spesso paragonato l’esperimento di Suhalia a quello del Goetheanum di Steiner, che era, a quel tempo, già in funzione da vari anni. Anche l’euritmia, di cui si occupano i Veilleurs e che interessa Isha, è forse traccia di una qualche influenza steineriana. Purtuttavia, se differenze vi furono tra le due figure di iniziato, queste fanno riferimento soprattutto agli insegnamenti esoterici, in Schwaller decisamente più ancorati ad una matrice più puramente ermetico-alchemica.
Si è pure costantemente ribattuto su una presunta matrice neopagana di Schwaller. Il concetto di neopaganesimo, è in verità entità assai confusa e poco convincente, che si dipana in un ventaglio eterogeneo di idee e personaggi che vanno dal matematico e pitagorico Reghini fino alla personalità complessa di un Crowley, passando per una miriade di filiazioni para massoniche e occultistiche che, a loro volta, vanno da un esoterismo di stampo ermetico-egizio fino alla più pura magia sexualis, alla wicca ed ai movimenti stregonici. Tale concetto di problematica definizione è stato spesse volte abusato ed utilizzato più o meno a sproposito, definendo come neopagana ogni singola attitudine gnostica e sincretistica abbia fatto la sua comparsa all’interno dello spiritualismo contemporaneo. I limiti di una tale definizione larga e onnicomprensiva sono ben comprensibili a tutti, dal momento che si rischia di confondere in un unico sterminato raccoglitore ideologico vocazioni e specificità spesso assai differenti. Partendo dal presupposto che l’intero movimento gnostico-occultista a cavallo tra ‘800 e ‘900 presenta traccia evidente di cripto-cristianesimo, seppur di matrice più o meno gnostica e non ortodossa, non riteniamo che un presunto neo-paganesimo sia carattere rilevante – e tanto meno preponderante – nell’opera di Schwaller. A questo proposito, concordiamo, in linea di massima, con l’analisi di Sablé, di cui riportiamo alcuni passi in questo senso illuminanti:

«Per René Schwaller, il Cristo è al centro, al cuore. Il Cristo, o piuttosto il principio cristico, è analogicamente simile all’oro che gli antichi alchimisti consideravano come compimento del regno minerale (Propos, pag. 53). “Esso è la perfezione naturale dell’intenzione originaria e diviene così la pietra di fondamento per il ritorno alla sorgente” (Propos, pag. 53). Esso rappresenta dunque l’insegnamento più alto. Aor considera la storia stessa dell’Egitto come una gestazione, una successione di nove fasi, che danno nascita all’Horus-Cristo solare.
Infatti Aor distingue due vie di liberazione o di “resurrezione nell’unità dell’origine”. Una via indiretta osiridea che richiede numerose incarnazioni (Ousir o Osiris significa il rinnovamento della natura come dell’individuo) ed una via diretta, horusiana o Cristica, in cui tutte le esperienze sono acquisite in una volta ed in cui l’essere salta al di là della dualità della natura, per “entrare nell’Uomo cosmico, l’Uomo dei quattro orienti, al fine di resuscitare intangibile” (Le Roi, p. 277)…».

Sablé continua estrapolando, tuttavia, da Adam l’Homme Rouge (Librarie H Le Soudier, Paris, éditions Montalia St Moritz, s.d. ma 1926) – un testo che venne rapidamente ritirato dalla circolazione dallo stesso Schwaller – i lineamenti di una critica schwalleriana alla Chiesa, divenuta, nel corso dei secoli, ricettacolo di superstizione e deviazioni di diversa natura, che la rendono ormai impotente a trasmettere il senso mistico ed esoterico del principio cristico.
Adam, l’homme rouge, è effettivamente l’opera che più viene citata a riprova del filo-paganesimo di Schwaller. Essa può offrirci interessanti spunti intorno al rapporto di Schwaller col cristianesimo.

“I motivi dell’attitudine o impulso che influenza l’intimità degli umani, si trovano nella posizione spirituale di questi esseri innanzi alla vita. Spesso, questa posizione spirituale non è che il risultato di una forma religiosa dominante, imposta. Ma se vogliamo essere giusti, dobbiamo riconoscere che questa forma religiosa non è dominante se non perché gli individui sono a loro volta suscettibili di accoglierla, perché quell’ideale risponde ad uno stato emotivo, intellettuale o intuitivo che è dentro di loro. Questa disposizione, che bisogna considerare come la chiave della storia, non è altra cosa che il momento mistico dell’essere umano.
….
Ma che bisogna fare quando non possiamo arretrare perché dietro di noi si apre l’abisso? Come giudicare, dunque, questo passato e presente dal momento che – per esaminare la storia dell’umanità – non possiamo basarci sui fatti ancora a venire per meglio valutare l’epoca moderna? Ciò nonostante, nello smarrimento attuale, un tale giudizio si impone. Dobbiamo attenderci che un nuovo Cristo riveli un’altra direttiva morale, affinché sulla base di questa nuova mentalità, possiamo criticare ciò che noi siamo attualmente?
Ogni nuovo Cristo non può che essere un falso Cristo, perché questo stato di Cristo corrisponde ad una fine e perfezione, e l’epoca segnata dal Cristo dell’Evangelo è in corrispondenza assoluta con questo periodo dell’umanità…” (28).

Tuttavia, se, con Sablé, siamo d’accordo nel ridimensionare la portata reale del neopaganesimo di Schwaller, bisogna pure ben interpretare il Cristocentrismo dell’esoterista alsaziano. Anzitutto approfondendo quanto si è già accennato in merito alla posizione di Schwaller nei confronti della chiesa cattolica. Se il Cristianesimo rappresenta il compimento definitivo, il sigillo perfetto del divino nella manifestazione attuale, la Chiesa è, di contro, fonte principale di corruzione e superstizione, la responsabile maggiore di ogni orrore della modernità.

«L’eredità di questi diciannove secoli di cristianesimo, quanto alla mentalità, – ovvero alla maniera di vedere e agire, di considerare il fine immediato o futuro, è anzitutto una mentalità positivista-realista. La reazione contro un idealismo – tradotto dal cattolicesimo con il fine manifesto di affermare il suo potere in luogo di fornire un sostegno ai fedeli – dà inizialmente luogo ad una superstizione insensata; questa superstizione finisce per arenarsi in una corruzione positivista delle cose, in cui nulla esiste al di fuori di ciò che si può vedere o toccare….
L’eredità, per quanto concerne la mentalità, è un materialismo imbevuto di timore dell’ignoto. ….
In sociologia la Chiesa, di costituzione monarchica despotica, ha creato la rivolta popolare con il suo assolutismo. Essa ha suscitato la democrazia poiché non ha trasmesso alcuna tradizione degna di essere seguita, servendosi dei re come di servi… ed esercitando la tirannia del suo potere.
La nozione di gerarchia? La Chiesa l’ha ricondotta alla paura ed alla nozione quantitativa della gerarchia, avendo ucciso per ignoranza ogni nozione della gerarchia qualitativa e divina….
Alcun valore spirituale rimane intangibile nel mezzo di questo cataclisma: le immagini e le statue hanno un riflesso di idolatria, la teologia dà l’impressione di un’abile argomentazione dialettica, gli elementi del dogma non sembrano essere più che fantocci di una barbarie intellettuale….
L’eredità del Cristianesimo in religione è l’irreligiosità….» (29).

Si tratta di un copione consunto già all’epoca. Esso affonda le radici nell’esoterismo massonico di stampo illuminista del XVIII secolo, e costituisce uno dei topoi dello gnosticismo sincretistico dell’esoterismo moderno. La degenerazione della Chiesa, coinvolta nella gestione del potere temporale molto più che nella guida spirituale dei fedeli, e’ uno dei cavalli di battaglia che troviamo, indistintamente, in tutte le conventicole esoteriche degli ultimi secoli. L’esoterismo, in questa chiave, passa dal rango di ermeneutica simbolica (interna, dunque, ad una tradizione metafisica compiuta) dal contenuto eminentemente legato a discipline di carattere cosmologico e cosmogonico, al rango – assolutamente inedito e anti-tradizionale – di metafisica compiuta ed indipendente, di via autonoma al sacro. Una tradizione esoterica che si configura come metastorica, di cui non ci si preoccupa di delineare né le tracce né il carattere – se non attingendo di volta involta a formule sincretistiche fluttuanti e variabili – che si presenta quale scaturigine primigenia delle diverse religioni tradizionali. Queste vengono in tal modo degradate a epifenomeno storico ed exoterico di un nocciolo esoterico comune, metastorico ed unificante, che non riconosce specificità di sorta né diversità. Abbiamo già affrontato, brevemente, il carattere di questa costruzione del riduzionismo illuminista – che trova la sua epitome ultima nella rêverie dell’unità trascendente delle religioni – e che percorre, tutto intero, il movimento esoterico-occultista degli ultimi due secoli Una concezione che tracima, in tempi recenti, nelle costruzioni ideologiche della new-age e della next-age (30).
Una analisi scientifica dei caratteri dell’anticattolicesimo occultista moderno è ancora, in gran parte da compiere. Si tratterebbe di delineare, anzitutto, le forti componenti positiviste e scientiste che percorrono l’esoterismo ottocentesco, e definire la loro interazione con le tensioni sincretistiche ed unificazioniste di matrice laica ed illuminista che si sostanziano dapprima in formule più o meno ingenue e semplicistiche, poi in formulazioni metafisiche più o meno complesse e composite come quelle guénoniane. Un lavoro ai nostri occhi interessantissimo, che però, in virtù dei limiti posti dalla natura di questo scritto, siamo costretti a rimandare. Fatto sta che la critica al cattolicesimo, la convinzione della sua irreparabile degenerazione, sono un topos che Schwaller eredita interamente, e senza apparenti elaborazioni, dalla matrice teosofico-occultista.
Schwaller è, a pieno titolo, figlio della Società Teosofica. Se egli rinnega il buddismo quale via di salvazione per l’umanità di questa fase, ciò non significa che non conservi della sua formazione teosofico-occultista alcuni rilevanti elementi dell’impianto ideologico di fondo.
In sintesi, la posizione di Schwaller sul cristianesimo è di impianto gnostico-occultista. Il cristocentrismo di cui parla Sablé ha senso solo a partire dal fatto che Schwaller rifiuta buona parte dell’interpretazione cristiana dell’incarnazione (31). L’idea di uno Schwaller cristocentrico è almeno problematica quanto quella di uno Schwaller neopagano. Lo gnosticismo mal si adatta alla teologia, l’idea personalistica e soggettivistica di conoscenza mal si attaglia all’universalismo del dogma ed all’abbandono mistico della fede. La resurrezione che egli invoca quale via di salvezza per l’umanità di questa fase, è un percorso gnostico, che è relativo ad uno stadio specifico ed attuale dell’umanità, ma che nulla ha a che fare con il cristianesimo vero, e con la sua struttura teologica e metafisica. La via che René cerca lanciando lo sguardo attraverso le pieghe più riposte del cosmo, fino a scoprire le strutture numeriche fondamentali della creazione, pur non escludendo in linea di principio il Dio cristiano, nei fatti è figlia di una attitudine puramente gnostica. E’ un percorso di conoscenza della legge divina che si pone, comunque, al di là di una specifica tradizione, che è al di sopra di ogni fede tradizionale. Il Cristo, qui, è molto simile una funzione cosmica, un principio astratto di natura assolutamente arbitraria, senza alcun riferimento dottrinario, storico e teologico al cristianesimo. Qualcosa di simile – anche se su di un piano più alto e definitivo nell’ambito del ciclo – ai neter, ai principi cosmici che tanto concentreranno la sua attenzione nello studio dell’Egitto faraonico. E’ un percorso legato a leggi cosmiche naturali e non provvidenziali e, certamente, non legate ad una confessione:

«E’ una religione? No, è più che una fede: è, per alcuni, la conoscenza, Conoscenza della parola divina che ordina il mondo, e questa conoscenza è anche la Scienza Sacra…. Crediate o non crediate, è la stessa cosa per la marcia naturale sulla via osiridea. Siate buoni, siate giusti, siate caritatevoli, e raccoglierete più presto la Luce. Siate malvagi, siate crudeli, egoisti, e che voi crediate o dubitiate, pagherete…» (32).

Sicuramente, a proposito della frattura con Milosz, si può pensare che il percorso del poeta lituano, progressivamente avvicinatosi ad un cattolicesimo intransigente e ortodosso, doveva senz’altro approfondire la distanza con lo gnostico René, che, anche se ritirerà l’Adam, tuttavia non poteva condividere la via tradizionale del suo amico e compagno del tempo dei Veilleurs.
Gli anni di Suhalia vedono uscire, oltre a L’Appel du feuLa doctrine e Adam, l’homme rouge, anche Le livre des vivants (essai de lois)¸ (1927, Montalia, St. Moritz). Anche questa pubblicazione, come già La doctrine è un’edizione privata, fuori commercio, destinata a chi gravitava intorno al gruppo. Sempre a Suhalia, vedono la luce le 25 lame del Jeu de Tarot égyptien, che non vedranno pubblicazione, tuttavia, se non nel 1988 (33). Un’opera abitualmente dimenticata nelle bio-bibliografie di Schwaller, ma che testimonia un’attenta ricerca sul simbolismo dei neter egiziani già in questi anni:

«Le figure sono disegnate assai attentamente, con un tratto netto, chiaro, perfetto, e sono di reale qualità artistica. Esse riproducono con esattezza le proporzioni di certi elementi dell’iconografia egizia, per la maggior parte Neter (che non sono ciò che l’egittologia classica ha definito per tanto tempo, e tanto puerilmente, degli “dei”, ma piuttosto dei principi, rappresentazioni di funzioni nella Natura, sia allo stato potenziale che nelle loro manifestazioni.
Il simbolismo di questi tarocchi è strettamente inerente al valore di queste “funzioni”, che si manifestano più o meno nel mondo naturale e sovrannaturale: se si mettono questi tarocchi in relazione con i 22 arcani maggiori dei tarocchi di Marsiglia, vi si trova il medesimo significato, benché tale significato sia espresso per mezzo di immagini a volte assai differenti, e sovente ben più ricche e complesse…
Questo gioco di tarocchi ha dunque un utilizzo tradizionale: ma il suo autore ne aveva anche concepito un utilizzo come gioco di società per più giocatori: un gioco di ruolo che si sviluppa come una sorta di “psicodramma”, dove il gioco dei tarocchi occupa una posizione centrale ed ideale….» (34).

L’esperienza di Suhalia, nel frattempo, si evolve, raccogliendo simpatie ed attenzione, specie in ambito artistico. Il suo laboratorio omeopatico produce rimedi di grande qualità, i suoi artisti ed artigiani raggiungono vette preziose di sensibilità artistica. Personaggi del calibro del giovane artista alsaziano Jean Arp o del pittore Mirò accorrono a Suhalia. Renè, coadiuvato dall’ingegnere Paul Gluber, crea un nuovo motore a carburazione multipla, brevetta un nuovo tipo di elica e progetta un battello inaffondabile (35).

Il percorso verso una ridefinizione del rapporto tra sacro e scienza, tra interiorità e tecnica, sotto la guida ideologica ed esoterica di Aor sembra dare frutti promettenti. Ci penserà la crisi economica del 1929 a rendere impossibile il progetto (36), insostenibile da un punto di vista economico, che si dissolve rapidamente.

Nel 1930 René e Isha, sposi dal 1927 – Georges Lamy, muore accidentalmente nel 1926, a 53 anni – si installano insieme ai due figli di Isha, Jean e Lucie (37), a Plan-de-Grasse, nelle Alpi Marittime. Isha, che fino a quel momento si era occupata di studi naturalistici nel laboratorio omeopatico di Suhalia, più o meno a quest’epoca intraprende lo studio dei geroglifici, che si protrarrà per circa sei anni. Sempre in questo periodo Schwaller riceve ripetutamente a Plan-de-Grasse Champagne. I colloqui e gli incontri tra i due sono un nuovo tassello nell’Affaire Fulcanelli.

Dopo qualche anno a Plan-de-Grasse, tuttavia, la coppia si trasferisce Palma di Maiorca, in un vecchio edificio dei tempi di Raimondo Lullo, probabilmente con l’incarico della classificazione di alcuni vecchi archivi. Questo periodo, seguente all’esperienza dei Veilleurs e di Suhalia¸ è un proficuo periodo di ripiegamento interiore, di riposo e di serenità. Schwaller acquista una barca a vela, con equipaggio. Da Palma di Maiorca cominciano una serie di crociere nel Mediterraneo, che toccano sovente il nord-Africa ed in particolar modo l’Algeria, dove si vuole che i coniugi siano entrati in contatto con confraternite Soufi. Dopo un soggiorno di due anni, la guerra civile spagnola spinge Isha e René ad abbandonare Palma di Maiorca ed a tornare in Francia.

Qui si iniziano i preparativi per il nuovo progetto: il viaggio in Egitto alla ricerca delle sorgenti dell’intelligenza del cuore e della tradizione ermetica.

Nel 1936 Isha, Aor e Lucie Lamy si spostano in Egitto.

La storia d’amore tra i coniugi Schwaller e l’Egitto durerà circa quindici anni (fino al 1952), di cui dodici passati a Louxor. Sono quindici anni di ricerca, studio ed illuminazione che trovano la loro sintesi definitiva (38) nel capolavoro di R. A. Schwaller de Lubicz, Le temple de l’homme, apet du sud à Louqsor (Caractères, Paris 1957, ristampato nel 1977 dalla Dervy), opera monumentale in tre volumi, che raccoglie tutto quanto il gruppo di lavoro che Aor crea intorno a sé riesce a trarre dai quindici anni di comune collaborazione in Egitto. E’ assolutamente inutile tentare di sintetizzare qui le linee-guida fondamentali di un’opera così mastodontica, e che, tra le altre cose, rimette in discussione buona parte delle acquisizioni dell’egittologia ufficiale del tempo. Ciò nonostante, la natura e la quantità delle scoperte formulate da Schwaller sono tali da aver influenzato, successivamente, una intera corrente dell’egittologia – quella simbolista, appunto – che, in modo dichiarato o criptico si è rifatta costantemente alle teorie dell’esoterista alsaziano. Sotto l’interpretazione simbolica dell’architettura sacra, delle proporzioni numeriche, dell’arte e del geroglifico, il gruppo guidato da Schwaller mette a punto una visione del tutto nuova della civiltà Egizia, della sua religiosità, della sua conoscenza scientifica, della sua arte. L’Egitto, al-Kemit, rivela, attraverso le sue rovine, la struttura di una civiltà interamente basata su quell’intelligenza del cuore che Aor aveva posto al centro della propria riflessione. L’antropocosmo, l’uomo cosmico in cui si riflettono i principi della creazione, si svela attraverso il linguaggio muto dei segni, dell’arte e delle proporzioni del tempio. La stessa struttura della storia egizia si dispiega in relazione agli andamenti nascosti di cicli cosmici. Una parte consistente del lavoro di Aor, da sempre amico del mistero nascosto nei numeri, è dedicata alla riscoperta delle conoscenze matematiche degli antichi egizi.

Isha riceve, attraverso una esperienza di illuminazione interiore, la rivelazione della chiave del geroglifico:

«Aor mi rassicurò sull’intuito di Isha nell’interpretazione dei testi faraonici e sulla sua rara competenza nel campo dell’alfabeto geroglifico. Isha stessa mi diede i dettagli della semi-mistica esperienza con cui questa conoscenza le pervenne. Fu in due tappe, due giorni di Natale ad un anno l’uno dall’altro…” (39).

Térèse Collet racconta i particolari di una di queste esperienze illuminazione, che raccoglie direttamente dalla bocca di Isha. Il racconto ha un po’ il sapore dell’agiografia o del Koan zen.

«Soffriva molto, il clima dell’Egitto non era adatto a lei e un giorno Aor ed alcuni amici decisero di fare una piccola crociera sul Nilo per andare a visitare un tempio nella valle di Tebe. Lei non voleva andare perché non si sentiva bene e Aor insisteva dicendo: “Vieni, ti farà bene, sull’acqua ci sarà un po’ di vento”. Lei si lasciò convincere e quando arrivarono sul luogo dello sbarco, fece andare gli uomini e, dopo aver chiesto di essere prelevata al ritorno, rimase in una piccola cappella – credo – dove si sedette all’ombra per riposarsi. Le sembrò di addormentarsi e improvvisamente sentì un colpo alla testa che la svegliò e vide davanti agli occhi i geroglifici con il loro senso reale ed i loro numeri… Quando Aor ed i suoi amici ritornarono, ed Aor le chiese “come va?”, lei rispose: “sono guarita”. Aor, che adorava Isha, ma era sempre molto cauto rispetto alle impressioni delle donne, pensò: “Ha detto che è guarita, che cosa significa?”. Rientrati a casa lei gli disse: “Ecco che cosa mi è stato mostrato; ho avuto un colpo sulla testa ed ecco ciò che ho visto e che mi ha guarito”. Aor allora le disse: “questo è il vero alfabeto geroglifico, ma ne hai ricevuto soltanto la metà”. La seconda metà l’ha avuta in un’altra occasione…» (40).

In Egitto Aor, Isha e Lucie incontrano nuovi compagni di avventura: Alexandre Varille, giovane archeologo dell’Institut Française d’archéologie orientale; l’archeologo Clément Robichon; l’artista e studioso Alexandre Stoppelaere. Nasce così il “gruppo di Louqsor”, che propaganderà la nuova teoria simbolista nel silenzio o nel dileggio dell’egittologia ufficiale del tempo.

Nel 1952 Aor, Isha e Lucie ritornano in Francia, ristabilendosi a Plan-de-Grasse.

E’ a partire da questo momento che inizia il lavoro di raccolta, raffronto e sintesi della grande massa di dati raccolti dal gruppo in Egitto. E’ in questo periodo che prendono lentamente forma Le temple de l’homme e le successive opere di René ed Isha.

Le temple de l’homme è un libro difficile, che richiede conoscenze più complesse – specie dal punto di vista matematico – di quelle che costituiscono il normale bagaglio di un egittologo. Ne verrà distillato un estratto, Le miracle Egyptien (Flammarion, Paris 1963) (41), utile a fornire le basi dell’insegnamento filosofico e simbolico, alleggerito delle più ostiche parti matematiche e geometriche. Nel 1958 era anche uscito Le roi de la théocratie faraonique (Flammarion, Paris) (42), in cui quella hiérarchie che costituiva un parte della divisa del Centre apostolique ritornava mostrando le proprie radici sacrali e simboliche nell’Egitto faraonico. Il Re come compimento ed esempio del divenire, come sacerdote del principio regale cosmico. Il re, in sintesi, ancora una volta come simbolo dell’antropocosmo, sintesi ed espressione unificante delle funzioni universali simbolizzate dai neter e ripartite analogicamente nell’ordinamento sociale.

Tra queste opere che espongono e riassumono l’immane lavoro di ricerca sull’Egitto faraonico, Schwaller pubblica alcune operette minori, in cui chiarisce questo o quell’aspetto del suo insegnamento, soprattutto al riguardo del concetto di simbolo, base delle civiltà tradizionali e, nella sua vera essenza, completamente obliato dalla modernità. Escono così Du Symbole et de la symbolique (Schindler, Le Caire 1951) (43), Propos sur ésoterisme et symbole (La Colombe, Paris 1960) (44).

Nel 1950 Isha aveva pubblicato il suo romanzo iniziatico, Her-Bak pois chiche (Schindler, Le Caire) (45) cui avrebbe fatto seguito una seconda parte, nel 1951, dal titolo Her-Bak disciple (Schindler, Le Caire, 2 voll.) (46). E’ la storia di un bambino egiziano che si fa notare dai sacerdoti per la sua vivida intelligenza, per la sua curiosità e spregiudicatezza. Il piccolo Cecio viene così, segretamente, tenuto sotto la discreta ala protettrice del tempio, e viene guidato lungo una serie di esperienze – lavorative e di vita – che lo guidano verso un sempre maggior coscienza di sé e della foresta di simboli che la tradizione gli pone innanzi. Nella seconda parte il giovane entra al tempio, e comincia il suo apprendistato sacerdotale, il suo contatto coi misteri e con la conoscenza iniziatica. Spesso considerato opera minore o di scarso valore, Her-bak è in realtà un’operazione divulgativa riuscita e accattivante, in cui Isha passa in rassegna gran parte degli insegnamenti raccolti ed elaborati in Egitto. Contemporaneamente, nel 1950, per i tipi dello stesso editore, esce Contribution a l’égyptologie, che «ha per fine di presentare, sotto forma di un “sommario” facilmente accessibile, parte dei risultati scientifici delle nostre ricerche che sono stati volontariamente disseminati nella nostra opera Her-bak… questa “Contribution” è stata elaborata considerando le funzioni simbolizzate dai geroglifici ed i loro rapporti analogici, ovvero i due punti di vista biologico (naturalistico) ed analogico (cosmologico)… » (47).

Nel 1957, appare la prima delle due opere destinate a sintetizzare il testamento psico-spirituale di Isha, L’ouverture du chemin, cui segue, a distanza di qualche anno, La lumière du chemin. Si tratta di opere voluminose, che realizzano la sintesi spirituale della via che Isha ha rinvenuto tra le antiche sapienze egizie, la cui base eterna ed identica a quella di tutte le altre grandi tradizioni, può offrire le chiavi per la rigenerazione dell’uomo e della società moderni. Non è questa, ovviamente, la sede per tentare una sintesi del messaggio sotteso a questi testi, tuttavia, tra le dissertazioni, le istruzioni ed i simbolismi, il lettore non potrà fare a meno di reincontrare nozioni ed analisi che, inevitabilmente, fanno ripensare all’esperienza dei Veilleurs e costituiscono spesso, per altri versi, efficaci volgarizzazioni delle idee esposte nei libri di Aor.

René Schwaller muore nella sua casa nel dicembre 1961. Isha lo segue nel dicembre 1963.

Nello stesso anno, era stato pubblicato Aor, sa vie, son oeuvre (Paris, La colombe 1963), opera in cui è contenuta l’ultima opera del maestro alsaziano, Verbe Nature (48). In Verbe Nature Aor scrive un certo numero di réponses, poiché, l’obiettivo, è insegnare a porre le domande giuste. Le domande cui le risposte si riferiscono sono indicate solo da puntini sospensivi seguiti dal punto interrogativo. Ancora un volta, al centro delle réponses è il risveglio dell’intelligenza del cuore, la liberazione dalle gabbie del pensiero dialettico e dai suoi inganni, che non permettono la decrittazione delle vere leggi funzionali che reggono la natura ed il destino di grandezza dell’uomo. La via della risalita verso le cause formali, per realizzare l’identità di seme e frutto, di cielo e terra. Si tratta di un libro evidentemente concepito come supporto alla meditazione, concepito in forma spesso aforismatica, che costituisce forse il nocciolo dell’esperienza spirituale di Schwaller, l’autentico testamento del maestro ermetista.

«16 – Quale cammino seguire? Quello che ti sembra incredibile, quello che coltiva in te un altro modo di pensare, che risveglia in te un’intelligenza senza antinomie, che ti permette di trovare questo stato di «neutralità mentale» che è il terreno in cui cade, come un seme, l’ispirazione pura, come nei campi cade la rugiada fecondante.

– … ?

17 – No! Altri ti predicano, sulla base della loro fede, direttive religiose o metodi di yoga. Io ho da parlarti di ciò in modo differente. Io, dall’insegnamento dei Saggi antichi, ti sto offrendo una base logica che può, attraverso una feconda filosofia degli analoghi, condurti verso la Conoscenza…» (49).

Nel 1982, postumo, curato probabilmente da Lucie Lamy, esce Les temples de Karnak, contriburion à l’étude de la pensée pharaonique (Dervy, Paris), opera in due volumi che una nota d’apertura ci informa pronta per la stampa già nel 1961; un’opera di sintesi ulteriore corredata da un imponente apparato fotografico ed iconografico.

Le Lettres à un disciple (Diffusion Traditionelle, Paris 1990) sono emerse più recentemente dagli archivi dell’A.M.O.R.C. Si tratta, in effetti, solo in parte di vere e proprie lettere. Vi si trovano appunti, minute dattiloscritte di testi, annotazioni. A parte una minuta dattiloscritta che riporta un’intestazione “Stazione Scientifica Suhalia Saint-Moritz”, e che, dunque, è probabilmente databile al tempo dell’esperienza di Suhalia, gli appunti e le missive – dalle poche date annesse in calce ai documenti – sembrano essere tutti di un periodo che va dal 1943 al 1946. Siamo nel periodo di permanenza in Egitto, nel periodo di lavoro a Louqsor. Non sappiamo a chi fossero indirizzate le missive, forse a qualche corrispondente e discepolo rimasto in Francia. Esse sono vergate con una grafia minuta, nervosa, fortemente inclinata a destra, alle volte poco leggibile. Talvolta le note riportano, all’inizio, un titolo, talvolta no. La prosa, come in una corrispondenza epistolare con persona nota – con cui si condivide un linguaggio di base ed una serie di nozioni e di riferimenti – è stringata, densa, a volte marcatamente colloquiale.

Di recente, proprio mentre scriviamo, per i tipi de La table d’Emeraude di Parigi, è annunciata una nuova raccolta di appunti e scritti inediti (50). La fama editoriale di René Schwaller e di Isha, è ormai assicurata da edizioni in alcune delle principali lingue occidentali. Oggetto di rinnovata e continua attenzione, l’opera di René Schwaller sembra voler parlare alla modernità in una lingua ormai dimenticata. In questa lingua si legge l’anomalia della reviviscenza di una saggezza egizia e pitagorica, la trama sincretistica di un cristocentrismo pagano – in cui, alla cattedrale gotica che finirà nelle opere di Fulcanelli, si riserva il medesimo strumento ermeneutico del tempio egizio -. Questa trama si innalza, per spessore, rigore e potenza, su vette irraggiungibili dalla maggior parte del balbettio esoteristico del secolo scorso. Carattere di questo splendido sincretismo, come di ogni altro sincretismo artificiale, come nota Zolla (51), è l’arbitrarietà. Ciò nonostante, da questa costruzione argamente arbitraria, il lettore in grado di percepirlo, potrà trarre l’alito di vento di un mondo gnostico ormai quasi estinto, alieno, e selezionare il senso dell’eredità che esso lascia – nel bene e nel male – all’umanità dell’occidente moderno nello spiritualismo occultistico contemporaneo.

NOTE:

(1) Il particolare, raccontato dallo stesso Schwaller, è tratto dalla registrazione della conferenza di Thérèse Collet, La vie et l’oeuvre du philosophe R. A. Schwaller del Lubicz, Nastro magnetico edito da Ergonia, 1982. La Collet è una discepola di Isha Schwaller.

(2) “E’ la natura un tempio dove a volte viventi \ colonne oscuri murmuri si lasciano sfuggire: \ tu, smarrito entro foreste di simboli seguire \ di mille familiari segreti occhi ti senti.
Come echi lontani e lunghi, che un profondo \ e misterioso accordo all’unisono induce, \ coro grandioso come la tenebra e la luce, \ suoni, colori e odori l’un l’altro si rispondono.
Conosco odori freschi come parvole gote, \ teneri come oboi, verdi come giardini; \ altri, corrotti e ricchi, attendono remote
espansioni, al di là degli umani confini… \ E sono il benzoino, l’ambra, il muschio, l’incenso, \ che cantano le estasi dell’anima e del senso.” (Da I fiori del male, trad, di Gesualdo Bufalino, Mondadori, Cles 2002).
E’ il sonetto che, più di ogni altra cosa, anticipa toni e temi del simbolismo.

(3) Un certo numero di notizie biografiche su Schwaller sono state di recente raccolte da Erik Sablé in La vie et l’oeuvre de René Schwaler de Lubicz (Dervy, Paris 2003).

Una attenzione particolare, negli ultimi anni, ai limiti del morboso, è stata sviluppata intorno alla definizione di chi fosse Fulcanelli e di che ruolo avesse, nello specifico, Schwaller De Lubicz, nella formazione della leggenda tenuta tanti anni in piedi da Canseliet. Nell’esiguo spazio concessoci dal presente lavoro non ci occuperemo affatto di questo aspetto, intorno al quale il lettore può reperire ormai abbondante materiale. In italiano esiste infatti la traduzione del libro di Geneviève Dubois, Fulcanelli: svelato il segreto del più famoso alchimista del XX secolo, Mediterranee, Roma 1996. Una trattazione della questione è contenuta anche in appendice ad una recente edizione italiana di Propos sur ésotérisme et symbole (Esoterismo e simbolo. In appendice: Schwaller de Lubicz e il mistero di Fulcanelli, Tre Editori, Roma 1997). una sintesi efficace è reperibile anche on-line, grazie alla pubblicazione in rete del lavoro di Walter Catalano R. A. Schwaller de Lubicz: il testimone di Al-Kemi, reperibile all’indirizzo
Il lettore ci perdonerà se preferiamo concentrare l’attenzione su aspetti decisamente meno frequentati della biografia intellettuale di Schwaller, che, d’altro canto, sono molto più rilevanti di una vicenda che, ci pare, in realtà, lo tocchi solo marginalmente. Infatti, seppur gli appunti e alcune idee di Schwaller furono alla base dei libri legati alla leggenda di Fulcanelli, e seppure egli fosse sempre rimasto amico di Champagne, mantenendo il segreto sull’intera vicenda, è altresì vero che Schwaller manifestò giudizio severo verso gli scritti fulcanelliani, e che mai, in vita, condivise in alcun modo nessuno degli aspetti del mito Fulcanelli, legando il proprio percorso a ricerche ed esperienze che lo porteranno, come si vedrà anche in seguito, assai lontano dalla Francia e dal milieu esoterico parigino.

(5) «La Società teosofica fu fondata il 17 dicembre del 1875 da Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) e dal colonnello S. S. Olcott che erano stati tutti e due affiliati alla H. B. of L. (Hermetic Brotherhood of Luxor) qualche mese prima, per esserne poi rapidamente esclusi… Si dà il caso che Madame Blavatsky avesse conosciuto un certo Paulos Métamon ai tempi di un viaggio in Asia Minore che aveva effettuato nel 1848, ed in sua compagnia avesse poi proseguito per la Grecia e l’Egitto. Ora, questo personaggio sarebbe stato il padre di Max Théon, il fondatore della H. B. of L. – un ebreo polacco nato nel 1848, il cui vero nome era Louis Maximillian Bimstein – che avrebbe trasmesso al figlio una iniziazione hassidica. Allo stesso modo Helena Blavatsky avrebbe ricevuto, tra il 1877 e il 1878, una iniziazione di Yarker al rito antico e primitivo del Sat B’Hai (sette penne), rito paramassonico i cui gradi rappresentavano divinità indiane ed incarnazioni di Vishnu. Annie Besant (1874-1933), che doveva prendere la direzione della Società Teosofica alla morte della Blavatsky, si fece iniziare al Diritto Umano, ma si separò presto da un modello che tendeva al razionalismo per dirigersi verso un movimento di tipo magico-iniziatico, grazie ai doni di chiaroveggenza di Leadbeater, suo collaboratore, che adattò dei riti particolari a questa co-massoneria.
Bisogna anche segnalare Rudolf Steiner (1861-1925) che fonda l’Antroposofia nel 1913 … dopo aver lasciato verso il 1912 la Società teosofica di cui era segretario generale della sezione tedesca. Egli avrebbe ricevuto nel 1906 da Theodore Reuss uan patente per il rito egiziano di Memphis-Misraim, e senza dubbio una iniziazione O.T.O. (Ordine del Tempio d’Oriente) come Aleister Crowley, che fu iniziato dallo stesso Reuss nel 1911. Secondo Michel Monnerau, R. Steiner sarebbe inoltre stato cinquantacinquesimo Imperatore FAR+C (1898-1900) ed “istituisce nella Società Antroposofica un circolo interno dedicato alle ricerche ermetiche”. Rudolf Steiner ebbe una grande influenza su René Schwaller. Si dà ugualmente il caso che il fondatore della filiazione francese della Società Teosofica, Albert Faucheux detto Barlet (1838-1921), fosse anche iniziato alla H. B. of L.. Egli lascia la Società Teosofica nel 1888 per partecipare con Papus alla costituzione del Supremo consiglio martinista. Non vogliamo entrare nel dettaglio di tutte queste filiazioni. Tutto ciò punta a dimostrare che esistevano un legame tra tutti questi movimenti e gli attori principali del movimento occultista in Francia, a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e che la storia della magia iniziatica si confonde con quella della Società Teosofica.» (G. Dubois, R. A. Schwaller de Lubicz et Henri Coton-Alvart, in Regards n°2, oggi – ultima verifica 22\05\2005 – reperibile on-line all’indirizzo
http://www.eklectic-librairie.com/ArticlesAuteurs/GenevieveDubois.htm )

(6) Lo studio più articolato intorno all’esperienza del Centre Apostolique, alle sue iniziative, ed alla formazione dei Veilleurs, che nascono in seno a questa esperienza, è, al momento, quello condotto da Alexandra Charbonnier in O. V. Milosz, le poète, le metaphisicien, le lituenien¸ L’age d’homme, Lausanne 1996. Cfr. in particolare il cap. 11, Les groupes Apostoliques, pp. 235-265. Buona parte delle notizie che seguono sono tratte da questo studio, cui rimandiamo il lettore per ogni eventuale approfondimento.

(7) Difficile comporre una nota di presentazione per uno dei giganti della poesia e della letteratura novecentesca. Una letteratura critica rilevante, che inizia Milosz vivente (il primo saggio sulla poetica di Milosz, dal titolo Un poéte de l’evocation esce nel 1902, firmato da Francis de Miomandre sulla rivista Ermitage) è stata prodotta nel corso dei decenni. Rimandiamo senz’altro il lettore, per un approccio complessivo alla figura e all’opera di Milosz, oltre che al citato, capitale saggio della Charbonnier, anche a Jacques Buge; Milosz en quête du divin, Nizet, Paris 1963. In lingua italiana, il saggio di Elettra Bordino Zorzi, L’atto della parola in O. V. de L. Milosz. Poesia, esoterismo, profezia. Cleup, 1999. Milosz è stato poco tradotto in Italia: oltre ad una prima edizione del Miguel Mañara (Miguel Mañara: mistero in sei quadri, traduzione di Carlo Passerini Tosi, Morcelliana, Brescia 1947) ricordiamo una traduzione de L’amoreuse initiation (L’amorosa iniziazione, Città Armoniosa, Reggio Emilia 1979), mentre una raccolta di opere teatrali, Miguel Mañara, Mefiboseth, Saulo di Tarso: teatro, arricchita da una breve nota di Giancarlo Quiriconi, è uscita nel 1991 per la Jaka Book (Albairate 1991) ed è stata in seguito ristampata.
Oscar Vladislas Milosz era figlio di Vladislas Milosz e di Marie Rosalie Rosenthal, e nasce a Czereia, in Lituania, nella casa paterna il 28 maggio 1877. Il padre, nobile possidente di antica famiglia lituana è un uomo fortemente eccentrico: militare, gran viaggiatore (Oscar avvertirà la solitudine della sua infanzia, vissuta con un padre per la maggior parte del tempo irreperibile), aeronauta protagonista di ascensioni in pallone, studioso di esoterismo (Oscar, a questo proposito si definirà “alchimista per eredità”), si distinse per una vita spesse volte avventata, funestata da disordini nervosi che lo resero più volte protagonista di tentativi di suicidio. La madre apparteneva ad una famiglia ebrea di Varsavia, cosa non semplice se si considera la riprovazione di cui gli ebrei godevano allora in Lituania, e di cui la giovane dovette essere fatta oggetto dalla stessa famiglia Milosz. Si convertì al cattolicesimo solo nel 1893, a Parigi, due giorni prima di sposare Vladislas. Buona e laboriosa, è lei che gestisce il patrimonio e la vita familiare di casa Milosz, conducendo una vita ritirata. E’ assai probabile che le antiche amicizie familiari di ambiente ebraico di Marie Rosalie (era nativa di Staszow, piccolo e prospero centro ebraico con una forte tradizione hassidica) possano aver contribuito in maniera decisiva alla formazione biblica e cabalistica di Oscar, che affermerà in seguito, comunque, di «essere stato educato secondo i principi del più ingenuo e brutale libero pensiero». «Devo riconoscere che il sangue ebraico apportato in famiglia da mia madre (una creatura terribile, ma che ha saputo, con la sua calma e la sua forza di carattere, attenuare i terribili effetti che la demenza di mio padre avrebbe potuto avere nella storia della mia vita), è, per qualche cosa presente nella mia poesia e nella mia metafisica. E’ forse questo strano miscuglio del sangue reale dei miei pareti paterni e del sangue biblico dei miei ascendenti materni che ha prodotto la poesia e il pensiero di Ars Magna.» (lettera a Christian Gauss cit in Charbonnier, op. cit. pag. 25). Dal 1889 la famiglia Milosz si trasferisce in pianta stabile a Parigi. Oscar continua la sua formazione presso il liceo Jeanson de Sailly, dove ha per professore di disegno il poeta Germain Noveau, compagno di gioventù e di viaggi di Rimbaud e Verlaine, preda di una profonda crisi religiosa che culminerà in una serie di crisi mistiche, che lo colgono talvolta innanzi agli studenti. La casa che vede crescere il giovane, stando a sue testimonianze successive, vede la frequentazione di artisti e poeti: Oscar cresce in un ambiente probabilmente fecondo in contatti ed influenze culturali.
La prima pubblicazione di Milosz risale al 1899. Si tratta di Le poème de Décadences, che inizia a far circolare la fama di Milosz. Tra il 1902 ed il 1906 una serie di viaggi, lo portano a soggiornare anche, per qualche tempo, nella terra natia. Nel 1910 appare L’amoreuse initiation. Tra il 1911 ed il 1914 vi è un periodo di intenso lavorio, che porta all’uscita della sua produzione teatrale e di altre opere poetiche. Il 1914 è un anno cruciale. Nel dicembre di quest’anno, infatti, Milosz vive l’esperienza di illuminazione, la visione di quel “sole spirituale” che è alla base di Ars Magna. A partire da questo momento la strada di ascesi artistica e metafisica di Milosz diviene un’esperienza sempre più totalizzante. E’ il periodo del Centre Apostolique e dei contatti più serrati con il milieu magico-occultista, che culminerà con l’esperienza dei Veilleurs. La rivoluzione di ottobre lo priverà di tutti i suoi beni, ed inizia un periodo di difficoltà economiche. Secondo la Dubois, Schwaller versa, in questo periodo, una rendita di 300 franchi mensili all’amico in difficoltà, denaro proveniente, probabilmente, dalle casse di Louis Alainguillaume (G. Dubois, R. A. Schwaller… cit). Dopo la proclamazione dell’indipendenza lituana (1918) Milosz prenderà la cittadinanza lituana, e, nel 1919, verrà nominato delegato della Lituania in Francia, iniziando una serrata attività diplomatica che assorbirà in gran parte l’attenzione del poeta. La Francia riconoscerà ufficialmente la nazione lituana nel 1920. Milosz riceve così l’incarico di delegato agli affari lituani in Francia, incarico che conserverà fino al 1925, anno in cui chiederà spontaneamente di essere sollevato dal mandato (conservando però la funzione di consigliere diplomatico). Nel 1926 escono Les Arcanes e nel 1929 i Poèmes 1895-1927. A questo periodo si fa risalire una ulteriore crisi spirituale che porta Milosz ad abbracciare un cattolicesimo ortodosso integralmente vissuto, ed a riprendere i propri lavori sulla Bibbia. Gli ultimi anni trascorrono senza alcuna rilevante attività poetica. Al 1938 risale la sua ultima opera, che l’artista fa stampare a sue spese, La clef de l’Apocalypse, in cui espone il suo originale metodo ermeneutico delle sacre scritture. Muore nella sua casa di Fontainebleau nel 1939.

(8) In questa cerchia vi erano personaggi di indubbio peso sociale. Oltre all’armatore Georges Lamy ed a Louis Allainguillaume vi erano Gabriel Trarieux, figlio di un ministro, il banchiere Lionel Hauser, il notaio Le Carpentier. Col gruppo simpatizzava pure René Viviani, allora ministro.

(9) Su Henri Coton-Alvart cfr. Genviève Dubois (a cura di) Ces hommes qui ont fai l’alchimie du XX siecle, Dubois, Grenoble 1999. Henri Coton (1894-1988) in gioventù si guadagna da vivere come pittore e araldista. Trova lavoro in una società alsaziana di esplosivi come ingegnere chimico, e qui conduce una lunga carriera – grazie ai suoi numerosi brevetti commercializzati, specie in campo bellico – che finisce nel consiglio d’amministrazione. Tuttavia egli fu esoterista di grande spessore, e, in questo campo, fu allievo di quel Pierre Dujols de Valois (1864-1926) proprietario ed animatore della Librarie du Merveilleux, che aveva rilevato da Chamuel, e che diviene ben presto uno dei centri di incontro più importanti dell’ambiente esoterico parigino. Pierre Dujols, discendente del Valois, fu di erudizione ermetica sterminata – lo si evince dalle sue dotte note bibliografiche, di sovente utilizzate dal Caillet per la redazione del suo Manuel bibliographique des sciences phisisques ou occultes – e fu l’autore degli appunti sul simbolismo ermetico delle cattedrali gotiche francesi che furono alla base della redazione, da parte di Champagne e Canseliet, delle opere di Fulcanelli. Henri Coton, allievo di cotanto maestro, fu probabilmente la fonte principale delle conoscenze alchemiche di Schwaller, e contribuì senz’altro anche alla formazione di Milosz, che fu suo stimato amico. Dopo l’esperienza dei Veilleurs, di cui parleremo tra poco, nell’ambito della quale egli assumerà il nome iniziatico di Alvart, che conserverà per sempre, Henri Coton fu vicino all’esperienza di Atlantis, la rivista fondata e diretta da Paul Le Cour. Su Atlantis appaiono a più riprese notizie di conversazioni pubbliche da lui tenute nell’ambito delle iniziative dell’associazione Atlantis, oppure degli interventi scritti, come ad esempio una lettera di risposta ad un intervento di René Guénon sull’alchimia, apparso su Le voile d’Isis dell’ottobre 1930. Sempre a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, in veste di conferenziere egli è attivo nei salotti culturali francesi: a Parigi, nella casa di Nathalie Cliffor-Barney (1877-1972) la poetessa americana naturalizzata francese che ospitava nel suo Temple de l’amitié – un padiglione del giardino della sua casa in rue Jacob – serate mondane di arte e cultura che raccoglievano il meglio della élite parigina; sulla costa azzurra a Saint Paul de Vence ed a Nizza, dove punto d’incontro ben frequentato era la Villa Stella del conte Maurice Prozor, ministro dello Zar e traduttore di Ibsen. Del tenore delle conferenze tenute da Henri Coton a Villa Stella rimangono testimonianze nella corrispondenza che la contessa Prozor intratteneva con Rose Celli: «Alvart voleva venire a tenere un corso, ma ho compreso che questo nuovo insegnamento sarebbe una fatica ben al di là delle mie forze, poiché l’occultismo alchimista d’Alvart richiede molte spiegazioni per essere assimilato da semplici mortali»; ed ancora:«.. la sua scienza è meravigliosa ed ancor più profonda che in passato». Henri Coton fu ben noto anche come studioso d’astrologia, e diversi suoi articoli, firmati o contrassegnati da una tripla X, sono reperibili nel Bulletin de la Société Astrologique de France. A partire dal 1935, tuttavia, egli non compare più in alcun modo, e sembra ritirarsi completamente dalla vita pubblica , attendendo, secondo la testimonianza di coloro che gli furono vicini, al compimento della Grande Opera. Cfr. anche G. Dubois, R. A. Schwaller de Lubicz et Henri Coton-Alvard cit.. Su Pierre Dujols vedi G. Dubois, Fulcanelli cit., pp 47-68.

(10) Charbonnier op. cit. pag. 235.

(11) René Guénon si occupa delle attività del gruppo dell’Affranchi in Le theosophisme, histoire d’une pseudo-religion. Cfr. alle pgg. 274-276 del vol II dell’edizione italiana (Il teosofismo, storia di una pseudeo-religione, 2 voll. Arktos, Torino 1987).

(12) L’occultismo a cavallo tra ottocento e novecento, è letteralmente infarcito di idee positiviste ed evoluzioniste cui si attribuisce un valore universale. L’idea della scienza positiva come paradigma delle arti occulte, così come quella di evoluzione portata su di un piano cosmico ed universale, sono alla base di gran parte del movimento esoterico di quegli anni. Nota Guénon che «… l’idea di evoluzione costituisce per i teosofisti una vera ossessione» (Il teosofismo cit.¸vol II, pag. 276.).

(13) Charbonnier, op. cit. pag. 238.

(14) Charbonnier, op. cit. pag. 225.

(15) Senza data ed editore. Le citazioni sono tratte da Charbonnier, op. cit., pag. 257.

(16) André VandenBroeck, Al-Kemi: A Memoir. Hermetic, Occult, Political and Private Aspects of R. A. Schwaller de Lubicz, Lindisfarne Press, New York, 1987 (un testo per altri versi utile – ricco di particolari e notizie altrove irreperibili – che descrive il contatto diretto che ebbe l’autore con Isha ed Aor per alcuni anni, a Plan-de-Grasse). L’opinione viene ripresa in Italia, ad es., da Walter Catalano (art. cit.). In realtà, seppure a Schwaller potessero essere attribuite posizioni particolarmente reazionarie – una cosa che lo accomunerebbe del resto ad un nutrito arcipelago di autori prospicienti le fila dell’occultismo ermetizzante, vedi ad esempio Julius Evola – è tutt’altro che automatico estendere l’influenza di tali posizioni all’intero gruppo dei Veilleurs (che del resto Schwaller teneva a dichiarare apolitici). Altrettanto improbabile è invece l’ipotesi di una influenza della sinarchia di Saint Yves d’Alveydre (che è invece un motivo politico assai diffuso in Papus, de Guaita e nel milieu occultistico ad essi legato). C. Larronde, ad esempio, manifesterà pubblicamente, qualche anno dopo, convinzioni politiche comunisteggianti, e tali posizioni probabilmente lo allontaneranno da Milosz, convinto monarchico (anche se nell’ambito della propria convinzione della necessità di un’aristocrazia del merito e non del sangue). Vicino alle posizioni sinarchiche era invece Gaston Revel. Come si vede, il fourierismo esoterico dei Veilleurs lasciava ampio spazio per posizioni composite e differenti.

(17) Schwaller preciserà in seguito che i Veilleurs non ebbero alcuna relazione con la Società Teosofica.

(18) La Charbonnier ipotizza (pag. 260) anche un allontanamento di Milosz, che, divenuto delegato in Francia per conto del governo lituano, avrebbe avuto difficoltà a conciliare la sua figura pubblica di Veilleur con la necessaria e borghese seriosità del suo incarico. Probabilmente, alle radici della disgregazione dei Veilleurs vi sono una serie di concause, non ultima l’esigenza di radicalizzazione dell’esperienza iniziatica di gruppo da parte del gruppo che, di lì a poco, come si vedrà, si organizzerà con la guida di Aor a Suhalia.

(19) Nell’ambito di un intenso rapporto di stima, amicizia e collaborazione – non sappiamo quanto la rete di amicizie e contatti di Schwaller abbia influito sulle attività diplomatiche di Milosz – anche se sicuro è il ruolo fondamentale di René nella genesi e nell’attività della Revue Baltique – si inserisce un episodio fin troppo noto e citato. Quello del conferimento a Schwaller, da parte dell’amico lituano, delle armi e del nome del suo casato, nel corso di un rituale avvenuto dopo una notte e un giorno di digiuno e preghiera, con un cerimoniale di scambio di sangue (Cfr. Sablé, op. cit. pag .31). La cerimonia sarebbe avvenuta nel gennaio del 1919. Schwaller iniziò a firmarsi quindi utilizzando il patronimico De Lubicz (Milosz apparteneva al ramo Bosawola, “volontà di Dio”). Quando i rapporti tra i due amici si incrineranno, Milosz non mancherà di richiedere a Schwaller la restituzione dell’anello rituale e la cessazione dell’utilizzo del nome. Schwaller, del resto ritualmente investito, ignorò la richiesta continuando a firmarsi De Lubicz fino alla sua morte (cfr. Charbonnier, Op. cit.. pag. 262).

(20) Cfr. l’edizione attuale, O. V. de L. Milosz, Ars Magna, suivi de les origines ibériques du peuple Juif – L’Apocalypse de Saint-Jean déchiffrée – La clef de l’Apocalypse, André Silvaire, Paris 1961.

(21) Riportato in Carbonnier, op, cit, pag 261. La lettera intera è riportata anche in Dubois, Fulcanelli cit., pp. 108-110. Da parte di Schwaller il rispetto per la scelta dell’amico, ormai lontano, in questa testimonianza appare intatto: «L’ultima volta che ho visto il mio grande amico Milosz, che sempre più si rifugiava nel cattolicesimo – per ragioni personali che sono probabilmente l’unico a conoscere – fu nel 1929, quando mi disse nel suo modo di parlare che rasenta la facezia: “Farti cattolico vuoi? Così ci saranno almeno due cattolici nel mondo”. Quindi si è rifugiato in un ordine laico di trappisti. O. W. de Lubicz Milosz, principe della Lusazia, conte di Labunovo, capo del clan di Lubicz del ramo Bozawola, mi ha accolto in questo clan con diritto alle armi e ai titoli. Ciò che è per me più prezioso in tutta questa vicenda, è di portare l’anello d’arme del Lubicz, gioiello che, essendo già appartenuto al padre di Milosz, è perenne ricordo di una delle mie amicizie più sincere e feconde…».

(22) Al riguardo della produzione più eminentemente metafisica di Milosz, ed in particolar modo di Ars Magna¸andrebbe forse fatto uno sforzo comparativo con le idee reperibili nelle opere di Schwaller. Di sfuggita, di là da un comune sfondo ermetico, di volta in volta diversamente colorito di misticismo o attitudine gnostico-speculativa, sono senz’altro reperibili tratti comuni, utili nel determinare in parte la genesi del percorso filosofico-letterario del poeta lituano. La nécessité unique de situer di Milosz, alla base delle sue riflessioni sul tempo e lo spazio e sull’amore come legge universale al di là di ogni divenire, è in realtà un aspetto del pensiero dialettico che, con le sue valenze negative, percorre l’opera di Schwaller, e che si pone in antitesi all’Intelligenza del cuore. Una utile sintesi del sistema filosofico di Milosz, con ampi riferimenti ad Ars Magna ed alla Epître a Storge è reperibile in Jacques Buge, Milosz cit, pgg. 118 e sgg..

(23) Ars Magna ed cit. pp. 29 e sgg.

(24) Alcune parti della Epître a Storge presentano sorprendenti analogie con scritti di Swedemborg. In particolare la descrizione del sole spirituale, ad esempio, è reperibile in Swedemborg in termini quasi identici: «S. M. Guise ha lavorato sui libri di Swedemborg appartenuti a Milosz, conservati alla Biblioteca Jacques Doucet. Egli vi ha trovato annotazioni del tenore: “I know that” o “Notte del 14-\15 dicembre 1914” che lasciano supporre che Milosz non prendesse conoscenza dei passaggi annotati che dopo la sua illuminazione. A raffronto di ciò, quel che il poeta scriveva il 5 luglio 1926 a James Chauvet: «Non è che dopo aver sentito aprirsi in me la vista interiore, che io chiamo mnemonica, che mi sono abbandonato alla curiosità di approfondire le dottrine dei miei predecessori nella scienza sacra. Questi studi non mi hanno insegnato che ciò che potevano insegnarmi, ossia che la verità è una, e che è sufficiente un po’ di amore e rispetto per riscoprirla nel fondo della propria coscienza» (cit in Buge, op. cit. pag. 121).

(25) Charbonnier, Op. cit. pgg. 261-262.

(26) La Doctrine, trois conferences faites a Suhalia Noël 1926, édition privée, Officina Montalia St. Moritz, s.d., ristampato in fac-simile dalle edizioni Axis Mundi nel 1988.

(27) La Doctrine cit, pgg. 13-15.

(28) Adam, l’homme rouge, pgg. XI-XIII.

(29) Adam, l’homme rouge cit., pgg. 65-72.

(30) Cfr. Massimo Marra, I diversi colori del cielo: appunti sull’idea di unità trascendente delle religioni, in Atrium – Centro studi umanistici e tradizionali, anno VII numero 1, 2005, pp. 45 –73. Ora reperibile on-line su questo stesso sito.

(31) Sottesa alle sue teorie, ad esempio, vi è l’idea di un tempo ciclico, concezione, in sé, assolutamente inconciliabile col cristianesimo e con l’idea di tempo lineare redento inaugurata dall’Incarnazione. Vedi ad esempio André Vandebroeck, Al-kemi, cit., pag. 51. Il ciclo cosmico e le sue leggi funzionali, hanno, nella dottrina schwalleriana, una natura ed una funzione necessitante, che supera e, nell’essenza, nega, il libero arbitrio, che viene anzi caricato di valenze negative. Come si vede, lo sforzo di definire Schwaller autore cristocentrico, se non cristiano, non può che sortire effetti abbastanza deludenti.

(32) Le roi de la theocratie pharaonique¸ Flammarion, Paris 1982, pp. 293-294.

(33) R. A. Schwaller de Lubicz, Jeu de tarot égyptien, précedé d’une bio-bibliographie et d’une analyse du symbolisme par J. Duchesne, J.-C. Bailly, 1988, con allegata la riproduzione dei tarocchi di Schwaller.

(34) Dall’introduzione di J. Duchesne, pp. 13-14.

(35) Cfr. la nota introduttiva di Alessandro Boella ed Antonella Galli premessa all’edizione italiana del romanzo iniziatico di Isha Her-Bak (Cecio) (L’Ottava, Milano 1989). Cfr. anche Sablé, op. cit. pag. 89 ed il lavoro citato di Walter Catalano.

(36) Sablé (Op. cit. pag. 44) fissa la fine di Suhalia nel 1926. In questo caso, la maggior parte delle opere di Schwaller uscite in questo periodo sarebbero state stampate ad esperienza sostanzialmente chiusa.

(37) Jean Lamy fu medico, a quanto pare abile, e, oltre all’omeopatia, applicò diverse forme di terapia alternativa al suo lavoro, non ultima la fonoforesi, una tecnica che utilizzava un apparecchio messo a punto con René Schwaller (vedi Vandenbroeck, op. cit. pag. 262, nota 14). Negli ultimi anni fu il principale sostegno economico della famiglia. Lucie Lamy seguì invece la madre e René in Egitto, ed il suo talento di disegnatrice ne farà un elemento di primo piano del gruppo di lavoro. Proseguirà le ricerche di Aor e Isha pubblicando nel 1981 Egyptian Mysteries (London, Thames & Hudson, 1981, ed. it. Misteri Egizi, Fabbri, Milano 1982). Morta nel 1984, stava lavorando ad un’opera dedicata agli obelischi.

(38) Prime anticipazioni parziali sul simbolismo del tempio, erano apparse in Le temple dans l’homme (Schindler, Cairo 1949), ed it. Il tempio nell’uomo, a cura di Paolo Lucarelli, Mediterranee, Roma 2003. Qui ritroviamo già l’idea del tempio come antropocosmo, come struttura in cui misure, regole progettuali e simbolismo architettonico concorrono a formare il libro di pietra del riflesso delle leggi del macrocosmo nel micorocosmo umano.

(39) A.Vandenbroeck, op. cit., pag. 41

(40) Thérèse Collet, La vie et l’oeuvre cit, .

(41) Ed. italiana La scienza sacra dei faraoni, Mediterranee, Roma 1994, trad. di Paola Crimini.

(42) Ed. italiana La teocrazia faraonica, Mediterranee, Roma 1994, Trad. di Paola Crimini.

(43) Ed.italiana, Simbolo e simbolica, Arkeios, 1997.

(44) Esoterismo e simbolo. In appendice: Schwaller de Lubicz e il mistero di Fulcanelli, Tre Editori, 1997.

(45) Ed. italiana Her-Bak (Cecio), L’Ottava, Milano 1985, trad. di Igor Legati.

(46) Ed. italiana Her-Bak (Discepolo), L’Ottava, Milano 1986, trad. di Igor Legati.

(47) Dall’introduzione di Isha alla Contribution.

(48) Un’edizione a sé dell’opera, vedrà la luce solo nel 1988 per le edizioni Axis Mundi di Parigi (ed ital. Verbo Natura, Tre editori, 1998).

(49) Verbe Nature, Axis Mundi, Paris 1988, pag. 26.

(50) Notes et propos inedits, La Table d’emeraude, Paris 2005.

(51) Nella recensione all’edizione italiana di Le temple de l’homme ( su Il Sole 24 ore del 26 novembre 2000): «…è uno schema gnostico arbitrario che egli tira in campo. E’ un abuso partire dall’idea di una trinità incorporata nell’Uno, idea cristiana che Israele e l’Islam respingono. Ancor di più accettare di esaminare come modello fondamentale il corpo dell’uomo immaginato, come detta l’evoluzione darwiniana come suprema meta dei corpi di tutti gli animali, di mare, di cielo e terra….». Le arbitrarietà sottolineate da Zolla, naturalmente, sono solo alcune: un lettore attento di Schwaller potrebbe ricavarne assai di più, esercizio utile a definire i limiti e le caratteristiche dell’immensa opera filosofica dell’esoterista. Ciò, naturalmente, pur senza sminuire minimamente l’importanza generale e la portata d’insieme dell’opera del maestro alsaziano.